Premessa: Alle prime luci dell’alba di una fredda giornata del 6 Giugno 1944, 150.000 soldati alleati sbarcavano sulle coste della Normandia in quella che è stata la più grande operazione militare della storia. Battezzata Overlord e condotta in gran segreto, si concluse dopo tre mesi nella giornata del 25 Agosto con la presa di Parigi da parte della 4a divisione americana e della 2a divisione corazzata francese, che si spinsero fino al centro della città. Le superstiti truppe tedesche si ritirarono in Germania e da qui la liberazione dell’intera Francia. Dovettero passare altri nove mesi prima di entrare a Berlino.
Sulle spiagge della Normandia, battezzate in codice con i nomi di Utah, Omaha, Gold, Juno e Sword, si riversarono 73mila statunitensi, 83.115 truppe britanniche e canadesi oltre che contingenti di Francia, Belgio, Norvegia, Polonia, Lussemburgo, Grecia, l'allora Cecoslovacchia, Nuova Zelanda e Australia. Nello sbarco tra morti, feriti e dispersi le vittime furono 7.844. A queste ne vanno aggiunte altre 3.799 tra le truppe aviotrasportate che avevano preceduto l’invasione di qualche ora.
Con questa operazione si era concretizzata l’apertura del cosiddetto “secondo fronte” che era stato richiesto più volte da Stalin per alleggerire la pressione sul fronte orientale. Il piano era attaccare quella che Hitler definiva “Fortezza Europa” e chiudere in una morsa le forze del Reich. Lo sbarco in Normandia consentì di schierare sul continente europeo le imponenti forze alleate che da quasi tre anni si stavano preparando in Gran Bretagna e segnò l’inizio della battaglia per la Normandia che, a 250 km da Parigi, si tradusse in un vero incubo sia per gli Alleati che per le forze tedesche.
Gli Alleati attraversarono il Reno tra il 23 ed il 27 Marzo del 1945 per incontrarsi con i sovietici un mese dopo sul fiume Elba, non lontano dalla città di Torgau. La Germania si arrese l'8 Maggio nel quartiere berlinese di Karlshorst, dove le forze sovietiche avevano allestito la propria base in seguito alla caduta della città.
Le celebrazioni per l’80° anniversario dello sbarco in Normandia: Iniziate alle 10:30 del mattino, le cerimonie sono culminate nel primo pomeriggio di fronte alla spiaggia di Omaha, la sola ove i combattimenti furono intensissimi. Per una serie di imperizie ed errori tattici, i fanti americani si trovarono presi d’infilata e decimati dall’elevatissimo volume di fuoco delle truppe tedesche. E’ solo verso la fine della giornata che si riuscì a stabilire delle teste di ponte. Questo punto della costa ha visto morire il più gran numero di soldati americani tanto da meritare il soprannome di “Bloody Omaha”, la spiaggia del sangue.
Questa grande cerimonia internazionale è stata poi seguita da una serie di colloqui tra vari leader mondiali come il presidente francese Macron, quello americano Biden in visita nel Paese fino al 9 Giugno, Re Carlo III con suo figlio, il principe William, il premier britannico Sunak, il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Tra quegli oltre venti primi ministri e capi di Stato era presente il nostro presidente Mattarella.
Tra gli ospiti spiccava anche la figura del presidente ucraino Volodymyr Zelensky accompagnato dalla moglie, entrambi accolti da un lunghissimo applauso al loro ingresso nella struttura che accoglieva le autorità ed i pochissimi reduci superstiti. Il presidente Macron lo ha abbracciato calorosamente. Sempre vestito a modo suo, egli ha voluto ancora ricordare che il suo paese è in guerra. Grande assente il presidente russo Putin, che nessuno ha osato o voluto invitare. Dato il motivo della ricorrenza, egli non meritava certo di stare lì ma neppure è stato giusto cancellare la Russia dall’evento.
Non è da nessuno negare l’importanza di quella giornata di ottant’anni fa che dal punto di vista militare può considerarsi certamente come decisiva, ma non determinante. Chi ha maggiormente contribuito alla sconfitta del nazismo e ne ha pagato il prezzo più caro è stata l’Unione Sovietica con i suoi quasi 30 milioni di morti. Come è vero che questa cerimonia ricorda il sacrificio di chi ha combattuto per salvare la Francia e l’Europa, simbolicamente commemora anche quello di ogni soldato che, indipendentemente dalla sua nazionalità, ha dato la vita per combattere le schiere nazi-fasciste.
La Russia non meritava perciò un posto qualsiasi, ma un posto d’onore. Ad essere punito dev’essere Putin, non la Russia. Se gli si voleva veramente dare una lezione, sarebbe stato meglio invitare la vedova di quello che è stato il suo più celebre oppositore: Alexei Navalny, che il presidente russo definiva “nemico dello Stato e traditore della patria”. Non è dunque un caso che l’ospite d’onore sia oggi Zelensky, mentre 10 anni fa l’invitato era stato Putin. In questa giornata e con questa cerimonia non si può non notare una corrispondenza ideale col passato: come ieri ci si era battuti per liberare l’Europa dalla tirannide nazista, così oggi si sta combattendo per salvare l’Ucraina dalla morsa di Putin.
La memoria di questa giornata e degli oltre 10mila militari morti, feriti o dispersi sulle spiagge dello sbarco è particolarmente sentita in un momento nel quale l’Europa si trova sotto le minacce della Russia di Putin e con una guerra ai propri confini. Questa cerimonia è anche un ricongiungersi con il momento fondante dell’Alleanza Atlantica, quella Carta Atlantica sottoscritta il 14 Agosto 1941 a bordo dell’incrociatore americano Augusta da Churchill e Roosevelt. Questa prefigurava un nuovo ordine internazionale e democratico, fondato sul rifiuto della guerra e dell’aggressione, sul principio dell'autodeterminazione dei popoli i quali dovevano essere liberi di scegliere il proprio sistema politico.
Parlando di questa commemorazione al memoriale di Ver-sur-Mer, il presidente Macron ha dichiarato che “l'insegnamento di ciò che si è giocato qui, sulle spiagge dello sbarco, è che l'unione fa la forza. Nessuno in Francia può dimenticare il loro sacrificio”. Riferendosi ancora più direttamente alla tragedia ucraina, da Utah Beach il premier francese Attal ha detto: “Lo facciamo perché si stanno battendo per i valori che noi difendiamo, quali libertà e democrazia, valori per cui persone giovani e che non erano francesi sono venute qui a combattere per noi”. Sulla stessa linea il presidente americano Biden, che ha voluto ribadire l’impegno al fianco dell’Ucraina: “E’impensabile tornare indietro. Gli autocrati del mondo intero ci osservano per vedere se lasceremo che l'invasione illegale di Mosca resti impunita”.
Le parole di Biden e di Macron: Di fronte a quelle coste che ottant’anni fa brulicavano di corpi, di uomini che avanzavano sotto il fuoco nemico, di navi da guerra e mezzi da sbarco, il presidente Biden nel suo discorso ha fatto riferimento all’inizio della sua campagna elettorale parlando di libertà, democrazia e diritti umani. Si tratta – ha detto – di un “duro lavoro” che “inizia da ciascuno di noi”. Ha poi proseguito sottolinenando che “la grandezza dell’America non è una cosa del passato” e che si è lì “non solo per onorare coloro che hanno mostrato un coraggio così straordinario quel giorno ma per ascoltare l'eco delle loro voci. Ci stanno chiamando e ci chiedono di rimanere fedeli a ciò che rappresenta l'America”.
Parlando di coloro che sono sbarcati in Normandia e riferendosi soprattutto al presente, egli ha continuato affermando che “hanno preso d'assalto le spiagge a fianco dei loro alleati. Qualcuno crede che questi ranger vogliano che l'America vada da sola oggi?”. Biden ha ricordato ai presenti che “La democrazia americana chiede la cosa più difficile: credere che siamo parte di qualcosa di più grande di noi”. Paragonando la lotta contro Hitler alla resistenza contro Putin, il presidente americano ha voluto sottolineare come “ogni marine che ha preso d'assalto queste spiagge aveva deciso che un dittatore temuto e che aveva conquistato un continente, aveva finalmente trovato il suo avversario”.
