Dalla rinuncia di Biden alla Convenzione di Chicago - la nuova dinamica delle elezioni presidenziali americane.

 

 

Premessa: Per meglio capire il contesto nel quale si sono svolti i fatti dei quali ci apprestiamo a scrivere, vorrei iniziare il testo compiendo un salto indietro nel recente passato.

 

Nella giornata del 12 Luglio si chiudeva il vertice Nato riunitosi a Washington con una forte contrapposizione nei confronti di Mosca ed in tono minore di Pechino. Nelle discussioni si era sottolineata l’urgenza di rimetterla in sesto aumentandone gli effettivi e confermando la sua unità nel contrastare l’offensiva russa in Ucraina. Per non allarmare Mosca, il Segretario alla Difesa Lloyd Austin aveva chiamato il suo omologo russo per evitare il rischio di ulteriori tensioni. Riguardo la Cina, Washington aveva sottolineato la sua crescente preoccupazione considerandola oltre che una rivale anche una minaccia. Ricordiamo che la Nato è l’alleanza più longeva mai esistita.

 

Il presidente Biden, mai come prima nel mirino di chi non lo riteneva più idoneo ad esercitare le sue funzioni, aveva regolarmente tenuto la sua conferenza stampa presso la Nato fatta eccezione per due gravi lapsus. In questo suo intervento aveva illustrato la sua visione sui grandi temi internazionali. La Casa Bianca aveva subito cercato di calmare le acque quando ci si è messo di mezzo anche il mondo dello spettacolo e dei media, entrambi rappresentanti di una élite importante per i Democratici: tutti chiedevano la sua rinuncia alla corsa presidenziale.

 

Kamala Harris è rimasta prudentemente in silenzio preferendo non esporsi vista la sua posizione. Come vice-presidente restava il candidato naturale per assumere la presidenza. La sua sola pecca era che in questi quattro anni di mandato non aveva mai avuto l’opportunità di mettersi in luce, dato che Biden non le aveva mai concesso molto spazio.

 

Per molti osservatori la questione Biden era soprattutto un problema di percezione e ricordavano che già in passato era solito commettere gaffe e confondersi sulle parole. Nulla di nuovo dunque, salvo l’età. Tant’è che la Casa Bianca cercava di tranquillizzare gli animi affermando che egli restava tutt’ora la miglior carta del Partito Democratico, rappresentandone inoltre il punto di equilibrio tra le varie componenti. Va aggiunto che il presidente continua ad incarnare una politica estera molto chiara e come comandante in capo è sempre stato convincente. Ha svolto un buon primo mandato e l’economia americana è in buona salute grazie anche ad importanti investimenti in campo ecologico.

 

Un’improvvisa sorpresa: Il 13 Luglio Trump si era recato in Pennsylvania per tenere un comizio. Poco prima che iniziasse a parlare, un ventenne è salito sul tetto di un edificio poco distante armato di un fucile d’assalto appartenente a suo padre. Mentre l’ex-presidente stava tenendo il suo comizio gli ha sparato contro per tre volte facendo un morto e due feriti gravi. Trump è rimasto colpito di striscio ad un orecchio. La sua reazione è stata delle più cinematografiche, con il pugno alzato in segno di sfida, il volto insanguinato e alle spalle la bandiera americana. La fotografia ha fatto il giro del mondo e con quella bandiera al vento ha ricordato la famosa immagine scattata ad Iwo-Jima sulla vetta del monte Suribachi. Presto è apparsa stampata anche su molte magliette e grazie a questa immagine si è entrati nel martirologio.

 

Nella storia americana quattro sono stati i presidenti assassinati: Lincoln nel 1865, Garfield nel 1881, McKinley nel 1901 e Kennedy nel 1963. Nel 1981 era stato invece ferito Reagan e a Los Angeles nel 1968 era stato ucciso Bob Kennedy, candidato alla presidenza per i Democratici e grande favorito.

 

Biden è subito intervenuto dichiarando che negli Stati Uniti non c’è posto per questo tipo di violenza. Egli ha poi aggiunto che “la politica non dev’essere un campo di battaglia e la violenza non deve entrare a far parte della normalità”. Anche se molti hanno gridato al complotto, si è trattato di fatto dell’iniziativa di un esaltato.

 

Che un simile fatto sia capitato non deve stupire più di tanto: negli Stati Uniti vi sono in circolazione più armi che cittadini anche se, di fatto, chi le possiede è circa un terzo della popolazione che però ne tiene in casa più di una. Ogni anno vi sono in media circa 360 sparatorie di massa, quasi una per ogni giorno dell’anno. Con questo termine si indicano sparatorie che implicano almeno quattro vittime. Quanto alla politica, non sfugge a nessuno la sua polarizzazione: lo stesso Trump aveva istigato alla violenza, tanto che più del 40% dei suoi sostenitori avevano giustificato l’assalto al Campidoglio di Washington che aveva visto morire cinque persone. Tutto ciò diceva non poco sullo stato dell’opinione pubblica e sulla credibilità di molti personaggi pubblici.

 

Nel fervente clima elettorale che sta caratterizzando questa campagna, l’attentato ha assunto per molti un aspetto religioso, se non quasi messianico: egli è stato salvato per volontà divina, il che ne fa un predestinato. A confermarlo le stesse parole di Trump: “solo Dio ha evitato l’impensabile”. Facendo passare tutto il resto in secondo piano ed illuminandolo dell’aureola di chi è stato toccato dalla mano del Signore, l’aspetto del sacrificio suscitato da questi colpi di fucile ha fatto di Trump una vittima ed un combattente allo stesso tempo e ne ha indubbiamente rilanciato la candidatura.

A venirgli ulteriormente in soccorso, la notizia che un giudice federale da lui stesso nominato aveva ordinato l’annullamento del processo sul trafugamento di migliaia di documenti coperti dalla massima segretezza rimossi dalla Casa Bianca e portati nella sua villa di Mar-a-Lago in Florida.

 

La Convention repubblicana: Erano appena passate 72 ore dall’attentato di Meridian che si apriva a Milwaukee nel Wisconsin la Convenzione del Partito Repubblicano nella quale si confrontavano due Americhe. Nel corso dell’evento Trump ha ottenuto la nomina ufficiale del partito incassando i voti di 2388 delegati su 2429. Gli astenuti sono stati 41. Per ottenere la candidatura erano necessarie 1215 preferenze. Come sempre in queste occasioni, a trasparire è un tono di allegria, vivacità e spensieratezza. A regnarvi sono spesso il pittoresco ed il folcloristico.

 

Di fronte alla solennità del momento, egli ha lanciato un appello all’unità del partito e scelto come suo vicepresidente il 39enne senatore dell’Ohio, J.D. Vance. Mentre Trump affermava di voler unire il paese, il suo vice fresco di nomina descriveva Biden come incapace di prolungare il suo mandato. Nikki Haley ed il governatore della Florida Ron De Santis sono saliti sul palco per complimentarsi con Trump ed offrirgli il loro appoggio. In tutto questo, il Partito Repubblicano si è mostrato unito e compatto intorno al suo candidato.

 

Nella serata di giovedì Trump ha pronunciato il suo discorso di accettazione. Dal podio aveva esordito promettendo alla platea di diventare il presidente di tutti gli americani e non solo della metà. Ha poi detto che Dio è stato al suo fianco quando gli hanno sparato, per aggiungere poco dopo che non intende demonizzare le idee dell’opposizione, ma che comunque il suo compito è quello di salvare il paese da un governo incompetente e fallimentare. Una volta eletto, il suo impegno sarà quello di riportare la pace nel mondo e porre fine ad ognuna di quelle crisi internazionali figlie dell’azione del precedente governo: i Democratici hanno distrutto il paese e lui, con un paio di telefonate, farà la pace.

 

E’ stato duro riguardo l’ambiente, affermando che con lui riprenderanno le trivellazioni. Riguardo l’immigrazione illegale, egli ne impedirà l’ingresso e per meglio riuscirci terminerà la costruzione del muro da lui iniziata lungo la frontiera con il Messico. Farà la deportazione più grande della storia. Ha poi parlato di autarchia, dazi doganali, tagli alle tasse e sgravi fiscali.

 

Se questo suo discorso mostrava che egli rimaneva sempre lo stesso Trump che in passato, in alcune sue parti si è presentato con nuove parole ed un tono diverso dando l’impressione di volersi mostrare più saggio che in precedenza, a cominciare dalle sue dichiarazioni che sarà il presidente di tutti gli americani, indipendentemente dal colore, dalla religione, dalle opinioni ed evitando di insultare chi non si trovasse d’accordo con lui. Che l’attentato, ponendolo di fronte alla fragilità della vita ed alla sua mortalità, lo abbia reso più saggio? Vedremo.

 

Il fondo del discorso, tuttavia, più di tanto non è poi cambiato: appare sempre quella sua tendenza all’approssimazione e alla vaghezza nelle sue proposte. Non ha mai fatto menzione di alcuna cifra. Questo suo discorso è durato 93 minuti e non vi è da sorprendersi che abbia predetto per sé una “vittoria incredibile” con tutta quell’enfasi che lo caratterizza. La Convenzione si è chiusa con una pioggia di palloncini colorati.

 

J.D. Vance, il nuovo vicepresidente: Infanzia difficile, genitori divorziati, cresciuto dai nonni materni. Subito dopo la scuola si era arruolato nei Marines per poi servire in Iraq e definire quel periodo come decisivo per la sua vita. Tornato in patria, si è laureato summa cum laude all’Università statale dell’Ohio. In quel periodo ha collaborato presso gli uffici del senatore repubblicano Bob Schuler. Nel 2013 ha ricevuto un dottorato in Giurisprudenza dall’Università di Yale, per poi trasferirsi in California ed entrare nel mondo del venture capital, ossia di quelle attività di investimento in capitale di rischio di aziende non quotate, in fase di start up e caratterizzate da un forte potenziale di sviluppo.

 

Autore di un romanzo dal titolo “Hillbilly Elegy: A Memoir of a Family and Culture in Crisis”, che dal 2016 al 2017 è stato nella lista dei libri più letti del New York Times. Lo stesso giornale lo ha poi descritto come uno dei libri indispensabili per aiutare a capire la vittoria di Trump. Il Washington Post lo ha definito la "voce della Rust Belt". Molto criticato invece dal The New Republic che lo ha descritto come il "falso profeta dell'America blu". L’opera è stata molto criticata anche dall’economista William Easterly, originario del West Virginia.

 

Quest’opera tratta della vita di quei settori della classe media americana lasciato indietro dalla globalizzazione, di quell’America fatta di famiglie a basso reddito, bianche, che nessuno ascolta, di gente che si vede trascurata e che la politica non è riuscita ad intercettare: quell’America degli Appalachi e degli Ozarks, fatta di hillbillies, termine dispregiativo traducibile in bifolchi e flyover come li definiva la Clinton, agli occhi di molti espressione di quello snobismo delle élite urbane nei confronti di chi non si è laureato ed è rimasto indietro. Con quest’ultimo termine, non meno dispregiativo, si indicano quei territori tra le due coste degli Stati Uniti sui quali passano gli aerei e dove sono in pochi a fermarsi.