Per capire pienamente questo discorso e l’importanza per il presidente americano di essere stato presente a queste celebrazioni, bisogna ricordare che egli si trova nel mezzo di una difficilissima campagna elettorale che lo vede gomito a gomito con il suo sfidante Trump. Nel suo intervento va dunque vista una risposta sia all’inaffidabilità che all’imprevedibilità del suo rivale, assai meno interessato al multilateralismo e scarsamente disponibile nei confronti della Nato e che inoltre mostra un atteggiamento ambiguo nei confronti di Putin. In Normandia Biden ha voluto sottolineare il suo attaccamento alla Nato, la sua lealtà nei confronti dell’Europa e la volontà di venire in soccorso a Kiev.
Non molto diverso il tono delle parole di Macron. Ricordando quei soldati che si erano sacrificati sul suolo francese ed avevano “combattuto un’ideologia mortifera”, ha detto: “Siamo tutti, oggi, figli di quello sbarco”. “Il silenzio di queste spiagge, oggi, si riempie di echi”. “Allora sì: di fronte alla guerra che torna sui nostri territori, di fronte a chi rimette in discussione tutto quello per cui si sono battuti, di fronte a coloro che vogliono riscrivere la storia, dobbiamo essere degni di quelli che sono sbarcati qui”.
Il riferimento all’Ucraina è esplicito: “Grazie, grazie al popolo ucraino, al suo coraggio, al suo gusto della libertà. Noi siamo con loro e non verremo meno”. Il presidente francese ha poi concluso il suo discorso a Omaha Beach dicendo: “Sappiamo che la libertà è una lotta quotidiana. Per tutti coloro che ovunque nel mondo vivono nella speranza della libertà, dell’eguaglianza e della fraternità, il 6 Giugno è un giorno senza fine, il 6 Giugno è un’alba senza sosta. Ricominciate”.
Come appena visto, l’attuale conflitto in Ucraina è visto come una continuazione di quella lotta di liberazione dell’Europa segnata dallo sbarco in Normandia.
Sul luogo, il presidente Biden ha voluto anche salutare quei pochi veterani oggi ancora vivi a testimonianza di quella grande giornata. A questi stessi uomini Macron ha voluto offrire la croce di Cavaliere della Legion d’Onore. A commemorare questo anniversario, oltre ai grandi del mondo, sono giunti qualcosa come un milione di visitatori e come nota di colore, un veterano americano che aveva compiuto il suo centesimo anno ha voluto sfruttare l’occasione per celebrare le sue nozze con una vivace signora di 93 anni da lui descritta come “più bella di Catherine Deneuve”.
Con le recenti iniziative del presidente Macron, la Francia ha iniziato un tentativo di riprendere in mano la sicurezza dell’Europa nella speranza che in qualche modo l’imminente conferenza di Ginevra possa avvicinare la pace. Così facendo, vi sono forti probabilità che Parigi stia tentando di spingere Berlino a seguirla in questa politica. Le incertezze e le difficoltà derivanti dalla campagna elettorale americana sono riuscite ad aprire un circolo virtuoso a vantaggio dell’Ucraina. Diventa adesso necessario non solo fare promesse, quanto soprattutto accelerare i tempi di consegna delle forniture militari a Kiev.
Questo è particolarmente necessario se si considera l’interesse di Putin essere quello di continuare con una sistematica guerra di attrito allo scopo di sfiancare tutte le parti avversarie per costringerle ad un negoziato in condizioni di stanchezza e, quindi, di debolezza. Per il presidente francese è essenziale far sì che Kiev sia posta non solo nelle condizioni di resistere, ma anche di respingere l’offensiva di Mosca bloccandone se possibile l’avanzata o, ancor meglio, costringendo le sue truppe a ritirarsi.
Quanto alla Russia, è da tre anni che non si sente nulla di nuovo salvo che proseguire nei suoi tentativi di confondere, disorientare ed impaurire l’Occidente. A lasciarla fare non vi è nessun vantaggio: va quindi messa all’angolo e posta di fronte a serie difficoltà. Se all’Europa questo riesce e continua ad operare in modo compatto e coordinato, è più forte della Russia. Dopo 36 ore di maratona diplomatica, il presidente Zelensky si lascia la Francia alle spalle dopo essersi recato all’Assemblea Nazionale per ringraziarla della promessa di 26 aerei da combattimento Mirage 2000C, ai quali sono stati aggiunti 650 milioni di euro in aiuti e l’addestramento di 4.500 soldati sul suolo francese. Egli si è anche incrociato con il suo omologo americano Biden che gli ha offerto ulteriori 250 milioni di dollari.
Il presidente Biden a Parigi: Calato il sipario sul 80° anniversario dello sbarco alleato in Normandia, il presidente Biden ha iniziato a Parigi la sua visita di Stato in Francia che, va sottolineato, ha in sé qualcosa di storico in quanto è la più lunga da lui mai effettuata all’estero. Il suo ospite francese ne può essere fiero pur sapendo che in fondo è a Putin che lo deve.
Le cerimonie ufficiali hanno avuto inizio al mattino quando Biden è stato accolto da Macron ai piedi dell’Arco di Trionfo. Insieme hanno posto il loro saluto di fronte alla fiammella che brilla sulla tomba del Milite Ignoto a ricordo dell’immenso sacrificio dei soldati francesi nel corso della Prima Guerra Mondiale e di quelle successive. Questo conflitto vide per la prima volta soldati americani sbarcare in Francia in nome dell’alleanza tra le due nazioni.
Anche in questo caso si tratta di un collegamento ideale con il passato dell’amicizia tra i due popoli che li ha visti per la prima volta combattere insieme a favore dell’indipendenza americana, poi ancora nel corso della Grande Guerra ed infine in quella successiva. Oggi a trovarsi a fianco nel tentativo di liberare l’Ucraina dalla volontà di potenza di Putin ecco i due presidenti che continuano a commemorare questa storia di lotta per la libertà.
La fiammella di fronte alla quale essi rendono omaggio rappresenta non solo sacrificio ed eroismo ma anche quella libertà che brilla eterna che i due presidenti insieme stanno incarnando. Vi è in questo non solo un evidente aspetto politico a dimostrazione della vicinanza tra le due nazioni e la loro unità di vedute, ma anche un aspetto che può dirsi religioso.
In serata il presidente Biden è stato ospite di una sontuosa cena di Stato in suo onore all’Eliseo per poi recarsi il giorno successivo nel Aisne-Piccardia per rendere omaggio ai caduti americani della Prima Guerra Mondiale. I due capi di Stato hanno dato ampio sfoggio alla vicinanza tra le loro nazioni e la comunanza di vedute, anche se alla fine permangono alcune inevitabili differenze. Insieme hanno successivamente preso non poche decisioni.
Con questa visita e queste cerimonie, il presidente Macron ha voluto onorare un alleato che mostra di rispettare l’Europa. Quanto al presidente americano, si è trattato di rendere omaggio al rappresentante di un paese che è stato il primo alleato degli Stati Uniti e che è sbarcato sulle loro coste per dar loro la libertà, così come 179 anni dopo sono stati loro a trovarsi al fianco della Francia.
I grandi temi di questa visita: A sovrastare ogni cosa la situazione in Ucraina, di fronte alla quale i due presidenti hanno mostrato profonde convergenze e trovato modo di procedere insieme. Biden ha indicato il suo apprezzamento per le recenti dichiarazioni del suo omologo francese, oltre a ciò che si è impegnato a fare per venire in soccorso a Kiev. Entrambi hanno sottolineato la necessità di restare uniti al fianco dell’Ucraina. Se per Macron il presidente americano si è mostrato un leale alleato dell’Europa, quest’ultimo ha confermato la sua vicinanza all’Ucraina, agli alleati ed alla Francia. Ha voluto inoltre sottolineare che gli Stati Uniti non si sottrarranno ai loro obblighi nei confronti dell’Ucraina.
Entrambi condividono la volontà che non debba essere Putin a vincere la guerra e si trovano d’accordo nel prendere insieme decisioni per armare, equipaggiare ed addestrare le truppe di Kiev. A Biden tocca però mostrarsi prudente, trovandosi nel mezzo di una campagna elettorale dagli esiti tutt’ora incerti malgrado i guai giudiziari del suo avversario Trump. Egli non invierà perciò soldati sul campo perché ben conscio che l’opinione pubblica americana non è disposta a sentir parlare di truppe sul suolo ucraino. Altro motivo di cautela è che tutt’ora il suo Paese rappresenta la prima potenza mondiale e di conseguenza non può permettersi di agire a piacimento: deve inevitabilmente dar prova di responsabilità ed accortezza.