 

Nel Dicembre 2016 Vance ha dichiarato di volersi trasferire in Ohio per avviare un'organizzazione no-profit, candidarsi a una carica ed impegnarsi nella lotta alla tossicodipendenza in quell’area degli Stati Uniti nota come la Rust Belt. Si tratta di un'espressione che si riferisce alla regione compresa tra i monti Appalachi settentrionali e i Grandi Laghi, un tempo centro dell'industria pesante. Traducibile con "cintura della ruggine", fa riferimento a quei fenomeni di declino economico, spopolamento e decadimento urbano dovuti alla contrazione del settore industriale.

 

Nel 2017 è entrato come partner in una società di investimento creata da Steve Case, tra i fondatori di America On Line, concentrandosi su quelle regioni escluse delle bolle tecnologiche della Silicon Valley e di New York. Divenuto un collaboratore della CNN è poi stato uno dei fondatori di Narya Capital, un fondo di venture capital a Cincinnati.

 

Nel Luglio del 2021 Vance si è candidato a senatore dell'Ohio. L’anno successivo ha vinto le primarie del Partito Repubblicano con il 32% dei voti. Nel corso di queste aveva ottenuto l’appoggio dell'ex-presidente Trump. L '8 Novembre è stato eletto senatore con il 53% dei voti, contro il 47% del candidato democratico Tim Ryan.

 

Il 15 Luglio 2024, Trump ha rivelato tramite un post di averlo scelto alla vicepresidenza. Vance è stato nominato ufficialmente nella Convenzione Nazionale Repubblicana che si è svolta dal 15 al 18 Luglio 2024. Andrebbe aggiunto che quest’ultimo aveva espresso in passato giudizi durissimi su Trump, definendolo inidoneo alla presidenza ed indegno a governare, un idiota. Lo aveva anche paragonato a Hitler. Biden ne parla invece come un clone di Trump, un isolazionista, del tutto ostile all’aborto e agli immigrati, protezionista in economia, profondamente religioso e sostenitore del principio dell’America First. Egli ritiene anche che l’Ucraina non deve avere la precedenza sulle necessità degli americani.

 

Malgrado tutto queste parole, merita di essere ricordato che a vincere le elezioni sono i candidati presidenziali e non i loro vice. Anche in questo caso emerge la conferma che nello scontro tra Biden e Trump sono due Americhe che si confrontano. Si tratta comunque di una scelta interessante sia per la sua biografia che per il suo essere in linea con le idee di Trump.

 

Due parole le meriterebbe anche il Partito Repubblicano, oggi diventato quello di Trump. Egli è stato così abile nell’appropriarsene che non ha più nulla a che fare con quello che era il partito di Reagan e, più recentemente, di Mc Cain: quelle idee, quella visione del mondo e quello spirito non vi trovano più posto e se di ciò qualcosa dovesse rimanere, dati i tempi è difficile possa esprimersi. O si abbraccia la retorica di Trump o è meglio non aprire bocca. Candidato e partito hanno finito con l’identificarsi l’uno con l’altro.

 

A vedere i filmati della Convenzione, con la passerella di una variopinta parentela fatta di mogli, figli e nipoti, molti amici inclusi, c’è da domandarsi se il partito non si sia mutato in un’impresa di famiglia. Questo a chi vive in Italia qualcosa dovrebbe ricordare. Sappiamo intanto che Trump intende consolidare il suo potere e ha già avvisato che sostituirà 50 mila impiegati governativi.

 

Dall’armadio usciva Elon Musk, dichiarandosi trumpiano ed offrendo la cifra di 45 milioni di dollari al mese come contributo elettorale. Sempre dal mondo dell’alta tecnologia ecco apparire anche David Sacks. A farsi vivi persino alcuni capi di fondi di investimento. Che si stia facendo avanti uno plutocrazia di affari che ha bisogno di ordine?

I guai di Biden: Nella stessa giornata della chiusura della Convenzione che vedeva trionfare Trump, giungeva la notizia che il presidente Biden era stato costretto a cancellare un discorso a Las Vegas e rinunciare ad alcuni eventi elettorali in Nevada perché si era preso il Covid. Si era quindi ritirato per riposarsi nella sua proprietà nel Delaware.

 

Poco da stupirsi se erano aumentate le pressioni affinché si ritirasse, tanto che al coro di una ventina di eletti democratici che gli avevano chiesto pubblicamente di rinunciare, si era anche aggiunto il nome di Adam Schiff, dal 2001 membro della Camera dei Rappresentanti per lo stato della California.

 

Dalla sua residenza il presidente aveva risposto che si sarebbe reso disponibile a riconsiderare la sua candidatura a condizione che un medico avesse emesso una diagnosi di non idoneità a svolgere il suo ruolo alla Casa Bianca. Quella sua, aveva sottolineato, era l’età della saggezza e vi era per lui ancora molto lavoro da fare. Era quindi contrario a mollare. A farsi avanti è stato lo stesso Obama, che gli aveva chiesto di riflettere sulla sua candidatura. Con la Convenzione del partito in arrivo a Chicago, era sempre più chiaro che i Democratici non potevano più continuare a lungo con questo dibattito interno.

 

Biden, che intanto era in via di miglioramento, aveva annunciato che la settimana successiva avrebbe nuovamente ripreso la sua campagna elettorale, aggiungendo che si dichiarava certo della vittoria e che in fin dei conti a decidere non doveva essere il partito, ma l’elettore.

 

Chiuse le giornate di Milwaukee, Trump proseguiva la sua campagna elettorale recandosi insieme al suo vice nello Stato chiave del Michigan dove gli esiti del voto sono tutt’ora in bilico. Sul posto ha detto di aver subito un attentato per la democrazia e che perciò non può essere visto come un pericolo per quest’ultima. Questa tappa indica la sua intenzione di concentrarsi sulla Rust Belt che lui sa rappresentare la metà di quegli Stati chiave indispensabili per ottenere la presidenza. La sosta ha gettato anche luce sulla scelta di Vance, che per il suo passato spera possa attirare e convincere l’elettorato di questi Stati, tra i quali vi sono anche la Pennsylvania, il Wisconsin, la Georgia, l’Arizona ed il Nevada. Trump al momento risulta ancora in leggero vantaggio sul suo rivale. In una successiva telefonata a Zelensky ha promesso che, se eletto, porrà fine alla guerra. Della Harris un suo avvocato aveva detto che non poteva farsi eleeggere alla Casa Bianca “perché non è americana”.

 

Nel mentre, sempre dalla sua residenza nel Delaware, il presidente Biden rendeva pubblico il messaggio che, per quel che lo riguardava, egli intendeva restare in corsa. Aumentava intanto il numero degli eletti democratici che insistevano perché si ritirasse. Ora erano in 35 e gran parte di loro proveniva dalla Camera dei Rappresentanti. Arrivavano voci che sia l’ex-presidente Obama che Nancy Pelosi, decana del Partito Democratico, gli avessero entrambi chiesto di rinunciare.

 

Nella giornata del 21 Luglio il presidente, in una lettera agli americani, annunciava il suo ritiro dalla corsa per la Casa Bianca. A seguito di un periodo di interrogativi, esitazioni e consultazioni con la famiglia, Biden aveva deciso di cedere alle pressioni del partito: per lui – annunciava – era stato un onore servire il Paese. Per il tempo che gli restava si sarebbe impegnato a chiudere la sua presidenza nel migliore dei modi. Aveva capito che sarebbe stato meglio per tutti se si fosse ritirato. Certo che fosse rimasto deluso perché fino al giorno precedente egli pensava convintamente di poter contrastare l’esito dei sondaggi, in particolare se si pensava che sino a quel momento era stato l’unico capace di battere Trump. Non avendo indicato subito il nome della Harris, erano in molti a domandarsi se si sarebbe andati in direzione di una Convenzione aperta.

 

Nel 2020 – va ricordato – egli si era presentato di fronte agli elettori come un candidato di transizione che non prevedeva andare oltre il suo primo mandato. Credo sperasse di avere tempo sufficiente per riconciliare le componenti del partito. Gli eventi successivi e le faglie sempre più evidenti in seno alla famiglia democratica gli avevano gradualmente fatto cambiare idea: per rimettere a posto le cose e rimediare alle continue tensioni tra l’ala moderata e quella più a sinistra sarebbe servito più tempo.

Questa decisione è stata per lui molto sofferta e vi è da chiedersi se in cambio alla rinuncia non abbia prima posto delle condizioni. Si erano anche fatte sempre più insistenti le pressioni da parte dei grandi finanziatori del partito, ai quali non erano sfuggite le sue debolezze. Crescenti anche le insistenze dell’elettorato, che al 70% riteneva fosse troppo anziano e non doveva ripresentarsi. Queste alcune delle reazioni all’estero: il presidente francese Macron lo lodava per il suo coraggio ed il suo senso del dovere. Da Kiev, Zelensky lo ringraziava per le decisioni coraggiose prese in favore del suo paese. Con estrema discrezione, il Cremlino comunicava di seguire la situazione.

 

Da parte repubblicana, nessun gran commento in quanto faceva tutto sommato comodo avere un Biden come avversario per via dei suoi acciacchi e del calo delle sue possibilità di vittoria: avrebbero dovuto per forza cambiare strategia e chissà se sarebbe stato ancora possibile contare sulla stanchezza dell’elettorato democratico. Altro inconveniente da non sottovalutare, il fatto che adesso Trump si trovava ad essere il candidato più anziano per la Casa Bianca.

 

Il presidente si esprime in favore di Kamala Harris: Rispondendo alle attese del partito e per evitare ulteriori incertezze, Biden aveva annunciato che avrebbe dato il suo appoggio alla candidatura della sua vice Harris. Nel dare al suo partito una possibilità di vittoria egli aveva reso l’ultimo servizio al paese. Non esente da qualità, non era ben vista da molti nel partito e non poteva certo definirsi popolare. Biden l’aveva tenuta nell’ombra e lei non si era distinta nell’affrontare il problema dell’immigrazione illegale. Più popolare tra i giovani che tra gli anziani, gli veniva rimproverato di esprimere una visione politica derivante dalle sue origini urbane. Non restava ora che attendere l’imminente Convenzione democratica di Chicago e l’arrivo dei suoi 3900 delegati: nel sistema elettorale americano l’ultima parola spetta ai Grandi elettori.

 

L’evento non sarà privo di interesse perché in tempi normali lo scopo delle Convenzioni è quello di presentare alla nazione un candidato già scelto dal partito: vero è che la Harris sia stata indicata direttamente dal suo capo, ma nessuno l’aveva scelta prima. D’altro canto, quale vicepresidente ha un vantaggio che è quello di avere a disposizione dalle casse del partito i mezzi per finanziare la sua campagna elettorale che a fine Giugno ammontavano a 240 milioni di dollari, dei quali 94 sono già a sua disposizione. Che si possa assistere ad una Convenzione aperta con nuovi candidati?

 

Toccherà a lei adesso scegliere il suo vice e dovrà farlo con cura, perché dovrà tener conto degli equilibri interni al partito e trovare il modo di soddisfarli. Considerando ciò che rappresenta, per controbilanciare potrebbe scegliere un uomo, bianco, possibilmente di mezza età, proveniente da uno Stato a maggioranza repubblicana o da uno di quegli Stati in bilico espressione di un ambiente sociale diverso.

 

Intanto ecco giungere alla Harris l’appoggio dei Clinton e del governatore della California.

 

Del tutto spiazzato dal gesto di Biden e non poco preoccupato da questo rovesciamento della situazione, Trump non aveva perduto tempo a darle addosso descrivendola come una pazza ed una corrotta che non fa che ridere: con un simile avversario per lui la vittoria sarà più facile. Quanto a Biden, lo aveva descritto come il peggior presidente che vi sia mai stato e tanto meglio che si fosse dimesso. Per quel che riguarda i fondi disponibili per la campagna elettorale, i Repubblicani ne hanno presto contestato l’utilizzo sostenendo che non era alla Harris che spettavano e che quindi non gli potevano essere trasferiti.

 

Nel corso dell’ultima settimana di Luglio iniziava a cadere la reticenza di molti finanziatori del Partito Democratico e giungeva la promessa di 45 milioni di dollari da parte dei piccoli finanziatori. Era ormai evidente come la Harris avesse un appoggio sufficiente da potersi considerare il candidato ufficiale del partito. Conoscendo ormai piuttosto bene il suo avversario, è partita all’attacco descrivendolo come un ladro, un truffatore, un bugiardo ed un predatore sessuale. Non stava perdendo tempo.

 

Il Partito Democratico sembrava aver ritrovato la sua unità: anche se ancora mancava il consenso degli Obama, la Harris aveva incassato l’appoggio del senatore Bernie Sanders insieme a tutti i giovani dell’ala sinistra del partito. I contributi dei piccoli finanziatori erano saliti a 80 milioni di dollari. In risposta e conscio di perdere il vantaggio dell’età e del vigore, Trump lanciava alla Harris l’accusa di omertà riguardo lo stato di salute di Biden, che già dall’Ottobre del 2021 all’interno della cerchia della Casa Bianca si sapeva non stesse bene. L’accusa era quella di aver taciuto il fatto, cosa che il suo ruolo di vicepresidente non gli imponeva certo di fare.

 

Kamala Harris inaugura la sua campagna elettorale: Pur non ufficialmente riconosciuta come tale, la Harris aveva acquisito un numero sufficiente di delegati da considerarsi tale. Il Partito Democratico ed i grandi media si stavano tutti impegnando nella costruzione di un personaggio da rendere accettabile alla nazione. Considerando il momento dell’anno, non vi era un minuto da perdere: la mancanza di tempo era il suo problema più grande. Doveva scendere in campo il prima possibile. I

Forte della sua carta principale, la ritrovata unità del Partito Democratico, il 23 Luglio inaugurava la sua campagna elettorale recandosi a Milwaukee, nello stesso luogo dove si era svolta la Convenzione repubblicana. Le sue donazioni erano salite a 100 milioni di dollari, il 62% delle quali proveniva da soggetti che donavano per la prima volta. I due presidenti del Congresso, Chuck Schumer e Hakeem Jeffries le avevano dato pubblicamente il loro sostegno e così anche il sindacato dei metallurgici. George Soros, Reid Hoffman e Melinda Gates, ex-moglie di Bill, avevano anche loro dato il proprio appoggio. A questi si aggiungeva anche l’attore George Clooney, grande sostenitore del Partito Democratico con un ruolo importante nella raccolta fondi. Vi era da prevedere una campagna delle più aspre.

 

Queste alcune delle parole pronunciate da Kamala Harris nel suo energico discorso:

Trump vuole portare il nostro paese indietro”. Tra gli applausi ha aggiunto: “Vogliamo vivere in un paese libero, giusto e compassionevole o in un paese in preda al caos, alla paura e all’odio?”. Ha poi promesso di garantire il diritto all’aborto, di combattere la povertà e di rafforzare la classe media.

 

In questa stessa giornata, il presidente Biden ristabilitosi era tornato alla Casa Bianca.

Verso Chicago e la scelta del suo vice: Tre giorni dopo, in una telefonata orchestrata per essere sentita da tutti e francamente non priva di ridicolo anche per il tono di voce usato, gli Obama erano usciti allo scoperto dichiarandosi fieri di darle il loro appoggio e pronti a fare il possibile per vederla prevalere. Con questo si può dire che la Harris abbia definitivamente in mano la candidatura ma dovrà comunque attendere di recarsi a Chicago per considerarsi ufficialmente in lizza. La parola d’ordine dei democratici è adesso: tutti con Kamala.

 

Diventava adesso impellente affrontare un calcolo politico certamente non facile ma molto importante per la sua corsa alla Casa Bianca: quello della scelta del suo vice. Si tratta di una decisione da valutare col bilancino, perché è necessario tenere conto non solo degli equilibri politici in seno al partito, ma anche in confronto agli Stati e all’elettorato. Da qualche tempo circolava una manciata di nomi, in particolare quello di Josh Shapiro, 51enne governatore della Pennsylvania. Si tratta di uno degli Stati chiave e perciò importante. L’uomo ha le qualità necessarie ed è considerato un liberale. Ad andargli contro la sua ambizione personale, la sua forte identità ebraica ed il suo sostegno ad Israele. Correva così il rischio di alienarle le simpatie dell’ala sinistra del partito e di molti giovani, che lo consideravano troppo allineato sulle posizioni di Gerusalemme. Da ridire qualcosa avrebbero potuto essere anche i conservatori.

Tra le altri possibili scelte quella di Mark Kelly, senatore dell’Arizona con un passato da astronauta. Per via dell’ubicazione del suo Stato è considerato come un esperto di questioni legate all’immigrazione. Altra possibilità Tim Walz, governatore del Minnesota, Stato in grado di rappresentare il cosiddetto Midwest, uno di quegli Stati centrali che la Clinton aveva definito con tono dispregiativo “Flyover States”. Vi era poi il governatore del Kentucky Andy Beshear. Si tratta in questo caso di un democratico eletto in un feudo repubblicano e perciò interessante per le sue possibilità di attirare quella parte del partito non aderente a Trump. Infine, il giovane Pete Buttigieg, Segretario dei Trasporti, buon oratore ed omosessuale benché sposato con una donna di colore: scelta interessante per la sua capacità di mandare un chiaro messaggio a quella parte più liberale ed aperta del Partito Democratico. L’inconveniente, essere certamente inviso ai conservatori e agli ambienti religiosi.

 

All’inizio del mese di Agosto si apprendeva che la Harris era riuscita a raccogliere la somma di 310 milioni di dollari in contributi elettorali, oltre il doppio di quelli versati a Trump. Biden dichiarava di non potersi sentire più fiero di questa candidatura. Da uno scrutinio online si aveva la conferma che ormai già più della metà dei delegati si era schierata in suo favore. L’annuncio era stato dato dal comitato elettorale del partito. La sua candidatura ufficiale veniva così confermata e lei rispondeva di sentirsi onorata ad essere la prima donna di colore a ricevere l’investitura per la presidenza.

Da questo momento dovrà dedicare se stessa alla campagna elettorale e mettervi tutto il suo impegno. Dovrà non mostrarsi debole ma neppure troppo parziale nei confronti di un ala o l’altra del partito. Essenziale per lei dare la precedenza a quelli che sono i sei Stati chiave, senza l’appoggio dei quali non le sarà possibile venire eletta. Si può dire che la sua campagna elettorale stava decollando da questo momento.

 

Oltre a nominare il suo vice dovrà presentare un programma che finora non può dirsi adeguatamente messo a fuoco. Cosa vuol fare col suo partito nei prossimi quattro anni? Al momento non sembra esservi un programma veramente nuovo né l’indicazione di una visione del futuro. Di fronte a lei Trump per il momento parte all’attacco diffondendo sospetti, insulti, misoginia ed opinioni razziste. Ancora non ha trovato modo di ricalibrare la sua campagna di fronte ad un candidato del tutto diverso da Biden. Dal punto di vista dell’elettore, tre sono gli aspetti più importanti: l’economia, la sicurezza con il tema collegato dell’immigrazione e l’aborto. Sui primi due il vantaggio è ancora in mano a Trump, sull’ultimo è avanti lei.

 

Il 6 Agosto finalmente, a pochi giorni dalla Convenzione democratica, la Harris ha sciolto la sua riserva riguardo la scelta del vicepresidente. Fino a poco prima la rosa si era ristretta a due nomi: Josh Shapiro e Tim Walz. Come accennato in precedenza, le serviva un uomo bianco dell’età giusta ed in grado di rivolgersi ad un elettorato per lei difficile da raggiungere. Doveva allo stesso tempo evitare di attirare troppa attenzione su di se ed esserle complementare. La scelta è infine caduta su Walz: bianco, 60 anni, con un passato da insegnante, ex-membro della Guardia Nazionale, 12 di attività alla Camera, buona conoscenza dei meccanismi del Congresso e poco conosciuto dagli elettori in generale.

 

Chi è Tim Walz: Al fine di poter meglio capire questa scelta, non priva di importanza nel definire la candidatura della Harris e dare anche filo da torcere a Trump, penso sia utile dedicare alcune righe al personaggio.

 

Dopo essersi laureato, Walz aveva accettato un incarico di un anno come insegnante a Guangdong, in Cina. L'anno successivo era tornato in Nebraska per accettare una cattedra di professore ed allenatore di football ad Alliance. Nel 1993 venne nominato Giovane d’Eccellenza dalla Camera dei Giovani del Nebraska. Una volta sposato, decideva di trasferirsi con la moglie a Mankato, in Minnesota, dove venne assunto come professore di geografia e allenatore della squadra di football della Mankato West High School. In questo periodo aveva promosso decisioni volte all'inclusione, come ad esempio un'alleanza gay-etero nella squadra di cui era allenatore.

 

Dal 1994 al 2003 aveva diretto insieme a sua moglie il programma dell’Educational Travel Adventures, il cui scopo era organizzare viaggi estivi di istruzione per studenti liceali. Nel frattempo aveva anche ottenuto un master in Scienze dell’Educazione con una tesi sull’insegnamento dell’Olocausto. Nel 2006 ha preso un periodo di congedo dall’insegnamento per concentrarsi sulla sua campagna per il Congresso, dove ha servito dal 2007 al 2019.

 

Durante quel periodo si era opposto alla decisione di Bush di invadere l’Iraq. Successivamente aveva votato in favore di una proposta di legge che destinava alla guerra circa 95 milioni di dollari. Per lui – aveva dichiarato – si trattava di garantire la sicurezza delle truppe sul campo. Restava comunque in favore di un negoziato per il ritiro dei soldati. Nel corso della crisi economica del 2008 aveva più volte espresso il suo giudizio contro l’utilizzo dei soldi del contribuente per il salvataggio degli istituti finanziari.

 

Si è poi impegnato con i suoi colleghi di partito per sostenere l’economia con la creazione di posti di lavoro soprattutto tramite investimenti nel campo delle infrastrutture. Ha affrontato quei temi di stimolo economico importanti per il suo distretto elettorale, includendovi anche il settore agroalimentare.

 

Al momento dello shutdown del governo federale nel 2013, egli rinunciò al suo stipendio per donarlo ad un’organizzazione che combatteva la fame per prendersela soprattutto col movimento conservatore del Tea Party accusandolo di irresponsabilità in una situazione che poteva essere del tutto evitata.