Dal canto suo, Parigi può invece permettersi qualche libertà in più anche perché sa che a proteggerla c’è il suo arsenale nucleare. Partendo da questo presupposto, Macron intende concludere la creazione di una coalizione di paesi europei disposti ad inviare istruttori militari in Ucraina. In attesa, ha offerto a Kiev tutta quella serie di aiuti militari di cui si è già parlato in precedenza. Stessa cosa per quanto riguarda il contributo finanziario dato dal presidente Biden.
Altro tema ineludibile, quello della drammatica situazione a Gaza per via dello scontro tra le forze armate israeliane ed il braccio armato di Hamas, insieme ad altri gruppi radicali quali la Jihad Islamica. Entrambi i leader si sono rallegrati per la liberazione dei quattro ostaggi israeliani tenuti prigionieri nel campo profughi di Nuseirat e si sono trovati d’accordo di fronte alla necessità di giungere ad una soluzione che ponga fine al conflitto insieme all’urgenza di provvedere all’invio di maggiori quantità di aiuti umanitari per la popolazione civile stremata da quasi nove mesi di combattimenti.
I due presidenti hanno poi affrontato alcuni temi che dividono le loro nazioni. Il primo è stato quello di superare la crisi derivante dalla vendita dei sommergibili all’Australia nel 2021.
Il lettore ricorderà che al momento in cui veniva data la notizia di un accordo per la sicurezza tra Australia, Stati Uniti e Regno Unito denominato AUKUS, diretto a far fronte alle iniziative spesso provocatorie della Cina nell’area indo-pacifica, veniva annunciata in parallelo la notizia della fornitura all’Australia da parte americana di dodici sottomarini a propulsione nucleare con tecnologia statunitense e britannica. Sarebbero stati costruiti ad Adelaide con la collaborazione tecnica di inglesi e americani. Questo contratto cancellava quello firmato con la Francia nel 2016. Si trattava dell’acquisto di altrettanti sottomarini d’attacco a propulsione convenzionale.
Per l’Australia si sarebbe trattato di un passo importante poiché ne avrebbe fatto il primo paese senza armi atomiche ad ottenere sottomarini a propulsione nucleare. L’annuncio lasciò esterrefatti i francesi, che mal digerirono questo dietrofront insieme alla perdita di un sostanzioso contratto corrispondente a circa 56 miliardi di euro. L’allora ministro della Difesa Florence Parly aveva dichiarato in risposta che la Francia avrebbe cercato di garantire che qualsiasi contraccolpo finanziario all’azienda Naval Group fosse limitato. Non escluse anche che la Francia potesse chiedere un risarcimento all’Australia.
Furibondo, il ministro degli Esteri Le Drian aveva parlato di “pugnalata alle spalle” aggiungendo di essere “in collera e colmo di amarezza. Non ci si comporta in questo modo tra alleati”. Descrisse poi il comportamento americano come “unilaterale, brutale ed incomprensibile”. Parigi si dichiarò sconcertata dall’agire degli Stati Uniti che ricordava i modi di Trump. Quest’accordo venne visto come un vero e proprio schiaffo, una doccia fredda che non poteva non incrinare la fiducia verso Washington. Il presidente Macron – va ricordato – si era recato nel 2018 in Australia con l’intento di costituire un asse strategico Parigi-Delhi-Canberra.
Entrambi i leader si sono lasciati alle spalle questo spiacevole episodio.
Altro tema spinoso, quello delle divergenze sulle decisioni di Biden riguardo la politica economica degli Stati Uniti. Con il ”Inflation Reduction Act” egli aveva iniettato nell’economia americana un’immensa quantità di denaro al fine di consentirne la ripartenza ed aiutare quelle imprese rispettose dell’ambiente. Macron se ne era lamentato non poco descrivendo questo piano come “concorrenza sleale”. Egli vorrebbe che a beneficiare di questi aiuti fossero anche quelle imprese europee operanti negli Stati Uniti.
I presidenti hanno poi affrontato il tema dell’Iran, di fronte al quale Macron ha espresso un atteggiamento di maggiore durezza chiedendo di esercitare sul regime le pressioni necessarie. Biden era invece dell’opinione di concedergli qualche boccata d’aria riguardo il tema del nucleare. Riguardo l’atteggiamento da assumere nei confronti della Cina, le loro vedute non erano in fondo dissimili. A cambiare, solo alcuni accenti. Per entrambi si tratta di un temibile concorrente oltre che di un rivale. Completo accordo invece sulla questione di Taiwan.
Questa visita, che ha celebrato l’amicizia tra le due nazioni, ha ampiamente mostrato come nei loro rapporti sia tornato il sereno. A consolidarli è stata soprattutto la comunanza di vedute sulla guerra in Ucraina, la situazione in Medio Oriente ed i rapporti con Putin. Riguardo Gaza e l’Ucraina ha affermato di aver messo in atto ciò che le circostanze gli consentivano di fare. Se ancora vi è qualcosa di sospeso, più che di divergenze si parla di differenze, fatto che rientra nella normalità delle relazioni diplomatiche, soprattutto tra due paesi quali Francia e Stati Uniti. In tutto ciò è certo che tra lui e Macron le consultazioni siano frequenti.
Al di sopra di tutto, l’importanza di quelle celebrazioni è di aver ricordato alle nuove generazioni il prezzo della libertà ed il grande impegno messo nel difenderla.
Due parole riguardo Biden: Per comprendere fino in fondo il senso di questo viaggio, è necessario tener presente che il presidente americano al momento non è soltanto il leader del suo Paese, ma anche candidato alle prossime elezioni. Nel bel mezzo dunque di una campagna elettorale i cui esiti non sono per nulla scontati.
Nonostante i suoi problemi giudiziari, il suo rivale Trump continua a restare a galla e non sembra aver difficoltà ad attirare finanziamenti per la sua corsa alla Casa Bianca. La sua base si mostra più che mai determinata a votare per lui. Il Partito Repubblicano invece non sembra ancora capace di liberarsi dalla sua ombra. I temi che al momento sembrano interessare maggiormente l’elettorato sono quelli dell’immigrazione e del divorzio.
Sul primo Biden ha dato inizialmente una sterzata a destra per non lasciare il campo libero al suo avversario. In risposta poi alle proteste della sinistra democratica, egli ha preso la decisione di rendere più agevole la regolarizzazione di alcune centinaia di migliaia di immigrati clandestini che avessero maturato determinati requisiti, quali l’essere sposati da lungo tempo con cittadini americani ed avere avuto da loro figli cresciuti nel paese. Lo stesso per chi si è diplomato nelle università americane e ha la possibilità di ottenere un impiego a condizione di avere un visto regolare. Gente dunque che da anni ha eletto domicilio negli Stati Uniti e vi ha parenti o familiari. In un discorso il presidente ha anche lodato il coraggio ed il contributo dato dagli immigrati alla crescita e allo sviluppo della nazione. Sul secondo punto egli si mostra ben più disponibile del suo sfidante.
Per Trump il percorso che ha di fronte resta comunque irto di pericoli. Biden, malgrado le critiche alla sua età e alla tendenza a confondersi con le parole e perdere l’equilibrio, sta mostrando di essere capace di svolgere il suo ruolo con competenza quando l’occasione lo richiede. Questo suo viaggio in Francia, insieme a tutti i discorsi pronunciati, lo ha dimostrato: quando parla di argomenti di rilievo è chiaro e capace di esprimersi bene. Quello dello stato delle sue facoltà cognitive resta comunque un problema con il quale dovrà confrontarsi al punto che più avanti procederà nella sua campagna elettorale, più si troverà nel mirino di chi non lo ritiene idoneo ad esercitare le sue funzioni di presidente. Resta sempre il fatto che nessuno dei due contendenti è popolare e che sono entrambi in età avanzata e non in forma smagliante. I sondaggi al momento danno ad ognuno il 40% dei consensi.
Il presidente Biden ha quindi voluto mostrare di essere in grado di sopportare il peso di un lungo viaggio con tutti gli impegni che esso comporta. In Normandia ha espresso riconoscenza per il sacrificio di tanti soldati e con il suo discorso ha voluto incarnare il passato pur proiettandosi idealmente verso il futuro. A Putin ha tenuto a far sapere che gli Stati Uniti aiuteranno fino in fondo l’Ucraina e che questa guerra non la vincerà. Alla Francia e all’Europa ha confermato la sua fedeltà all’Alleanza Atlantica, mentre di fronte a Trump, che secondo lui apre bocca solo per motivi elettorali, ha voluto incarnare i valori e i princìpi sui quali si fonda la nazione americana e la difesa dell’interesse nazionale.
Biden è del tutto diverso dal suo rivale ed il suo messaggio nel corso di questo viaggio è stato anche quello di dire agli alleati europei di augurarsi che non sia Trump a vincere: le idee di quest’ultimo non suscitano preoccupazioni solo in Francia ed in Europa, ma anche negli stessi Stati Uniti.
Le elezioni europee: Senza addentrarci in un’analisi dettagliata sul voto del 8 e 9 di Giugno, i risultati evidenziano che a grande maggioranza la Francia ha respinto le proposte politiche di Macron che a questo punto non può chiudere gli occhi di fronte ai risultati. Si è trattato di un voto contro di lui o contro l’Europa?
Con tutta probabilità entrambe le cose. Ad indicarlo, la direzione scelta dal Rassemblement National: un’Europa delle nazioni rispettosa della sovranità di ogni singolo Stato. Un po’ ovunque in Europa si è assistito ad una corrente ostile alla democrazia che ha portato in molti paesi l’estrema destra in vantaggio. Questo lascerebbe pensare che non si tratti solo di una battaglia politica, ma anche di uno scontro culturale.
Ad uscirne indebolita è stata soprattutto la coppia franco-tedesca, considerata il motore dell’Europa. Schematizzando un po’, si può dire che tutta l’ex-DDR ha votato per l’estrema destra di AFD, mentre quella che era la Repubblica Federale ha optato invece per il CDU e il CSU. La destra ha dunque progredito a spese dei Verdi e delle forze di centro. Poco da stupirsi se il Cremlino stia seguendo con attenzione l’evolversi delle cose in questi due importanti paesi.
Pur senza alterare gli equilibri nel Parlamento Europeo, questa destra avanza in tutto il continente ed è un’illusione pensare che possa indebolirsi: facendosi portatrice di istanze populiste dalla facile presa sull’elettorato cerca poi capri espiatori nella speranza di tornare ai bei giorni di un tempo. L’euro di conseguenza perde terreno e lo stesso accade per le borse europee. Il mondo dell’economia e della finanza è in grado di calcolare i rischi, ma non le incertezze.
Di fronte a questi risultati, lo stesso presidente francese non ha potuto far finta di nulla tanto che a poca distanza dall’esito, rivolgendosi ai suoi ed all’intero Paese, ha invocato l’art. 12 della Costituzione e annunciato lo scioglimento dell’Assemblea e la fine del governo. Le nuove elezioni sono state fissate al 30 Giugno per il primo turno ed al 7 Luglio per il secondo.
Rivolgendosi alla nazione in una conferenza stampa, il presidente Macron ha inaugurato la sua campagna elettorale tuffandosi nella mischia e uscendo fuori delle stanze dell’Eliseo. Egli ha ammesso le sue responsabilità nel non aver dato le dovute risposte alle ansie dei francesi e ha dichiarato che è giunto il tempo di battersi per non offrire le chiavi del potere né all’estrema destra e neppure alla sinistra radicale. Se a questa sinistra ha lanciato l’accusa di antisemitismo e di ostilità al Parlamento, alla Le Pen ha detto che vuole uscire dalla Nato, che non vuole favorire l’Europa e che si mostra ambigua nei confronti di Mosca, dalla quale in passato aveva ricevuto finanziamenti. E’ arrivato dunque il momento del risveglio, di non cedere al timore della sconfitta, superare gli ostacoli ed emergere da questa situazione di stallo.
Verso le elezioni anticipate: La notizia è stata accolta nel paese con sbigottimento, dato che sono in molti a non capire i motivi di questa decisione. Si tratta indubbiamente di una scommessa rischiosa, tanto che il Paese è scivolato nell’inquietudine sapendo quanto sarà difficile la campagna per l’attuale maggioranza. A prevalere è ora l’incertezza ma Macron, che similarmente a Scholz poteva evitare di sciogliere l’Assemblea, assumendosi un rischio non indifferente ha voluto che a decidere fossero i francesi. E’ un caso esemplare di “o la va, o la spacca”: se dovesse perdere, il resto del suo mandato potrà definirsi tutto tranne che tranquillo. L’azzardo è certo forte, ma non insensato.
Non gli resta adesso che sperare che attorno a sé riesca a coagularsi un polo centrista. Per meglio intenderci, egli vorrebbe spostare verso il centro l’asse politico francese. A giocar con le parole, l’ideale per lui sarebbe governare con la destra della sinistra e con la sinistra della destra. “Abbiamo perduto – ha detto l’ex-premier Attal – ed il Presidente ha deciso di lasciare la parola ai francesi”. Sarà lui a dirigere la campagna elettorale della maggioranza. Per Macron non era possibile andare avanti altri tre anni con una maggioranza relativa e tutto ciò è tanto vero che ha preferito muoversi addirittura a poca distanza dall’inizio dei Giochi Olimpici di Parigi, escludendo poi di dimettersi anche in caso di sconfitta.
Si è trattato di un vero e proprio terremoto politico dettato dalla sua volontà di contrastare l’avanzata della destra estrema. L’ultima volta che fu sciolta l’Assemblea risale al 1997 quando all’Eliseo si trovava Chirac. A vincere fu la sinistra e fino alla fine della legislatura la Francia si vide gestita dal presidente di un partito e l’Assemblea in mano ad un altro, la cosiddetta “coabitazione”. Nel corso della V Repubblica l’Assemblea Nazionale è stata sciolta sei volte. La prima volta con De Gaulle nel 1962 a causa della mozione di censura su Pompidou. La seconda in quell’anno tumultuoso che fu il 1968. La terza nel 1981 e la quarta nel 1988, entrambe con Mitterrand. Poi nel 1997, quando per i cinque anni a seguire Chirac fu costretto a coabitare con Jospin come premier.
Questo voto anticipato lo aveva di fatto chiesto poco prima Jordan Bardella, delfino di Marine Le Pen. Nel suo intervento a seguito della notizia dei risultati delle elezioni europee, egli aveva dichiarato di accettare con umiltà e senso di responsabilità il nuovo ruolo che si profilava per il suo partito chiedendo subito nuove elezioni. Con tono provocatorio ha lanciato la sua sfida al presidente il quale l’ha raccolta ed eccolo trovarsi di colpo ad essere il più giovane candidato a Matignon. Sino a quella giornata il Rassemblement National aveva sempre agito nell’ambito di una visione nazionale che non teneva gran conto dell’Europa.
L’esatto contrario del percorso di Macron, che conscio dei pericoli, delle incertezze del futuro e delle sfide che incombono, prendendo la parola nel suo ambizioso discorso alla Sorbona aveva sottolineato la necessità di dare impeto all’idea dell’Europa, una sfida che lo ha portato a dire che quest’ultima poteva essere credibile solo se si fa potenza.
Non senza coraggio, Macron ha voluto dare fiducia ai francesi e fare chiarezza con il preciso intento di bloccare l’avanzata di Marine Le Pen e Jordan Bardella. All’annuncio di questo voto anticipato e dato il brevissimo tempo a disposizione, i partiti francesi sono entrati in fibrillazione per prepararsi ad affrontarlo nelle migliori condizioni possibili. Questa sarà infatti la campagna elettorale più breve della storia della V Repubblica. Per gli aderenti al partito di Macron si è trattato di un fulmine a ciel sereno, se non addirittura di un lancio di dadi. Euforia tra le fila del Rassemblement National, con la Le Pen che si dichiarava pronta a governare, rimettere in sesto il Paese e far rivivere la Francia. Per rendere più appetibile il suo partito Marine Le Pen si era scelta come delfino il giovanissimo Bardella, ottimo comunicatore e ben visto dai giovani. Ora lo manda avanti con in vista Matignon. Sotto shock i socialisti.