 

Tre anni dopo ha votato contro la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che affermava come illegale la costruzione degli insediamenti israeliani nei territori occupati di Cisgiordania. Nel 2017 si parlò di lui come possibile candidato per il seggio al Senato occupato da Al Franken. Avendo già annunciato la sua candidatura a governatore diede il suo appoggio per il seggio al vicegovernatore Tina Smith. Sconfitto il candidato repubblicano, venne eletto governatore del Minnesota il 6 Novembre 2018. E’ stato rieletto l’8 Novembre 2022 dopo aver battuto il suo rivale repubblicano.

 

A seguito dell’uccisione di George Floyd ha chiesto venisse fatta giustizia ed in risposta ai disordini che ne erano seguiti fece intervenire la Guardia Nazionale ricevendo elogi persino da parte di Trump. Riuscì poco dopo a trovare i compromessi necessari per ottenere il passaggio di una legge sulla riforma della polizia.

 

Riguardo il tema dell’aborto, nel Gennaio 2023 firmò una legge che favoriva provvedimenti inerenti la riproduzione, la contraccezione, i trattamenti per la fertilità e garantiva l’aborto. Successivamente fece passare una legge che impediva l’emissione di mandati di comparizione, l’estradizione o l’arresto di donne provenienti da altri Stati che si recavano in Minnesota per abortire.

 

Legalizzò l’uso ricreativo della cannabis con un provvedimento entrato in vigore il 1 Agosto del 2023. Nel Giugno 2024 ha firmato una legge che impediva ai fornitori di prestazioni sanitarie di rifiutare le cure necessarie a chi aveva debiti contratti per la salute e che questi potessero influire sulla affidabilità creditizia della persona.

 

Concluderò aggiungendo che è un progressista, fautore di una politica sociale d’avanguardia e dei potenziali candidati quello più a sinistra. E’ vicino ai sindacati, si è battuto per i pasti gratuiti nelle scuole e proviene da un ambiente rurale, categoria alla quale Kamala Harris non ha facile accesso: con il suo aiuto potrà distanziare il Partito Democratico dalle due coste e dai grandi centri urbani per connetterlo con un’America diversa. E’ pienamente in grado di rassicurare sia chi rifiuta l’estrema destra che l’estrema sinistra. Tutto sommato una buona scelta.

 

Appena nominato ha dichiarato trattarsi dell’onore di una vita, aggiungendo che farà progredire l’America, si batterà nell’interesse delle classi medie e che Trump ignora cosa voglia dire servire il Paese. Quest’ultimo lo ha subito ricompensato affermando che sarà il peggior vicepresidente della storia oltre che un pericoloso radicale. Ha poi condito il piatto dicendo che i due vogliono fare degli Stati Uniti un paese comunista e che la mancata scelta di Shapiro è stata un insulto agli ebrei.

 

Ho voluto soffermarmi per un paio di pagine sulla figura di Walz non per annoiare il lettore ma aiutarlo a capire quella che sarà la natura del programma della Harris. Le consentirà infatti di potersi rivolgere a quel settore delle classi medie appartenenti al ventre del Paese che per il suo stesso passato avrebbe difficoltà a raggiungere. Per la sua capacità di parlare al proprio ambiente sociale Walz in alcuni Stati chiave potrebbe far girare il vento a favore del Partito Democratico.

 

E’ con lui che Kamala Harris ha fatto il suo ingresso in Pennsylvania inaugurando il suo giro dei sette Stati chiave prima di giungere a Chicago. L’impressione che vi ha lasciato è stata buona, il che fa sperare che la coppia possa essere in grado di mobilitare il voto degli indecisi. Ora non è più sola, ha un vice con il quale potrà finalmente fare campagna elettorale ed insieme dovranno esprimere un programma che vada oltre le dichiarazioni di principio. “Siamo pronti a vincere”, sono ora le sue parole.

Reazioni di Trump, tappe elettorali della Harris ed una strana intervista: Dalla sua villa di Mar-a-Lago Trump, di fronte alla nuova dinamica acquisita dalla campagna elettorale dei Democratici, decideva di riprendere in mano la situazione proponendo tre dibattiti su altrettante emittenti televisive da svolgersi il 4, il 10 ed il 25 Settembre. Ha poi suggerito che Biden fosse stato vittima di un complotto ordito in seno al Partito Democratico per sottrargli la presidenza. Affermazioni simili indicano che sia decisamente seccato, se non addirittura frustrato di fronte alla realizzazione che la sua rivale stava conquistando quella popolarità che a Biden era venuta a mancare. Per ora la Harris ha risposto di accettare il confronto del 10 Settembre da svolgersi sulla rete ABC e così si sono accordati.

 

Dopo la tappa di Filadelfia, dove ha parlato di fronte ad una platea di 12mila persone, la Harris insieme a Walz si è recata Mercoledì 7 Agosto in Wisconsin. Il giorno successivo è stata in Michigan e da lì a Phoenix, Arizona, per la giornata del 9. Sabato si è fermata a Las Vegas per raggiungere San Francisco la domenica, dove Nancy Pelosi l’ha presentata alla platea del noto Fairmont Hotel.

 

Ad ogni tappa la coppia veniva accolta con crescente entusiasmo ad indicare che la campagna stava acquistando maggior forza e dinamismo e che il Partito Democratico ritrovava quell’orgoglio e quella fiducia che si andavano perdendo con Biden. I loro rivali Trump e Vance iniziavano invece a rimanere indietro. Restano valide le parole pronunciate pochi giorni fa dalla Harris quando aveva detto che l’energia c’è, che nelle manifestazioni l’interesse è innegabile ma resta ancora molto da fare e nulla può essere dato per scontato.

Di qualche interesse l’intervista di due ore fatta da Elon Musk a Donald Trump, non tanto per i suoi contenuti quanto per un aspetto folcloristico. Visionario del hi-tech e uomo più ricco del mondo, non può certo vantare di essere anche un giornalista e ci si chiede se non abbia avuto nulla di meglio da fare. Un incrocio tra un folletto ed un pagliaccio, egli non può dirsi esperto di politica ma sembra voler aspirare ad un ruolo di leader ideale o di consigliere della destra mondiale e dell’internazionale reazionaria. Solo per menzionare l’Italia, quando vi si è recato è stato ospite della Meloni alla kermesse di Atreju, per poi andarla a trovare insieme alla figlia nel suo ufficio di Palazzo Chigi. Visto che c’era, ha poi accettato l’invito di Salvini facendogli visita presso il suo ministero. Dal 2001 ad oggi sembra volersi dare un ruolo politico attivo che, con i suoi mezzi di comunicazione e social media, non può che dargli un posto nella costruzione/deviazione dell’opinione pubblica.

Nel corso di questi 120 minuti di diretta audio su X non è stato fatto nessun annuncio di rilievo né si è potuto ascoltare alcunché di importante o di nuovo. Tra le sue varie affermazioni, Trump ha detto di essere persuaso che l’Iran intende attaccare Israele e ha lodato Maduro esaltando le sue capacità di far rispettare l’ordine a casa propria. E’ stato infine lusinghiero con Musk, affermando che aveva fatto bene a licenziare qualche migliaio di lavoratori che si erano messi in sciopero contro di lui. Si è dichiarato a favore delle energie fossili, pur compiendo un passo indietro sulle auto elettriche che Musk produce e vende. Hanno entrambi preso di mira la Harris, non reputandola all’altezza di discutere con i leader internazionali, descrivendola inoltre come troppo di sinistra.

Quest’intervista, svoltasi via audio, è andata tutta a svantaggio di Trump: non erano visibili i suoi movimenti, i suoi gesti, le sue pose e le sue espressioni. Si è sentita solo la voce di un candidato stanco, spesso biascicante e con una padronanza della lingua non certo all’altezza di quello che potrebbe essere il suo ruolo. Elon Musk non gli ha fatto nessuna domanda incalzante o provocatoria, anzi, lo lodava. Ne è venuto fuori un candidato poco originale, in difficoltà, quasi noioso ed incapace di dire qualcosa di nuovo, che si trova ad annaspare di fronte al crescente consenso dell’avversario. Nessuna sorpresa dunque ed un’impresa che alla fine è andata più a favore di Musk, candidatosi a revisore dei conti della nazione, che di Trump. Non si può che chiudere la cosa dicendo che con il pubblico bisogna essere chiari ed evitare di dire sciocchezze.

Nella tappa in Maryland alla Harris ed al suo vice si è affiancato anche il presidente Biden, con l’intento di dar maggior slancio alla campagna. E’ in questi giorni che si sta elaborando la visione di un programma economico per il futuro. Intanto, è stato comunicato un accordo raggiunto con delle case farmaceutiche per vendere a prezzo ridotto una serie di farmaci per il cuore destinati agli anziani. La fermata successiva è stata nella Carolina del Nord, ove è iniziato a delinearsi il suo programma economico fatto per conquistare le classi medie, offrendo loro maggiori opportunità.

Si delinea un programma economico: Nel suo discorso di Raleigh ha iniziato a esprimere una visione più chiara e concreta di quello che sarà il suo programma economico che mira a conquistare le classi medie dando loro maggiori speranze. Queste le sue parole: “La chiave per creare l’economia delle opportunità è investire sulle nostre classi medie”. Le ha descritte come quella base sulla quale si fondano la prosperità, la crescita e la stabilità del paese. Vanno dunque rinforzate per proiettare la nazione in un futuro più prospero, sicuro e migliore. Allo scopo, ha proposto una serie di linee guida che andranno messe a fuoco e definite più accuratamente.

Di queste classi medie è innanzitutto necessario consolidare il potere d’acquisto, da qui la decisione di diminuire la pressione fiscale sui meno abbienti, concedere dei crediti d’imposta per le nuove nascite e varare un programma per rimediare all’emergenza abitativa che colpisce i meno fortunati. Si tratta di promuovere la costruzione di tre milioni di alloggi a prezzo accessibile entro la fine del suo mandato. Inoltre, moderare i prezzi delle derrate alimentari e rendere più accessibili alcune categorie di medicinali da destinarsi soprattutto alla parte più anziana della popolazione: ha deciso così di aprire un’indagine al fine di sorvegliare e contrastare le prassi scorrette delle grandi società.

Per molti americani il problema oggi è quello del carovita e dell’inflazione, che rappresenta per loro una sfida. Da qui la volontà di consentire a tutti i cittadini al di là della loro origine e condizione economica di poter competere e prosperare.

Pur mancando ancora alcuni dettagli specifici su un certo numero di proposte da approfondire nel corso delle prossime giornate elettorali, diventa perfettamente comprensibile la scelta di Tim Walz. Per esperienza di vita egli è un perfetto esempio di quel ceto medio degli Stati centrali, di quell’America rurale che ne fa la scelta migliore per rivolgersi a coloro che si sentono trascurati e si preoccupano del futuro. Pochi come lui avrebbero la capacità di rivolgersi a questa America, di farsi sentire e di persuaderla.

Per quel che valgono i sondaggi negli Stati Uniti, la Harris ed il suo vice Walz sono in rimonta tanto da considerarsi in vantaggio nel Wisconsin ed in Pennsylvania, due degli Stati in bilico, in recupero nel Michigan e guadagnando terreno negli altri. Non a caso continuano a piovere le accuse di Trump, che descrivendola come comunista parla di “compagna Harris”.