Le manovre degli schieramenti: A destra, il Rassemblement National e Reconquête tentano di trovare un modo per correre assieme. Si è deciso di iniziare tenendo fuori Zemmour pur attivando un incontro tra la Le Pen e sua nipote Marion Maréchal per discutere di come unire le forze in vista della tornata elettorale. A Bardella invece il compito di consultarsi con i Républicains, eredi della tradizione gollista. Il loro segretario, Eric Ciotti, si è schierato per questa alleanza creando uno strappo senza precedenti con l’eredità del Generale, fautore dello sbarrare la strada alla destra radicale.
Ai suoi occhi ciò che caratterizza l’attuale momento politico è una guerra tra le destre e la sinistra estrema. Egli si considera un uomo di legge e di ordine e quella di un accordo con RN è la sola via da percorrere per rispondere a questa sfida. Per far meglio capire questa sua decisione è anche motivata da una sua situazione personale: egli rappresenta una componente della destra meridionale ed aspira ad essere eletto sindaco della città di Nizza. Questa decisione ne rafforzerebbe le possibilità.
La risposta del partito non si è fatta attendere, tanto che Ciotti è stato costretto a lasciare la segreteria. Tutti i senatori hanno respinto l’accordo ed a questa decisione si sono opposti anche gli ex-ministri dell’epoca di Sarkozy in quanto era indecente stringere un’alleanza con un partito populista, per di più filo-russo ed anti-europeo. Per questa maggioranza l’uomo rappresenta solo se stesso e tiene a chiarire come le sue dichiarazioni ricordino gli accordi di Monaco del 1938. Ciotti però controlla nel partito alcune posizioni nevralgiche, inclusa la tesoreria ed a eleggerlo sono stati i militanti: a loro e a nessun altro spetta destituirlo. Benché egli disonori la famiglia gollista e sia in rottura totale con la linea del partito, le liste dovranno essere presentate entro la giornata di Domenica 16 Giugno.
I Républicains hanno oggi intorno al 7% dei consensi e malgrado l’importanza del loro passato, non possono certo considerarsi rilevanti. Da come stanno le cose è difficile dire quanti deputati lo seguiranno per unirsi al Rassemblement National. Il segretario si appresta a vendere il partito ad una destra che De Gaulle aveva voluto escludere senza appello dalla linea del potere politico. Questo è il perfetto caso di un partito che sopprime il suo capo e di quest’ultimo che invece ne causa la fine. Macron ha gioco facile nel dire che questa destra volta le spalle all’eredità gollista, mentre invece Bardella saluta il coraggio di Ciotti che lo ha esposto all’accusa di tradimento.
François-Xavier Bellamy, rappresentante di quella parte dei Republicains rimasti fedeli ai princìpi originari del partito, ha espresso l’opinione di tutto quel gruppo dichiarando che dopo aver traversato tante prove essi hanno finalmente ritrovato uno slancio del quale devono essere fieri. Serve adesso un dibattito democratico in grado di rispondere alle aspettative del Paese: per loro è l’inizio di un nuovo percorso, il segnale di una ripartenza per ridare speranza alla Francia e rinvigorire la democrazia.
Tempesta anche dal lato di Reconquête: a seguito del tentativo di Marion Maréchal Le Pen, Zemmour, accusandola di appoggiare i candidati del RN e di voler tornare nella ditta di famiglia, decide di escluderla dal partito. I due si detestano. E’ probabile che questa frattura possa spiegarsi con la coscienza che ha la Le Pen di essere vicina ad accedere al potere. Per facilitare questo passo ha bisogno di mostrare che vi è qualcuno più a destra di lei e che perciò non può più considerarsi veramente di estrema destra. Si tratta di un passo verso quello che in Francia si chiama la “de-diabolizzazione” del partito. Anche in questo caso una situazione complicata dalla quale Macron spera di trarre vantaggio. Non gli sarà facile. Non disponendo di una maggioranza assoluta ed oscillando tra posizioni più di destra o più di sinistra, il presidente in questi ultimi anni ha dovuto cambiare ben quattro premier nella speranza di affrontare alcuni temi cruciali che aveva posto sul tavolo, come quelli della sicurezza e delle pensioni. Non avendo i numeri necessari, non tutto è andato come voleva.
Passando alla Sinistra, le sue componenti sono pure loro alla ricerca di un’unità di fronte al progredire delle destre: per non restare ai margini hanno deciso insieme di procedere in direzione di un fronte comune che hanno battezzato Nuovo Fronte Comune (NFC). Notoriamente rissose e divise tra loro, LFI, PC, PS ed EELV, ossia la Sinistra radicale, i Comunisti, i Socialisti ed i Verdi, hanno preso seriamente l’impegno di rinunciare alle loro discordie nella ricerca di un’unità in opposizione all’avanzata delle destre. I fatti si sono svolti in questo modo.
Senza menzionare i personalismi, erano numerose le differenze di vedute che investivano temi importanti quali il conflitto in Ucraina, le sanzioni contro Israele, l’antisemitismo, le pensioni, fino alle misure per combattere il cambiamento climatico. Cercheranno ora insieme di decidere candidature comuni da presentare in ogni circoscrizione per affrontare il primi turno del voto. A farla breve, superando rivalità e personalismi queste forze, nel breve tempo a disposizione, si sono affrettate ad organizzare un equivalente contemporaneo del Fronte Popolare, arrivato al potere con Leon Blum nel 1936 allo scopo di contrastare l’ascesa dei movimenti fascisti.
Il presidente Macron fino a quel momento aveva tratto profitto dalla loro assenza sulla scena e sfruttato le loro debolezze: questo loro lo avevano capito e se avevano trovato un accordo sulle candidature la sfida restava quella di creare un programma comune. Per Macron, inutile dirlo, queste alleanze erano innaturali ed aveva ribattuto accusando Mélenchon e l’estrema sinistra di antisemitismo e di ostilità nei confronti del Parlamento. Egli non credeva possibile che la sinistra potesse riunirsi in un cartello elettorale: è però accaduto un fatto importante: l’elettore è sceso in piazza ed insieme ai sindacati e alle associazioni ha chiesto un consolidamento delle forze di sinistra per formare un blocco compatto da opporre alla destra in ascesa.
Resta sempre un problema capire come questa sinistra riuscirà ad unirsi quando nei suoi ranghi include personaggi come Mélenchon, Glucksmann e Hollande. Il primo, non a caso, ha dichiarato di sentirsi in grado di fare il premier, cosa che sogna da tempo. Inutile dire che la sua candidatura divide non poco gli elettori, anche se è l’uomo di maggior presenza all’interno della sinistra. Per carattere, dichiarazioni e prese di posizione egli allontana il consenso: “tutto salvo Mélenchon” si sente gridare, col risultato che non sarà scelto come candidato premier dai partiti del NFC che finiranno col decidere per consenso. Vi sono all’interno di queste forze delle contraddizioni monumentali e difficilmente superabili che Macron spera di sfruttare cercando di catturare il voto delle sue frange meno radicali. Esattamente come intende fare col voto dei Républicains, egli punta a creare una vasta area di centro per sbarrare la strada alle estreme.
Queste in breve le posizioni di alcuni esponenti di questa sinistra:
Per la France Insoumise di Mélenchon è tempo di farla finita una volta per tutte con l’era di Macron. Resta certo che non si possano lasciar le porte aperte alla destra estrema. L’europarlamentare Manon Aubry aveva deplorato che la sinistra si era presentata alle europee divisa e con tre liste differenti. Per combattere la destra serve un riformismo attivo. Ha accusato Macron di essere il responsabile di questo balzo avanti della destra, testimonianza e conferma della sua rotta.
La verde Toussaint, l’aria stanca ed abbattuta, si è scusata per i risultati deludenti ottenuti alle Europee, soprattutto se si pensa a quell’ondata che si era vista nelle elezioni del 2019. Sbarrare le porte alla destra e puntare ad un fronte comune.
Raphael Glucksmann, di idee socialdemocratiche e fondatore di Place Publique, ha detto che è necessario tenere testa alla destra estrema per creare in Europa uno spazio aperto alla libertà, alla democrazia, all’ambiente e chiuso alla violenza e alla calunnia. “Chi ama la giustizia, la solidarietà e l’ecologia e tiene all’Europa, deve unirsi a noi per tener viva questa speranza. La democrazia è il più prezioso dei nostri beni e se non la si coltiva, deperisce. Dobbiamo batterci”. Con queste parole si è fatto avanti come alfiere della sinistra.
Alcune considerazioni: Se in tutto ciò il presidente non ha fatto che seguire una manovra classica spalancando le porte per vedere cosa succede, una sua vittoria sarà un colpo da maestro, altrimenti vedrà dissiparsi la sua eredità. Di fronte a questo scenario sono in molti a chiedersi dove sia finito l’interesse del paese e se vi sia un senso nell’aprire una crisi politica senza precedenti, quando in Parlamento vi sono riforme bloccate, nella capitale si attende l’apertura delle Olimpiadi e all’estero imperversano una guerra in Ucraina ed una crisi in Medio Oriente.
Ovunque in Europa si è vista emergere una corrente ostile alla democrazia, caratterizzata da un’estrema destra in vantaggio in molti paesi. Ciò renderebbe necessario porsi delle domande su cosa non ha funzionato e rendersi conto che non si è forse solo di fronte ad una battaglia politica, ma anche culturale. A votare la destra, infatti, non è solo chi si trovava in situazione precaria da un punto di vista economico e sociale, chi vive in aree periferiche o rurali, ma anche chi ha a cuore motivi identitari. All’ombra di questo incedere della destra vi sono dunque dinamiche ideologiche ed identitarie. E’ nelle grandi città dove questa non sfonda. Resta il fatto che è da quarant’anni che il partito della Le Pen non fa che crescere, al punto che oggi non si tratta più di un voto di protesta, quanto piuttosto anche uno di convinzione.
Al momento RN naviga intorno al 31%, le sinistre al 28% e Renaissance al 16%. Va ricordato che in Francia si vota col doppio turno e serve gente che abbia le capacità di superarlo. La legge elettorale consente anche quelle che sono chiamate le desistenze. Si tratta di quella possibilità di scegliere che consente alle alleanze di venire in soccorso l’una dell’altra. Più esattamente, nel corso del secondo turno un candidato ha la facoltà di ritirarsi per far avere il suo voto al candidato arrivato primo. Si evita così di dare la maggioranza all’avversario: molti elettori potranno scegliere di votare non tanto per i loro candidati, quanto per quelli a loro distanti pur di raggiungere lo scopo, in questo caso impedire una vittoria della destra. In Francia ci sono 577 circoscrizioni e resta da vedere come risponderanno gli elettori con la desistenza.
La Le Pen ha una posizione radicale ma per entrare nella stanza dei bottoni dovrà inevitabilmente pagare un dazio per legittimarsi e non solo a livello internazionale: da qui i tentativi di “de-diabolizzazione” del suo partito. Sa che ha bisogno di essere accettata. Malgrado i suoi sforzi non penso sia in condizioni di raggiungere quella maggioranza assoluta di 289 seggi: se tutto dovesse andarle per il meglio potrebbe ottenerne circa 200-220.
I voti ottenuti dal Rassemblement National hanno gettato la Francia nell’incertezza: Macron ha sciolto l’Assemblea, mentre tra le sinistre sono in molti a parlare come se il paese dovesse rivivere gli anni Trenta. L’attuale panorama politico europeo ha visto questo scatto in avanti considerando che è sin dal 2014 che le forze di destra stanno avanzando in Europa. In Francia dal 13% sono passate al 18% ed infine al 31% odierno. Sono però divise in un paio di gruppi politici. A rallegrarsi è Putin, che considera la situazione come un castigo dato alla Francia per la politica del suo presidente a favore dell’Ucraina.
Le elezioni: Tra la giornata del 30 Giugno e quella del 7 Luglio, data l’importanza della posta in gioco non si sono mai visti tanti elettori recarsi alle urne dal 1997. I primi a votare sono stati gli elettori di S. Pierre et Miquelon poi, seguendo i fusi orari, quelli della Polinesia Francese, delle Antille e da lì fino alla Francia.
Dato che oggi interi segmenti della società francese hanno mostrato apertamente e senza vergogna di votare RN, i risultati sono giunti come una sorpresa. NFP è emerso dal secondo turno elettorale come il primo blocco politico del paese, pur senza raggiungere la maggioranza assoluta. Ha ottenuto infatti 182 seggi, 74 dei quali andati a LFI di Mélenchon. Bene ha fatto il popolo di Parigi a scendere in piazza per spingere la sinistra ad unirsi. E’ così scattato quello che in Francia chiamano il “riflesso repubblicano”, invocato ogni qual volta si tratta di bloccare l’avanzata della destra. La Francia ha così respinto la Le Pen, Bardella ed il loro amico Vincent Bollorè, plurimiliardario con in mano importantissimi gruppi finanziari incluso Vivendi con tutte le sue partecipazioni nel media.
RN con i suoi alleati ha ottenuto 143 seggi, al di sotto delle previsioni ma comunque il più grande successo della sua storia. Mai infatti ha avuto tanti seggi in Assemblea. Questo risultato ha messo la destra al terzo posto. La formazione di Ensemble, capeggiata dal presidente, ne è uscita ben meglio di ciò che prevedevano molti analisti: lo schieramento non si è disintegrato ed è arrivato al secondo posto con 168 seggi. 135 candidati della sinistra hanno desistito in favore dei suoi candidati.
Prima di inoltrarci in altre considerazioni, è necessario concludere che innanzitutto la Francia deve essere governata tenendo presente che per un anno l’Assemblea Nazionale non può essere sciolta. Al cuore del potere sta il Parlamento, che però deve essere in grado di esercitarlo. La nomina del premier spetta al presidente, ma per esercitare le sue funzioni deve essere approvato dall’Assemblea, così come stabilito dall’art. 8 della Costituzione. Saranno dunque necessarie delle consultazioni per mettere in piedi una coalizione, cosa non facile date le circostanze: un’Assemblea bloccata non può che tradursi in un paese ingovernabile. Diceva Cesare che la Gallia è divisa in tre parti. Alla luce dei fatti odierni non aveva torto.
La logica detta che il governo vada fatto da chi ha vinto le elezioni ed ogni parte dovrà adesso svolgere responsabilmente il suo ruolo. La maggioranza uscente non è crollata, nonostante abbia perduto alcuni seggi malgrado le desistenze. Ciò significa che senza il contributo del partito di Macron non sarà possibile ottenere una maggioranza.
Quanto ai partiti di sinistra, l’unirsi in un NFP significa che hanno inteso fino in fondo il senso di questa loro decisione. I due schieramenti, quello di Macron e della sinistra, dovranno ora prestare ascolto alla voce dei francesi mettendo il Parlamento in grado di funzionare e riaffermando il ruolo del cittadino e delle collettività locali: LFI, i Socialisti, i Verdi, i Comunisti ed il gruppo di Ensemble dovranno tutti assieme trovare una soluzione per rendere il paese governabile. Ognuno avrà la sua ricetta, ma lo scopo comune non può essere che quello di trasformare la società e migliorare le condizioni del popolo.
Alcune reazioni: Jordan Bardella, delfino di Marine Le Pen, è insorto affermando che quella che emersa dalle urne non è che un’alleanza contro natura che impedirà ai francesi di avere ciò che a loro spetta. In assenza di una politica idonea a rimettere in piedi la Francia, questi accordi elettorali la faranno precipitare tra le braccia di Mélenchon. “Si è di fronte ad un accordo tra un presidente isolato ed una sinistra incendiaria che non porterà la Francia da nessuna parte”.
A parlare di “un’alleanza della vergogna” è stato anche Eric Ciotti, che unitosi a RN aveva spaccato il suo partito. Anche se nei ranghi del Rassemblement National non manca la delusione, in molti continuano a sostenere che il partito mantiene comunque una dinamica positiva avendo ottenuto i migliori risultati della sua storia: al primo turno ha aumentato considerevolmente i suoi seggi all’Assemblea, mostrandosi il più forte anche se non abbastanza per vincere. Al secondo turno non aveva disponibili le riserve necessarie per imporsi. Non resta adesso che volgere lo sguardo alle elezioni presidenziali del 2027.