La Convenzione di Chicago: Pur non ben vista all’inizio, la Harris è riuscita in breve tempo ad uscire dall’ombra di Biden, ricavarsi uno spazio proprio e decollare: è sbocciata, suscita entusiasmo ed è stata capace di restituire fiducia ed unità al partito. In poche parole, dalla rinuncia di Biden le è riuscito di acquistare un formidabile slancio politico e trascinare con se i militanti democratici convinti adesso di potercela fare.

La Convenzione le darà l’opportunità di mettersi ulteriormente in vista, definirsi in modo migliore come candidato e delineare il suo programma politico, soprattutto nei confronti degli indecisi. Servirà infine a celebrarne l’investitura insieme a quella del suo vice. In un mare di folla, musica, colori, bandiere, cartelloni e cappellini, saranno presenti oltre 50 mila tra capi, rappresentanti, delegati, elettori e sostenitori del Partito Democratico. Interverranno gli Obama, i Clinton ed il presidente Biden. Imponenti le misure di sicurezza garantite dalla presenza di oltre 2500 addetti all’ordine: FBI e servizi di sicurezza hanno lavorato insieme oltre un anno per pianificare il buon andamento di questa grande rappresentazione politica.

La prima giornata: La Convenzione si è aperta nella giornata del 19 Agosto con Kamala Harris ed il suo vice Walz che arrivavano in pullman a Chicago dopo aver concluso il loro giro di incontri in Pennsylvania. Avranno ora quattro giorni di tempo per dare il meglio di loro stessi. Nessuno potrà mai dire che gli americani non conoscessero Trump o non avessero familiarità con Biden. Lei, al contrario, non aveva mai avuto un’identità chiara e queste giornate le daranno l’occasione di farsi conoscere di fronte ad una platea nazionale e persuadere gli indecisi. Va infatti ricordato che non è stata scelta dal partito.

Malgrado il crescente entusiasmo e la ritrovata unità, per i Democratici vi sono ancora delle domande da porsi e dei messaggi da far passare per darle quello slancio che le consentirebbe di vincere a Novembre. Quest’evento fornirà quel colpo di acceleratore necessario alla campagna elettorale, ad accoglierla come il nuovo candidato del partito e a rendere omaggio al vecchio presidente. Con l’intero partito per lei, questa Convenzione sarà più di una semplice formalità necessaria verso la Casa Bianca.

Se è possibile definire questa giornata, la si potrebbe chiamare quella dell’eredità di Biden che apre ad un cambio di generazione. Il suo discorso è stato la sua ultima missione ed il passaggio di testimone.

Il discorso di Joe Biden: Accolto da una grande ovazione, grida di entusiasmo e ringraziamenti, in mezzo and un mare di cartelli con scritto su “We love Joe”, il presidente con grinta, energia e coerenza ha tessuto le lodi della sua prescelta per concludere che “Trump è un perdente e Kamala Harris la scelta migliore”. Ha poi parlato della sua eredità, esortando gli americani a votare per la libertà e la democrazia, sottolineando che negli Stati Uniti non vi è spazio per la violenza politica. Ha voluto ricordare che quando è entrato alla Casa Bianca la democrazia era sotto attacco. Oggi il progresso è possibile e l’America ha di fronte a sé i suoi giorni migliori. “ Ci siamo uniti nel 2020 per salvare la democrazia”.

Ha continuato dicendo che si è ad un punto di svolta e che è per l’anima dell’America che bisogna adesso votare. La democrazia va presidiata. Ha poi parlato della necessità di rimettere in piedi le classi medie, affermando che il compito di un Presidente è quello di portare risultati per tutti. Sua intenzione era di lasciare un’America più forte, unita e moderna. Con gli Stati Uniti il mondo è migliore.

Le parole di Hillary Clinton: Ha poi parlato Hillary Clinton dicendo di quanto l’America potrà cambiare con la Harris. Ne ha tessuto l’elogio, indicandola come colei che incarna il futuro ed il progresso. E’ dunque necessario sostenerla perché ha carattere ed esperienza e invita tutti ad aiutarla a diventare il presidente degli Stati Uniti. Con queste parole la Clinton ha così contribuito a rafforzare l’immagine della Harris e dare un saluto a Biden. Ha voluto anche condire il suo discorso offrendo un tributo alle donne, parlando di maggiore libertà riguardo l’aborto ed augurandosi che possa venire presto infranto il tetto di cristallo.

A sorpresa è intervenuta anche Kamala Harris ringraziando Biden per la sua leadership ed esprimendogli tutta la sua gratitudine insieme a quella dell’intera nazione. Ha concluso menzionando la bellezza del loro grande paese, oggi unito e coeso, capace di andare avanti con ottimismo, fede e speranza. “Quando noi combattiamo, vinciamo”. Senza una parola di rancore è così calato il sipario sull’era di Biden.

La sala è esplosa in un’atmosfera di entusiasmo e commozione. Si è trattato di un grande spettacolo che dice molto dello stato in cui si trova il Partito Democratico, fino a qualche tempo fa confuso e smarrito. E’ riuscito a fare una stella di una figura che in precedenza non aveva mai suscitato entusiasmo. Credo che buona parte di questa improvvisa ed insospettata rimonta sia da spiegare in gran parte con il terrore di una vittoria di Trump.

Tra gli interventi menzionerò brevemente quello di Alexandria Ocasio-Cortez, 34 anni, Rappresentante dello Stato di New York ed importante esponente dell’ala giovane della sinistra radicale democratica, spesso accusata di voler spaccare il partito. Appoggia le idee di Bernie Sanders ed è vicina ai DSA (Democratic Socialists of America). E’ stata accolta dalla platea con un coro ritmato di AOC, che sarebbe l’acronimo del suo nome.

Ha iniziato ringraziando Biden e dichiarandosi ottimista riguardo il futuro. In quanto a Trump, ha sostenuto che non potrà vincere in quanto disposto a vendere gli Stati Uniti per un dollaro. Ha chiesto di fare quadrato intorno alla Harris esortandola a rendere effettivo un cessate il fuoco a Gaza. Con lei verrà eletto un presidente per la classe media che offrirà grandi possibilità, che si è battuta per i meno abbienti, per i diritti riproduttivi e civili e contrastare l’avidità delle multinazionali. Con questo suo discorso ha confermato l’unità del partito.

A poca distanza da dove si stava svolgendo la Convenzione democratica si trova il centro di Bridgeview, sede della più grande comunità palestinese d’America. I suoi abitanti sono in collera ed annunciano proteste contro le politiche di Biden e della Harris nei confronti di Israele e della popolazione civile di Gaza. Chiedono un embargo sulle armi e tagli ai fondi destinati a Gerusalemme. In gran numero si sono espressi dicendo che né l’uno né l’altro sono i benvenuti e che non avranno il loro voto. Sempre in favore della causa palestinese si è svolta una manifestazione di protesta di fronte alla sede della Convenzione alla quale sono seguiti alcuni arresti.

Mentre nella giornata di Martedì 20 la Harris e Walz erano ripartiti per proseguire la campagna in Wisconsin, alla United Arena di Chicago entravano in scena suo marito Doug Emhoff, sessant’anni, nato a Brooklyn da famiglia ebraica, oggi avvocato, l’ex-First Lady Michelle Obama e suo marito Barack, 44° Presidente degli Stati Uniti e attesissimo fulcro del Partito Democratico.

Penso sia giusto dedicare un paragrafo anche all’intervento dell’82enne Bernie Sanders, senatore del Vermont ed indipendente vicino al Partito Democratico. E’ considerato come la più eloquente figura della sinistra americana e spesso molto in disaccordo con il partito su diversi punti tanto da diventarne una spina nel fianco.

Accolto con entusiasmo dal pubblico, parlando di Gaza ha chiesto il rilascio degli ostaggi ed un cessate il fuoco immediato: “Dobbiamo porre fine a questa orribile guerra a Gaza”.

Ha parlato degli Stati Uniti come di una nazione spaventata che guarda al governo per essere aiutata. Biden – ha proseguito – ha risposto mettendo in piedi un programma che in tre anni e mezzo ha fatto più di qualsiasi governo dai tempi di Roosevelt, ma che resta comunque molto ancora da fare. E’ venuto in soccorso alle classi lavoratrici, ha aiutato le piccole imprese, resa più accessibile la sanità, messo in piedi una serie di programmi sociali per venire incontro ai bambini e alle classi medie in sofferenza. Per tutto ciò ha voluto ringraziare Biden, la vicepresidente Harris ed il Congresso democratico.

Se eletti, realizzeranno quello che il popolo americano si aspetta dal governo, si batteranno per la libertà e faranno tutto quello che c’è da fare. Joe e Kamala hanno aiutato gli anziani e lui si augura ora di poter lavorare insieme a lei e a Tim Walz per portare avanti questo programma. Eleggere dunque Kamala Harris ed andare avanti “per costruire il Paese che vogliamo diventare”. Con queste sue parole l’anziano senatore ha voluto sigillare la ritrovata unità dei Democratici.

L’intervento di Doug Emhoff: Salito sul palco e seguendo un rituale molto americano, Emhoff con grande informalità e disinvoltura si è rivolto alla platea raccontando episodi della sua vita e descrivendo momenti della sua carriera. Passando al suo divorzio, ha poi ripercorso la sua vita con Kamala Harris dal momento che l’ha conosciuta, il loro amore, la sua carriera politica.

Ha iniziato raccontando come attraverso un amico ha potuto incontrare in un appuntamento al buio un giovane avvocato di nome Kamala Harris. Da lì ai timidi approcci iniziali, all’innamoramento ed infine al matrimonio. Parlando di sua moglie l’ha descritta come un guerriero gioioso, lodandone il carattere e sottolineandone l’attività facendo emergere una persona dedita al suo lavoro, sempre pronta ad occuparsi degli altri e a lottare per il bene e la giustizia. Questo è il suo momento e lei è la più pronta e qualificata.

Il turno di Michelle Obama: Questo intervento è stato seguito da un’ampia ovazione quando ecco dirigersi verso il podio Michelle Obama, che nei suoi anni alla Casa Bianca è riuscita ad attirare grande stima e simpatia. Seguita da applausi, ha iniziato col dire che nell’aria aleggia qualcosa di magico, il potere contagioso della speranza. E’ tornata la speranza. La platea ha sussultato esplodendo in un entusiastico applauso. Ha ripreso il suo discorso elogiando la sua amica Kamala, sottolineando come in America vi siano ancora molte cose da fare e che per la sua onestà e la luce che sprigiona sia la sola a capire l’impegno necessario per occupare il posto di presidente.

Da lì è passata a lanciare i suoi strali contro Trump, evidenziandone i sentimenti razzisti, la tendenza a distorcere le cose e la sua prepotenza. Nel caso dovesse vincere non migliorerà la vita di nessuno e farà diventare tutti più piccoli. Egli fa parte di quella schiera di persone che diffondono la menzogna e pensano ad incrementare la loro ricchezza. Perché accettare tutto questo da chi dovrebbe diventare presidente? Gli americani tutti meritano di più e non vi è dunque altra scelta che votare per Kamala Harris e Tim Walz. Resta comunque una battaglia in salita ed è necessario fare il possibile per eleggerla.