Intanto a Bruxelles è entrato a far parte del gruppo dei Patrioti per l’Europa del premier ungherese Orban, unendosi così agli spagnoli di Vox, alla Lega di Salvini, ai greci della Voce della Ragione, agli austriaci del Partito della Libertà, a Vlaams Belang del Belgio, i lettoni di LPV, gli olandesi del PVV, Chega! del Portogallo e Ano 2011, Motoristé Sobe e Prisaha della Repubblica Ceca. Come presidente del gruppo è stato scelto proprio Bardella. Per la Meloni non si tratta di una buona notizia.
Poco più su si era scritto come in rapporto al 2022 RN aveva quasi raddoppiato i suoi seggi, cosa che all’interno dell’Assemblea Nazionale lo porterà ad avere una quantità maggiore di fondi pubblici a disposizione. Ciò gli darà l’opportunità di ristrutturarsi in attesa del 2027. Ricordiamo che a sconfiggere il Rassemblement National è stata la desistenza che ha rafforzato i suoi avversari. A votare questo partito è ormai la Francia intera, tanto che anche metà dei giovani si sono espressi in suo favore. Scosso dai risultati, Bardella ha spiegato che d’ora in poi sarà necessario compiere sforzi ulteriori e che a livello locale sono state fatte delle scelte sbagliate.
A farla breve, la Francia ha ribadito il suo “no” al RN, ma fino a che punto hanno vinto gli altri? Per l’Assemblea questa è la prima volta dal 1958 che non vi è una maggioranza. Con le regole vigenti non vi è dunque da stupirsi che non vi sia la minima certezza sulla figura del nuovo premier. Molto dipenderà dall’atteggiamento del NFP i cui deputati dovranno riunirsi per scegliere un candidato. Esultanza dunque da parte della sinistra.
Per concludere, grande vincitore di questo secondo turno è risultato il “fronte repubblicano” il cui sbarramento ha funzionato. Per questi entusiasti a governare non può essere dunque che il Nuovo Fronte Popolare, ben distante purtroppo dalla maggioranza assoluta: si tratta di un’alleanza che come ogni altra contiene in sé elementi di forza, ma anche di fragilità. LFI ne costituisce la parte più importante con 74 seggi su 182, comunque sempre meno della metà. Nell’ombra vi è già chi mormora di non volere come premier né Mélenchon, né Hollande.
I socialisti, con i loro 59 deputati, sono andati bene. I verdi ne hanno ottenuti 28, i comunisti 9, Generazione S 5. Ha superato le previsioni il gruppo Ensemble del presidente Macron, tanto che Eduard Philippe ha subito parlato di un accordo tra le parti con l’esclusione di LFI. Vero, senza i macroniani non vi può essere una maggioranza, LFI però resta sempre il primo partito della sinistra unita. Un governo di minoranza è sempre possibile, ma se si vuole evitare l’impallinamento è necessario un accordo tra le parti.
Dati i risultati la logica potrebbe essere quella di avere un premier di sinistra in buoni rapporti però con le forze conservatrici. Sarà possibile al presidente Macron trovare la quadra? Tra un’estrema destra delegittimata ed una sinistra divisa a contare sarà la capacità di negoziare. Comunque li si voglia leggere, questi risultati sono anche una vittoria per l’Europa.
Iniziano le consultazioni: Appresi i risultati del voto, il premier Attal ha offerto le sue dimissioni al presidente Macron. Quest’ultimo le ha respinte per assicurare la stabilità e gestire gli affari correnti almeno fino al 18 Luglio, quando si sarebbe radunata la nuova Assemblea Nazionale. E’ infatti nel suo interesse potersi rendere conto di come sarà strutturata: gli sarà allora più facile capire come si organizzeranno le varie forze politiche e quali saranno i rapporti tra di loro. Questa volta la Francia si trova di fronte ad una situazione inedita. Dal voto sono emersi tre blocchi, nessuno dei quali ha i numeri necessari per governare: il primo turno è stato vinto dalla Le Pen ed al secondo a prevalere è stato Mélenchon, con il suo partito che è risultato il più forte all’interno del Nuovo Fronte Popolare. Il minimo che si possa dire è che la situazione deve adesso decantarsi. Per capirlo è necessario ricordare che con le desistenze, pur di non consegnare il paese alle destra lepenista, molti elettori hanno scelto al secondo turno di votare per candidati a loro molto distanti.
MEDEF, la più grande federazione dei datori di lavoro in Francia, alla notizia dei risultati è scesa in campo preoccupata dal programma economico del NFP. Ha chiesto stabilità e chiarezza nella gestione della politica economica che scaturirà dal prossimo governo interrogandosi su quale sarà il programma e quali le riforme.
Seppur Mélenchon non sia stato scartato dai suoi, malgrado le indubbie qualità politiche rimane una figura troppo divisiva. Per quel che mi riguarda, penso non sia tanto interessato al ruolo di premier quanto piuttosto alle presidenziali del 2027. Scegliere un candidato che non sia lui va comunque fatto con il suo consenso, cosa a dir poco complicatissima perché bisognerà trattare con lui da un lato e poi convincere Macron dall’altro. Comunque vada a finire, non potrà che essere scelta una personalità capace di includere e non di escludere. In caso non venisse trovato un accordo entro il 18 Luglio, tra le Olimpiadi e la stagione delle vacanze estive, se ne dovrà riparlare intorno ai primi di Settembre. Attal nel frattempo rimane in carica.
L’ideale resta per il presidente Macron avere una maggioranza che non gli voti contro, una via intermedia tra Ensemble e i Républicains, capace di reggere per altri tre anni. Pur non essendo una tragedia, di disordine ce n’è in abbondanza.
Iniziano così le trattative per la formazione del nuovo governo.
Queste le evidenze: Inizierò col dire che per avere la maggioranza al Nuovo Fronte Popolare mancano più di 100 seggi e, come se ciò non bastasse, è inoltre divisa in quattro. Ensemble al suo interno vanta non poche sfumature: le posizioni di Philippe, Darmanin e Borne ne sono un esempio. Nessuno è così in grado di vantare o reclamare la maggioranza.
Avendo chiuso la partita con la destra, il presidente Macron inizia ora quella con la sinistra. Lo scenario migliore potrebbe essere per lui quello di un governo a partecipazione socialista così da spezzare il fronte della sinistra. Dal canto suo, quest’ultima per vincere dovrà guardare al centro. Convincere ad andare d’accordo persone di forze politiche talmente diverse sarà impresa non da poco. Stretti in mezzo a questa situazione, i francesi intanto chiedono un governo in grado di funzionare e di dare una risposta alle loro aspettative. Al momento si può solo dire che malgrado le loro differenze le forze ostili alla sinistra hanno mostrato di saper cooperare. Resta da vedere quali saranno ora i passi successivi.
Come primo gruppo in Parlamento NFP, oltre che le dimissioni di Attal, chiede anche Matignon. Dal punto di vista politico la logica è sacrosanta, ma vi è poi la necessità di governare e di fronte a ciò nessuno può pretendere l’egemonia. Con Mélenchon escluso, è emerso il segretario del Partito Socialista Olivier Faure a dichiarare la sua disponibilità ad assumere il ruolo di premier. E’ ora in diretta concorrenza con LFI. Con Macron sgradito ai francesi, il suo compito sarà ora quello di fare l’arbitro e non il condottiero.
In una lettera prima di recarsi negli Stati Uniti per il vertice Nato, il presidente francese si è rivolto alle “forze repubblicane” chiedendo loro di aprire un dialogo in vista della formazione di una maggioranza solida. E’ sua opinione che da queste elezioni nessuno sia uscito vincitore e cerca perciò di inquadrare un processo negoziale al termine del quale, una volta trovato un compromesso, egli sia in grado di scegliere il premier. Se la Francia ha rifiutato il Rassemblement National, non ha però detto che cosa voleva: in molti hanno votato non in favore di chi preferivano, quanto piuttosto contro chi non volevano. L’elettorato chiede adesso che si passi a fare politica.