Per sottolineare l’urgenza del momento, ha poi avvertito che si deve subito iniziare a fare qualcosa perché ci sono solo due mesi e mezzo di tempo. Indirizzandosi direttamente al pubblico ha chiesto se sa quello che deve fare, dicendo poi che “è Michelle Obama che vi chiede di fare qualcosa”. Sarà un’elezione contesa fino all’ultimo e a decidere il vincitore saranno pochi voti. L’agire dà potere alla speranza e da ciò dipende la vita di tutti: si deve sempre guardare più in alto. E’ impellente eleggere Kamala Harris e Tim Walz.

Il discorso di Barack Obama: Al termine tutto il pubblico ha risposto con entusiasmo senza lesinare applausi, quando ecco arrivare sul palco la star della serata, Barack Obama. Accolto da sua moglie con sorrisi ed abbracci viene presentato alla platea che esplode in entusiastiche ovazioni, ulteriori applausi ed agitando un mare di cartelli. Elegante e sobrio nel suo abito scuro, ringiovanito nell’aspetto da quando ha lasciato la Casa Bianca. Tra i militanti del partito egli resta il più popolare e questo suo intervento sarà giudicato come un avvenimento perché visto da tutti come una sorta di oracolo capace di ungere un candidato.

Credo sia utile sottolineare che in questa occasione si è fatto avanti e messo a disposizione piuttosto presto. Quattro anni fa, nel momento in cui doveva appoggiare la candidatura di Biden, per di più suo vice, egli non si espresse nel corso delle primarie per poi farsi vivo solo a tre settimane dal voto.

Le sue prime parole hanno espresso il piacere di essere tornato finalmente a casa. Si sentiva caricatissimo e pronto ad agire. Aveva poi continuato affermando che se prima il partito aveva perduto speranza, ora una persona dal nome strano riuscirà a fargli risalire la china. Un elogio poi a Biden per la sua resilienza, empatia e dignità. Cori dalla platea: “Grazie Joe!”, “Grazie Joe!”, “Grazie Joe!”.

Tornato il silenzio, ha annunciato una contesa dura all’interno di un paese diviso nel quale sono in molti a credere che il governo non sia capace di aiutare. Di fronte a ciò, un miliardario che non aveva cessato un istante di pensare ai suoi problemi, infantile d’animo e prono verso le teorie di cospirazione. Egli cerca il potere per finalità che gli sono proprie e per aiutare i suoi ricchissimi amici. A questo punto, guardando direttamente il pubblico gli ha chiesto non di fischiare, ma di andare a votare.

Per finirla con Trump, ha dichiarato che non servono altri quattro anni di pagliacciate per poi descriverlo come nemico delle donne, incline a dividere il paese ed a raccontare che se lo si fa governare saranno tutti più sicuri: uno dei trucchi più vecchi della politica. Per quest’uomo la libertà è far solo ciò che più gli piace. L’America è pronta per qualcosa di nuovo e Kamala Harris è pronta a compiere il suo lavoro: non si concentra sui suoi problemi, ma su quelli degli altri ed al suo fianco avrà un partner straordinario che sa cosa è importante. Un rapido passaggio poi sul tema della sicurezza con l’affermazione che i confini verranno protetti e le strade rese più sicure.

Questa coppia ha tenuto fede ai valori dell’America e sa che tutti hanno diritto ad un’opportunità perché questi sono anche i suoi valori. “Se eletta, è ai vostri problemi che Kamala Harris si dedicherà e non a quelli suoi”. Applausi, ovazioni e agitarsi di cartelli su molti dei quali era scritto “Libertà”, “Ohio”, “USA”. Il mondo, aveva poi proseguito Obama, avanza velocemente e l’unico modo per vincere è quello di schiacciare l’avversario e costruire la democrazia. Il mondo osserva gli Stati Uniti, che non possono più agire da gendarme del mondo pur restando possibile promuovere la pace e la libertà. “Gli Stati Uniti sono la forza del bene”. Parafrasando quello che era stato lo slogan della sua campagna politica ha voluto gridare “Yes, she can!”.

In questa cultura che premia le cose che non durano e dove regna il rancore, si deve volere qualcosa di meglio e si deve volere essere migliori. Per farcela, in questi restanti 70 giorni è per tutti necessario agire come mai prima: “Eleggeremo Kamala Harris come presidente e Tim Walz come suo vice per realizzare un Paese più giusto, libero e sicuro. Rimbocchiamoci adesso le maniche e che Dio benedica l’America”.

Ad indicare il mutamento della situazione ed il diverso umore del Paese è la copertina dell’ultimo numero della rivista New Yorker: vi si vede il disegno a colori di un ottovolante nel quale due vagoncini corrono a tutta velocità. All’interno di quello diretto verso l’alto si vedono sorridenti Kamala Harris e Tim Walz, nell’altro, che sta scendendo in picchiata, Trump insieme a Vance con una smorfia di terrore. E questo ci riporta al Donald.

In un’intervista alla CNN, Trump si è dichiarato disponibile a dare un incarico di governo a Robert Kennedy jr, candidato indipendente, nel caso decidesse di ritirarsi dalla corsa. Dopo aver detto che gli piace e lo rispetta, lo ha descritto come “un tipo di persona molto diverso, molto intelligente” e “che sarebbe onorato di ricevere questo sostegno”.

In una recentissima dichiarazione prima di un comizio nella cittadina di Howell in Michigan, Trump aveva proposto di prendersi Elon Musk come ministro o consigliere, esternando poi su dazi a tutto spiano e deregolamentazioni su ambiente e cambiamento climatico. Questa cittadina ha una storia legata al Ku Klux Klan e lo scorso mese, al grido di "Heil Hitler" ed esibendo cartelli con la scritta "White Lives Matter", aveva sfilato un gruppo di suprematisti bianchi. Nei pressi, altri invece gridavano "Noi amiamo Hitler, noi amiamo Trump".

Trump e Musk sono entrambi esperti nell’arte della provocazione e continuano a girarsi intorno. Va ricordato che il primo era stato bannato da Twitter e Musk, una volta acquistato il social network, poi ribattezzato X, gli aveva offerto una tribuna d’onore. Se eletto, Trump vorrebbe ora immetterlo nella sua cerchia di governo. Una volta che a Musk era stato chiesto cosa pensasse del ruolo di presidente, lui aveva risposto che gli sarebbe stato stretto: “è come trovarsi su una barca dai remi troppo corti” e che la sola differenza tra lui e chi occupa la Casa Bianca è solo il fatto di non poter dichiarare guerra.

Sono entrambi inebriati dal potere e per ottenerlo e stare insieme sembrano disposti a tutto, al punto di smentirsi e rinnegare se stessi. Un esempio: Musk fino al 2020 si dichiarava democratico, mentre Trump aveva fatto marcia indietro sulle auto elettriche, parte importante degli affari di Musk. Se quest’ultimo non dovesse partire per Marte, che non vi sia un riavvicinamento ideologico e strategico tra i due?

Le parole di Bill Clinton: A salire sul podio, Bill Clinton. Eletto due volte, ha rappresentato un momento della storia americana ed è rimasto uno dei pilastri del partito. Invecchiato ma per sua fortuna molto dimagrito, non aveva più la cadenza di un tempo nel muoversi e la sua voce perduto forza.

Ha iniziato mettendo di fronte alla platea l’importanza di questa elezione che, a secondo del vincitore, potrebbe significare per il paese o l’opportunità di un passo avanti o la sfortuna di un passo indietro, l’unità o la divisione. Il popolo americano si riunisce ogni quattro anni per decidere ed ora è necessario contribuire a rendere attuali quei sogni che sono i sogni di ognuno. Un presidente può rispondere a questa chiamata oppure sottrarvisi impedendo di fare ciò che andrebbe fatto. La scelta adesso è votare per Kamala Harris, che si impegna a favore della gente, o Trump, capace di pensare solo a se stesso. Lei offrirà ad ogni americano la possibilità di veder realizzati i suoi sogni: quel che chiede è “Cosa posso fare per voi?”.

C’è un’elezione da vincere e Trump è coerente: crea caos, divide e non passa una sola giornata a non ringraziare il Signore per l’opportunità di servire se stesso e ciò che questo significa per lui. ”Non sono le sue bugie che bisogna contare, ma quante volte parla di se”.

C’è sempre qualcosa di buono che si può fare per qualcuno e Kamala Harris è la sola a possedere l’esperienza, la volontà ed esprimere la gioia di far qualcosa. Al contrario di Trump, “che parla invece sempre e solo di se stesso e si lagna di essere vittima di cospirazioni, Kamala parla di voi”. Ha poi chiesto se si vuole costruire un’economia forte per tutti o parlare per quattro anni di nulla. I Democratici hanno creato molti posti di lavoro perché Kamala Harris ha visione ed esperienza. Adesso servono alloggi e sanità a costi accessibili.

Trump – ha voluto aggiungere – non aveva il minimo rispetto per l’America e quando era alla Casa Bianca con aria seria poteva vantarsi di avere il rispetto della Russia e della Corea del Nord. Che devono pensare gli altri paesi? Rivolgendosi al pubblico ha chiesto se si voleva un’America più inclusiva e più gioiosa che è quella che vuole Kamala Harris. Da candidato alla presidenza la sua prima decisione è stata quella di aver chiesto a Tim Walz di essere il suo vicepresidente.

Da lì Clinton è passato a tesserne le lodi, indicandola come la miglior scelta possibile. Ha poi proseguito con l’affermare che si deve decidere se far passi avanti per rendere più perfetta l’Unione o indebolirla. Si è inoltre congratulato con la Harris per le sue battaglie e l’esperienza acquisita: per ogni americano che lavora farà sì che non debba conoscere la povertà e che ognuno dovrebbe avere una casa. Ha sottolineato la necessità di eleggerla perché lei vuole la felicità di tutti. Resta certo ancora molto da fare e se eletta si infonderà nuova vita alla nazione, tanto da suscitare l’orgoglio di figli e nipoti. E’ necessaria la guida di Kamala Harris, Presidente della felicità e quando accadrà, ne saranno tutti fieri. “Dio benedica l’America!”. Applausi, ovazioni.

Ha poi parlato Nancy Pelosi, che con i suoi 84 anni ed i capelli tinti è la decana del Partito Democratico. All’interno del partito è stata tra quelli ad insistere di più perché Biden rinunciasse alla candidatura. Lo ha lodato per tutto il lavoro svolto e per la sua visione patriottica dell’America, per aggiungere di essere sicura che Kamala Harris riuscirà a portare gli Stati Uniti ancora più in alto. Possiede una grande fede ed è un leader forte ed eloquente allo stesso tempo con tutte le capacità necessarie oer vincere un’elezione.

Di Tim Walz ha detto di conoscerlo bene, di aver lavorato con lui al Congresso e di averlo visto battersi con coraggio e buonsenso per le cause giuste. “Grazie Tim”.