Questa lettera di Macron è stata ampiamente criticata dal NFP che pur senza maggioranza assoluta resta sempre in testa. Nel mentre i socialisti stanno manovrando per dividere la sinistra dato che non gradiscono né il RN, né LFI. Se Ensemble ha ottenuto 168 seggi, di questi oltre una trentina lo sono grazie alle desistenze, tutte da parte del NFP, che il presidente vorrebbe spezzare. Intanto per LFI chi si sposta verso il centro non è che un traditore del Nuovo Fronte Popolare. I socialisti ed i verdi sono prigionieri del NFP che non potrà andare lontano senza includere LFI. Mélenchon sorride sornione guardando al 2027 con l’intenzione di gettare i socialisti nelle braccia della destra di governo, così da poter affermare “la sinistra sono io”.
Laurent Vauquier, segretario dei Républicains dopo la diserzione di Ciotti, rifiuta qualsiasi governo con il NFP. Della stessa opinione il presidente del Senato Gérard Larcher. Quanto al presidente, sembra quasi che egli voglia dire alle forze in competizione di sbrigarsela tra di loro nel trovare i 289 deputati necessari, facendogli però il favore di escludere sia il RN che LFI. Si è alla paralisi.
Poco da stupirsi se vi è chi parla di “governo zombie”, di “governo fantasma” o addirittura chi dice che non si può uccidere un governo morto. E’ stata anche menzionata l’applicazione dell’art.16 che darebbe pieni poteri al presidente. Venne usato ai tempi della guerra d’Algeria. Al ministro della Giustizia Dupont Moretti, scoraggiata, non resta che concludere: “abbiamo perduto ed è ora insieme che si deve governare”.
Verso le nomine europee e la XXIII Olimpiade: Continuano i dissensi per la disomogeneità della sinistra: LFI propone quattro nomi, tra i quali quello di Mélenchon, socialisti e verdi disapprovano. LFI risponde che è suo il contingente più importante e che perciò la scelta spetta innanzitutto a loro. I socialisti ribattono di aver ottenuto i risultati migliori e di avere più possibilità di guardare oltre i confini del NFP. In seno ad Ensemble si discute sui capofila con un Attal che guarda in direzione del centro e della sinistra ed un Darmanin che pensa invece alla destra gollista.
LFI propone per Matignon Huguette Bello, presidente della regione della Martinica. Con molti dubbi al riguardo i socialisti dicono preferire il loro segretario Olivier Faure. Insieme ai comunisti e ai verdi propongono poi la candidatura dell’economista Laurence Toubiana, scelta subito sgradita a LFI che non la considera una personalità politica e ne disapprova la linea troppo vicina alle istanze di Macron: gridando al tradimento di milioni di elettori, quest’ultimo sospende le trattative. Intanto, a grande maggioranza la formazione di Macron elegge Attal come presidente del gruppo all’Assemblea.
Martedì 16 Luglio si è inaugurato a Strasburgo il nuovo Parlamento Europeo. Con circa il 90% dei voti la maltese Roberta Metsola è riconfermata presidente. Due giorni dopo, il 18, si è votato per la Commissione dove ha prevalso nuovamente Ursula Von der Leyen.
Nella stessa giornata, a Parigi si è aperta la XVII legislatura della V Repubblica. Poco prima il premier Attal, insieme a tutto il governo, aveva deciso di dimettersi. Il presidente Macron ha accettato queste dimissioni chiedendogli di rimanere in carica per consentire all’amministrazione di funzionare e gestire gli affari correnti. Potrà occuparsi solo di quelle questioni inerenti all’attuale amministrazione e non di quelle spettanti al prossimo governo. Tra le cose da gestire, anche la copertura del periodo dei Giochi Olimpici. Resteranno al loro posto anche i ministri.
Oltre al nuovo premier, le forze in campo dovranno accordarsi anche per gli altri ruoli chiave in seno all’Assemblea.
LFI chiede un premier di sinistra. Quest’ultima si era presentata unita alla partenza senza prima affrontare il problema della candidatura del nuovo Primo Ministro. Si aprirà adesso uno scontro dagli esiti incerti perché chi è ostile alla sinistra cercherà un accordo per Matignon.
L’NFP, che di pressioni ne subisce molte, riesce finalmente ad accordarsi e presenta il comunista André Chassaigne per la carica di presidente dell’Assemblea. Si tratta di un ruolo di grande rilievo in quanto corrisponde al quarto potere dello Stato, il cosiddetto “perchoir”. Ha il potere di nominare tre giudici della Corte Costituzionale ed in caso di scioglimento del governo, il presidente ha il dovere di consultarlo.
Ensemble ha presentato la candidatura di Yael Braun-Pivet, i Républicains quella di Juvin, il centro Charles de Courson ed infine RN con Sébastian Chenu. A questi candidati spetta l’affrontarsi in un emiciclo privo di maggioranza: indispensabili saranno le alleanze.
E’ risultata eletta con 220 voti Yael Braun-Pivet che viene così riconfermata presidente. Chassaigne è arrivato secondo con gran scandalo della sinistra che ha definito questa elezione come “rubata”. A conservare la presidenza resta così il partito di Macron e non senza acume politico la Braun-Pivet ha dichiarato necessario mettersi d’accordo, cooperare e cercare compromessi al fine di trovare delle intese. Tra varie contese vengono poi eletti anche il vice-presidente, i questori ed i segretari, dando ad Ensemble 6 delle 8 presidenze di commissione. Una è andata ai socialisti ed un’altra a LFI. Nessun posto di rilievo viene invece accordato a RN, col risultato che la Le Pen ha denunciato intrallazzi tra le altre forze politiche.
Sarà adesso più facile per il presidente rendersi conto dei rapporti di forza all’interno di un’Assemblea del tutto inedita. Riuscirà a spaccare l’NFP e portare verdi, socialisti e comunisti all’interno della sfera di governo? Vi è già chi parla di una possibile alleanza tra Ensemble e i Républicains per un governo di minoranza che otterrebbe l’appoggio di Macron. E’ tutto ancora da vedersi. Ora resta aperta la partita per Matignon.
Il 23 Luglio, a tre giorni dall’apertura delle Olimpiadi e dopo due settimane di negoziati, l’NFP ha finalmente trovato un accordo sul candidato da proporre per Matignon: si tratta della 37enne Lucie Castets, economista ed ex-enarca, sconosciuta al grande pubblico. Nel più vasto panorama dell’attuale contesa politica è una scelta per molti non facile da digerire: è favorevole all’abrogazione della riforma delle pensioni per la quale il presidente Macron ha sostenuto una battaglia delle più aspre, finendo con il ricorrere al controverso art. 49 comma 3 della Costituzione, definito dal giurista Philippe Ardant come “la forma più brutale e più raffinata di razionalizzazione del parlamentarismo”. Si tratta di uno strumento del tutto legittimo ma percepito come un insopportabile abuso e simbolo di un atteggiamento autoritario del governo.
Propone inoltre “una grande riforma fiscale affinché ognuno, individui e multinazionali, paghino la giusta parte”. Decise anche le sue posizioni sulla promozione dei servizi pubblici. Di recente ha sostenuto che “una coalizione con il campo presidenziale è impossibile a causa dei nostri profondi disaccordi”. Con queste premesse sono molti a chiedersi come sia possibile pensare che Macron accetti di nominarla.
Subito dopo il presidente ne ha respinto la candidatura affermando che non nominerà un nuovo governo prima della fine delle Olimpiadi. Appena concluse – ha continuato – sarà sua responsabilità affidare ad un premier l’incarico di formare un governo. Penso a questo punto che sarà solo dopo la fine dell’estate che potrà essere presa una decisione. Egli ha comunque sottolineato la necessità di essere aperti a compromessi e non prigionieri di ideologie perché a perdere sino ad oggi sono stati i francesi. Per via dell’assenza di una chiara maggioranza il paese continuerà intanto a vivere una situazione politica confusa e dagli esiti ancora incerti.
A distrarre la nazione e farle volgere lo sguardo verso qualcosa di più nobile e meno impegnativo dei giochi della politica si è oggi aperta la XXXIII Olimpiade, ricca di spettacoli, scenografie, giochi di luce, balletti, acrobazie, canzoni, sfilate ed altre cose. Un tentativo spesso non riuscito e che poco aveva a che fare con lo sport di glorificare Parigi e la Francia e risollevare il morale della gente. Peccato per la pioggia.