Volgendosi al passato ha rivisitato la giornata del 6 Gennaio 2020 come causa di pericoli e di violenza e ricordandola come una minaccia per l’ordinamento democratico. Quel giorno sono stati loro a salvare la democrazia americana e a farla prevalere. “La nostra democrazia è forte quando sono forti il nostro coraggio ed il nostro impegno”. Questo rende dunque necessario eleggere Kamala Harris e Tim Walz perché bisogna stare insieme per rifiutare un’autocrazia. Votare quindi per un Senato democratico ed eleggere una Camera dello stesso colore e per presidente Kamala Harris e come suo vice Tim Walz. “Avanti America!”. Applausi, grida di consenso.

A seguirla, la star della tv Oprah Winfrey che ha affermato che tutti vedono in Kamala Harris il presidente di domani. La giornata è stata carica di discorsi, tutti in lode della candidata.

Il momento di Tim Walz: In questa penultima giornata della Convenzione è arrivato l’atteso momento del governatore del Minnesota Tim Walz, scelto dalla candidata democratica come suo vice. Egli aveva finora mostrato le sue qualità di persuasione nel corso della campagna elettorale. Ora doveva farlo di fronte alla platea della United Arena ed al pubblico dell’intera nazione.

Con lui entrava in scena un rappresentante della classe media e la scelta strategica per riequilibrare il ticket democratico. Capace di unire la tradizione progressista alle difficoltà di chi si sente lasciato indietro, egli quell’uomo di tutti i giorni nel quale le classi medie possono identificarsi e non certo quella caricatura dell’estremista radicale dipinta da Trump.

Di corporatura robusta, aspetto ordinario e sicuro di sè, si è affacciato per salutare la platea e presentarsi. Per milioni di americani sarebbe stata la prima occasione per conoscerlo e valutarlo. Parlando del suo passato, delle sue esperienze, della sua carriera e dei ruoli svolti, egli ha detto a tutti di battersi per dare la presidenza a Kamala Harris e andare a votare. Descrivendo se stesso, si diceva sincero e di non aver mai rinunciato ai suoi valori, di essere fiero di ciò che ha realizzato a beneficio dei meno abbienti e per i diritti delle persone ed il loro benessere.

Conclusa questa introduzione e seguendo un prassi tipicamente americana, ma senza cadere nel melenso, ha voluto tratteggiare i suoi sentimenti nei confronti della famiglia e dire quanto le volesse bene. Andando avanti spiegava che è di libertà che in questo caso si stava parlando, non certo però di quella indicata da Trump che si traduceva nel far ciò che a lui fa più comodo.

Parlava della necessità di migliorare la vita di tutti e delle responsabilità nei confronti dei figli e di tutti gli altri. Trump ed il suo vice J.D. Vance renderebbero ad ognuno la vita più difficile facendo aumentare i costi per le classi medie, incluse le spese per la sanità. Il loro “è un programma che non serve a nessuno e che nessuno ha richiesto”. E’ sbagliato, pericoloso ed i prossimi quattro anni con loro sarebbero più difficili per tutti.

Non è indietro che si vuole tornare e con noi vi è qualcosa di meglio che ha nome Kamala Harris”. Da lì è passato a tesserne le lodi e ricordare il suo agire ispirato da gioia e da passione. Prima di chiedere il voto è bene si sappia che la sfida è quella di diminuire la pressione fiscale, rendere a tutti la casa più accessibile e facilitando l’acquisto di medicinali. In breve, venire incontro alle necessità della classe media ed agire in loro favore. E’ necessario sapere che “abbiamo la squadra giusta e partiamo all’attacco”. Kamala Harris ha carattere ed esperienza e mancano 76 giorni: si deve voltare pagina per rendere l’America un luogo dove nessuno è lasciato indietro e nessun bambino deve soffrire la fame. “When we fight, we win”. Quando combattiamo, vinciamo.

Con queste parole ha accettato come il più grande onore della sua vita la nomina a vicepresidente degli Stati Uniti. Fragorosi applausi, grandi ovazioni e cori di “Coach Walz, Coach Walz”.

Questo discorso, interamente rivolto alle classi medie e a quelle persone rimaste indietro, ne ha rappresentato un elogio promettendo di rendere la loro esistenza più giusta e ricca di opportunità. Un elenco di buone intenzioni e giusti sentimenti ma senza quell’ispirazione e quello slancio che hanno caratterizzato i discorsi migliori.

Ha evidenziato equilibrio, competenza e buonsenso. Poco però sul contesto internazionale ed il ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Si è presentato come un politico capace di misurarsi con le circostanze, dedito al lavoro, non di grande spessore culturale, disponibile all’ascolto, aperto, affidabile e solido. Non portato all’astrazione, individualista ma pronto ad agire nell’interesse della collettività. Rappresentante ideale di quell’America rurale dalle infinite distese di campi di mais, gli orizzonti aperti, le fattorie tipiche ed i piccoli centri, senza troppi grilli per la testa e forte senso di comunità, opposta alle sirene di Trump.

Il discorso di accettazione di Kamala Harris: Giovedì 22 Agosto, ultimo giorno della Convenzione democratica. In un completo giacchetta, pantaloni e scarpe con tacco, il candidato Harris si è portata al centro del podio per pronunciare quello che sarebbe stato il più importante discorso della sua carriera. Nel 2003 era stata eletta procuratore della città di San Francisco e nel 2013 è stata la prima donna di colore ad entrare al Senato. Scelta da Biden nel 2019 per la vicepresidenza, non vi si è particolarmente distinta.

Al suo ingresso l’intera platea della vasta sala dell’arena di Chicago l’ha accolta con entusiasmo, ben sapendo che avrebbe chiuso la Convenzione accettando la sua candidatura. I sondaggi la davano vincente, pur sempre restando nel margine dell’errore.

Mi manca, mi guarda dall’alto”. Con queste parole ha iniziato il suo intervento, il racconto di un viaggio all’interno del sogno americano, di una donna sbarcata venendo da lontano e di un padre di origine giamaicana. Ripercorrendo il suo passato ha raccontato come sua madre sia entrata negli Stati Uniti per studiare e così migliorare la propria vita. Poco prima del suo ritorno a casa aveva incontrato un uomo del quale si era innamorata e che ha poi sposato.

Come spesso accade con tutti gli inizi, questi sono stati difficili e per via del lavoro dei genitori veniamo a sapere di molti traslochi e di una vita movimentata e senza molti punti di riferimento. Di suo padre diceva che le aveva insegnato a non aver paura, ad andare avanti. Poi, il divorzio e ricordi di una vita trascorsa tra parenti, vicini e famiglia e di quei valori che le sono stati trasmessi, amore e fede in particolare.

Prosegue il racconto aggiungendo che un’altra cosa ad essergli stata insegnata è quella di non abbandonarsi mai al lamento, ma di alzare la testa e far qualcosa in proposito, soprattutto quando si tratta di combattere le ingiustizie. I genitori, giovani e pieni di speranza, si erano infatti conosciuti frequentando raduni in difesa dei diritti civili. Da qui il passo a voler diventare avvocato e per un sentimento di giustizia in seguito pubblico ministero.

Una volta in tribunale, nel corso dei suoi dibattiti non agiva tanto in difesa della vittima quanto e soprattutto in difesa del popolo americano. Era infatti sua opinione che tutti avevano diritto alla giustizia e che se si faceva del male ad una persona, a soffrirne di fatto era ogni individuo: un danno alla persona era un danno alla collettività. “In tutta la mia carriera – ha riassunto – ho avuto un solo cliente, il popolo americano”.

A quel punto, una breve pausa, poi le parole tanto attese: “Io accetto la vostra candidatura a Presidente degli Stati Uniti d’America”. Scrosci di applausi, gente in piedi, ovazioni, entusiasmo, agitarsi di cartelli col suo nome ed altri con quello dei vari Stati, a lettere nere su fondo bianco.

Pronunciate le tanto attese parole, ha poi continuato dicendo che con queste elezioni il Paese avrà l’opportunità di lasciarsi alle spalle le divisioni del passato per conoscere condizioni migliori, tracciare un percorso nuovo, far rispettare lo stato di diritto ed avere un passaggio di poteri pacifico. Ha precisato che sarà un presidente con i piedi per terra, realista e pragmatico. Che si batterà per tutti, incluse quelle donne e quei bambini vittime di abusi o di ingiustizie; si opporrà alle grandi banche, contrasterà gli interessi stabiliti e quelli delle importanti società. Lo stesso farà per i veterani, che molto hanno dato al paese, per gli studenti e per gli anziani vittime di soprusi.

Mai arrendersi, questa è una battaglia per il futuro della nazione ed anche una delle più importanti. Breve pausa per passare al suo rivale Trump. Non si tratta di una persona seria, anche se molto serie sarebbero le conseguenze di una sua vittoria. Più esplicitamente, e per sottolineare queste sue affermazioni, ha voluto ricordare come egli avesse deciso di ignorare il voto del popolo americano incoraggiando l’assalto al Campidoglio. Ha poi parlato di crimini ed abusi sessuali, sottolineando quanto possa essere pericoloso averlo alla Casa Bianca.

Tra le altre cose, ha attaccato giornalisti e schierato soldati contro la gente. Uno come lui non potrebbe che sentirsi immune da tutto e privo di controllo. Egli, alla fine, non fa che servire l’unico cliente che ha mai avuto: se stesso. Vuol riportare al passato il paese, ma nessuno intende tornare indietro. Vuol tagliare la sanità, l’istruzione, la previdenza sociale. Di nuovo, non si vuole tornare indietro. Non traccia nuovi sentieri né nuovi percorsi per far crescere una classe media robusta e “Io vengo dalla classe media”. Insieme al suo vice si impegnerebbe ad offrire a tutti di competere e di avere successo.

Il suo rivale non ha a cuore le classi medie ma esclusivamente se stesso ed i suoi amici miliardari. Tagli alle tasse a chi possiede di più per aumentarle a chi ha meno. L’America non sarà in grado di prosperare se non si offre alle persone la possibilità di prendere decisioni riguardo la loro vita. Trump si era scelto i giudici della Corte Suprema per togliere alle donne la libertà riproduttiva. La Harris è poi passata a menzionare il destino delle donne violentate, l’ingiustizia di vietare l’accesso alla contraccezione e di escludere la possibilità di abortire. Non si fida delle donne. “E’ fuori di testa”. Applausi, ovazioni e grida di approvazione.

Ad essere in ballo – ha proseguito – sono molte altre libertà fondamentali come votare, vivere in un ambiente sano e respirare aria pulita. Passando alla sicurezza, ha dichiarato di conoscerne bene l’importanza ed averla a cuore, soprattutto alle frontiere. Si proponeva di riorganizzare il sistema dell’immigrazione. “Mi rifiuto di giocare con la sicurezza per motivi politici”.

All’estero si sarebbe impegnata a promuovere quelli che sono i valori americani e lo stesso farà per difendere la sicurezza nazionale: come Comandante in capo ha promesso di garantire agli Stati Uniti le migliori Forze Armate e di fare il possibile che siano loro a guidare il mondo. Sua intenzione quella di consolidare la leadership dell’America e non certo abdicarla. Sarebbe stata al fianco degli alleati della Nato e non come Trump, amico e protettore di autocrati o dittatori che lei ripudia. Questi tifano per lui e sanno bene come manipolarlo. Ha espresso le sue preoccupazioni riguardo l’Iran e detto che avrebbe continuato a stare al fianco dell’Ucraina.

Passando a Gaza, aveva spiegato di aver lavorato 24 ore su 24 con il presidente Biden per avere la pace. Avrebbe sempre sostenuto il diritto di Israele a difendersi affinché mai più potesse verificarsi un altro 7 Ottobre. Tuttavia, era devastante anche ciò che si vedeva accadere a Gaza: sono sofferenze che le spezzano il cuore. Si sarebbe impegnata a porre fine al conflitto per dare al popolo palestinese sicurezza, libertà ed autodeterminazione. Sulle questioni internazionali aveva detto che mai avrebbe ceduto e che “so come e dove si deve porre l’America”. Applausi e grida di approvazione.

Amo questo Paese con tutto il cuore, un Paese pronto ad andare avanti e compiere il passo successivo. Qui tutto è possibile”. Aveva poi sottolineato l’importanza di sostenersi l’uno con l’altro, che nell’unione c’è la forza. Se i nemici vogliono denigrare l’America sarà la sua gente a mostrare al mondo chi è ed indicare i suoi valori di libertà, opportunità e dignità della persona. “Siamo gli eredi della democrazia più grande del mondo e tocca a noi, guidati da fede ed ottimismo, far ciò che è stato fatto da chi ci ha preceduto. Illustrando il privilegio e l’orgoglio di essere americani ha concluso con queste parole: “Bisogna uscire, agire, votare e costruire tutti insieme il prossimo capitolo della nostra straordinaria nazione. Dio benedica l’America”. Una platea entusiasta ha salutato il discorso con fragorosi applausi, grida di approvazione e una pioggia di palloncini rossi bianchi e blu.

Trump nel frattempo: Mentre a Chicago si svolgeva la giornata, Trump portava la sua campagna in Arizona, alla frontiera con il Messico. Appresso a lui una signora alla quale il figlio era stato ucciso in un episodio di violenza con i migranti. Data l’occasione, accusava la Harris di voler spalancare le frontiere all’immigrazione clandestina ed insieme a Biden di essere entrambi responsabili delle morti avvenute per mano dei migranti. Rivolgendosi al suo pubblico e parafrasando il copione di un suo celebre programma televisivo, ha detto di lei: “Siamo sull’orlo del precipizio, ne abbiamo abbastanza, non ne possiamo più. Compagna Kamala fuori, sei licenziata! Non vai bene!”.

A complicare le cose la rinuncia di Robert Kennedy jr, figlio di Bob Kennedy, ucciso nel corso della campagna presidenziale del 1968. Sarebbe stato disponibile a portare i suoi voti a Trump in cambio di un ruolo nella sua amministrazione. Viste le tradizioni politiche della famiglia, saldamente democratiche, un imbarazzante scivolone. Da Las Vegas, Trump aveva parlato di “una decisione grandiosa, una persona eccezionale, rispettata da tutti”.

Questo Kennedy è noto per essere contrario alle vaccinazioni e per la sua tendenza a propagare teorie complottiste. Tra i motivi che l’hanno portato a lasciare il Partito Democratico, dissidi sulla libertà di espressione e la guerra in Ucraina. Per dare un’ulteriore possibilità a Trump ha dichiarato che si sarebbe fatto da parte negli Stati in bilico: i sondaggi lo davano tra il 4 e il 5% dei consensi. La sua famiglia invece appoggia Kamala Harris.

Alcune considerazioni finali: A nome di tutti coloro che hanno iniziato un viaggio improbabile, il discorso della Harris è stato pacato ma non per questo meno determinato. L’intera platea ha risposto al suo appello.

Queste quattro giornate di Chicago, dal 19 al 22 di Agosto, hanno resuscitato lo spirito del 2008 e la speranza di un paese che può cambiare ed i cui interessi verranno posti più in alto di quelli partitici o personali. Il Partito Democratico si è mostrato unito e pieno di fiducia. Nella sala della Convenzione il pubblico ha ritrovato se stesso, pronto ad aprire un nuovo capitolo, lasciandosi dietro cinismo e divisioni. In questo clima di fervore ed ora candidato ufficiale alla Casa Bianca, la Harris ha dichiarato che sarà il presidente di tutti gli americani, indipendentemente dal colore, dalla religione, dal partito e dalle persuasioni.

Alla fine, ciò che doveva accadere è accaduto e su tutto ha trionfato un desiderio di unità. Questa Convenzione è stata un indubbio successo ma andrà ora assorbita con la coscienza che è calato il sipario su uno stato di grazia che non è destinato a durare a lungo. Sarà necessario affrontare il ritorno alla normalità, conservare questo vantaggio fino al dibattito del 10 Settembre e reggere per il tempo che resta in attesa del voto.

Non sarà una campagna facile ed indolore anche se la Harris è stata accolta con entusiasmo da una nazione stanca di vedere due vecchi contendersi la presidenza. A decidere le elezioni saranno soprattutto quegli Stati in bilico per l’indecisione di molti elettori. Nel 2020 Biden aveva vinto in uno di questi, il Michigan, con uno scarto di 20 mila voti. In questo stesso Stato vive la più importante comunità araba d’America e se vi è qualcosa che ha proiettato un’ombra sinistra sulla campagna elettorale è la tragedia di Gaza e della sua popolazione che indigna e allo stesso tempo commuove. Per il partito si tratta di una grande sfida. In attesa di un accordo che non sembra arrivare, la Harris dovrà trovare le parole adatte per rispondere a queste polemiche. Strano a dirsi, ma è forse su Gaza che potrebbero giocarsi gli esiti di questa elezione. Si tratta per lei di una situazione non facile perché storicamente il Partito Democratico si è sempre mostrato vicino ad Israele. Dovrà trovare le parole giuste oppure scegliere tra convenienza e persuasione. Per meglio comprendere la sua situazione, è utile ricordare che Trump ha fatto dell’appoggio ad Israele un punto d’onore.

Gli americani non chiedono insulti o risse da cortile: vogliono fatti, cifre, idee. La Harris deve convincerli non solo a darle il voto ma poi a recarsi alle urne. Anche se tutto è andato per il meglio, la Convenzione non è l’America. Il partito ha superato le sue difficoltà e si è unito. Servono adesso dichiarazioni più precise per conservarne lo slancio, soprattutto la definizione di un programma economico a beneficio di quei segmenti dell’America che si vedono poveri od impoveriti e che hanno perduto fiducia nel sogno americano. Fondamentale dunque convincere le classi medie.

Cruciale sarà l’apporto degli Stati chiave nei quali si sono sempre giocati i risultati delle elezioni americane. In quei vasti territori gran parte degli elettori dice di non appartenere a nessun partito in particolare e potrebbe votare per l’uno come per l’altro. Gran parte di questi con tutta probabilità decideranno immediatamente prima delle elezioni.

Un tributo a Biden: Vorrei chiudere con un riconoscimento a Biden. La sua leadership e visione avrebbero meritato un secondo mandato anche se, a dire il vero, il suo è stato un bilancio che ha diviso il popolo americano. Le circostanze sono però state tali che per rendere servizio alla nazione e difendere la democrazia dalle insidie di Trump ha preferito passare il testimone alla nuova generazione. Fino a che ne ha avuto la possibilità ha retto il timone. Sotto crescenti pressioni è stato poi costretto a gettare la spugna.

I suoi quattro anni di presidenza sono stati tutto sommato positivi, soprattutto se si ricorda che al momento del suo insediamento l’inflazione aveva raggiunto livelli che non si erano visti da quarant’anni. Oggi la disoccupazione ed i tassi di interesse sono scesi ed è probabile che a breve la Federal Reserve possa decidere per una loro ulteriore diminuzione. Ad aumentare invece sono stati i salari, che in molti settori hanno fatto progressi. Dal momento del suo insediamento alla Casa Bianca è riuscito a far passare un progetto di legge per combattere la pandemia, largamente sottovalutata da Trump. Trascorso qualche tempo, tra non poche difficoltà ha avuto successo nel far passare un programma di investimenti in infrastrutture e di rispondere alle sfide del cambiamento climatico.

Ha lasciato dietro di se l’American Rescue Plan mettendo a disposizione 1900 miliardi di dollari, equivalenti a circa il 10% del Pil, per rilanciare l’economia. A questo si è aggiunto l’Infrastructure Investment and Jobs Act, corrispondente ad altri 1200 miliardi di dollari. Di non minore importanza anche l’Inflation Reduction Act, 369 miliardi di dollari in 10 anni per sostenere l’intero settore dell’economia verde, incoraggiare l’uso delle energie pulite e diminuire le emissioni di anidride carbonica. Ha inoltre consentito la rilocalizzazione nel Paese di numerose industrie.

Ha così lasciato il Paese industrialmente più forte, resuscitando un intervento dello Stato tale da ricordare il New Deal rooseveltiano e la Great Society di Johnson. Prima di lui, a seguito della presidenza Reagan, vi erano stati 40 anni di deregolamentazione e liberismo. Adesso, dopo un periodo di crescita, troviamo un’America con più uguaglianza come lo si è potuto vedere dal suo venire incontro alle esigenze degli studenti e dalla sua difesa delle classi medie. Ha protetto la Costituzione dagli attacchi di Trump lasciando in eredità un paese più forte e moderno.

In politica estera, dopo il quadriennio dell’imprevedibile Trump si è assistito ad un ritorno alla credibilità accompagnato da una ripresa del multilateralismo: ha rimesso gli Stati Uniti sul giusto binario e ricucito i rapporti con l’Europa e la Nato. Si è sempre schierato in difesa della democrazia e dei diritti umani ed è venuto in soccorso all’Ucraina dopo l’attacco della Russia. Aveva chiaramente sottolineato che l’impegno degli Stati Uniti sarebbe stato quello di costruire un futuro positivo insieme agli alleati e che da soli non sarebbero potuti andare da nessuna parte.

A seguito dei fatti del 7 Ottobre e malgrado le continue difficoltà nei suoi rapporti con Netanyahu, ha appoggiato in modo consistente Israele pagandone lo scotto con dure critiche sulle vicende di Gaza. Con la Cina si è mostrato deciso e non ha ceduto né alle minacce di Putin che alle forzature di Pechino. Coerente coi suoi princìpi ha denunciato le autocrazie e promosso l’importanza della democrazia. Molto deludente invece la gestione del ritiro dall’Afghanistan.

Per concludere, a seguito dei due primi anni del suo mandato e a chiusura delle elezioni di medio termine, Biden aveva sorpreso tutti con un risultato inatteso che ha sfidato le più cupe previsioni andando in direzione opposta a quella tendenza che solitamente punisce il partito al potere.

Nel corso dei suoi quattro anni ha riportato stabilità ed equilibrio sottolineando quella che è in fondo una vocazione centrista. Si è lasciato appresso un Paese più solido, un partito più unito ed ha fatto intendere che gli Stati Uniti non rinunceranno ad essere i primi ma che guideranno più con la forza dell’esempio che con l’esempio della forza. La critica che gli si potrebbe fare è di non avere avuto più immaginazione, di aver mancato a volte di coraggio e di non aver saputo uscire dagli schemi. Credo che alla fine sarà la Storia a rendergli il dovuto merito.

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