Intervista sulle proteste in Iran
Almagià, parliamo delle proteste in Iran: attualmente qual è la situazione?
Cominciamo dall’inizio. Queste proteste sono iniziate nella giornata del 16 Settembre a seguito della morte della giovane Mahsa Amini. Di origine curda, la ragazza aveva 22 anni ed era stata arrestata dalla Polizia del Costume per avere indossato non correttamente il velo. E’ morta poco dopo in un ospedale di Teheran, dove era stata portata in stato di coma. Per i manifestanti sarebbe stata picchiata dalla polizia. Gli agenti negano e la versione ufficiale delle autorità parla di morte avvenuta per “problemi fisici preesistenti”.
Da quel giorno le proteste e le manifestazioni non hanno fatto che susseguirsi, spesso in un crescendo di folla e di violenza, al punto di contarne ad oggi quasi 1200. Siamo adesso al terzo mese e la situazione non si è placata: in pubblico continuano ad essere dati alle fiamme molti veli, un gran numero di ragazze e di donne si sono tagliate i capelli in segno di protesta ed il regime è stato accusato di tirannia.
Questa collera diffusa ha percorso tutti gli strati della società e lo scontento ha ormai coinvolto uomini e donne, giovani ed anziani, abitanti di molte città, studenti liceali ed universitari, fino a coinvolgere persino elementi della popolazione rurale e della classe operaia. A schierarsi con la protesta anche attori, cantanti, sportivi, intellettuali e l’Ordine degli avvocati.
Nei tumulti, che si sono estesi a 161 città, tra le quali Teheran, Shiraz, Saqqez, Kermanshah e Zahedan, sono state distrutte immagini della Guida Suprema, l’ayatollah Alì Khamenei, e bruciati numerosi edifici. In appoggio ai manifestanti si sono viste auto sfilare in strada con il clacson premuto, mentre, soprattutto di notte, molti giovani salivano sui tetti per gridare “Morte al dittatore”. Su di un muro dove era stato scritto che “la polizia serve il popolo”, qualcuno con una bomboletta spray ha sostituito il verbo cambiando la frase in “la polizia uccide il popolo”. Per strada, in più di un’occasione, si sono visti passanti che con un colpo della mano facevano cadere il turbante dalla testa di un mullah.
Tramite un’operazione di hackeraggio le trasmissioni di un notiziario della sera sono state brevemente interrotte da un’immagine della Guida Suprema circondata dalle fiamme con sotto la scritta “il sangue dei nostri giovani gronda dalle vostre mani”. Poco più sotto le foto di alcune ragazze uccise nel corso delle manifestazioni. Ad unirsi a questo coro di indignazione anche Farideh Moradkhani, nipote dell’ayatollah Khamenei che è stata poi anche lei arrestata e condannata da un tribunale religioso a 3 anni di carcere. Sua madre, Badri Hosseini Khamenei, in una lettera aperta sui social si è opposta alle azioni del fratello inneggiando alla “vittoria del popolo e alla caduta di questa tirannia che ora governa l’Iran”. Lo ha poi accusato di “non ascoltare la voce del popolo ma quella di mercenari ed accaparratori”.
A scendere in piazza sono le forze più vive del paese a dimostrazione che si sta approfondendo il solco tra un regime che si reclama a Dio ed una popolazione sempre più laicizzata. Si è di fronte ad una società che chiede qualcosa di diverso e la situazione non è semplice perché coinvolge soprattutto le donne che sono poco oltre il 50% della popolazione ed almeno il 60% degli studenti universitari.
La Repubblica Islamica esprime uno Stato fortemente strutturato, militare ed appoggiato da aderenti motivati e convinti. Tutte le istanze del potere sono in mano ai conservatori che agiscono in funzione di coloro che continuano ad appoggiare il regime.
A 43 anni dalla Rivoluzione il futuro non può che appartenere ai giovani ed ogni episodio di contestazione e di protesta è un piccolo passo avanti che si compie: questa gioventù è connessa con il mondo e sempre più riluttante ad accettare le imposizioni del regime. Vuole vivere come i giovani del resto del mondo e non sentirsi costretta dai rigori di una teocrazia. Dai tempi di Khomeini, la società si è molto evoluta e l’80% degli iraniani di oggi sono nati dopo il 1979: vi è un’intera componente che chiede un nuovo sistema di governo e la soppressione della Polizia del costume.
La risposta delle autorità è stata violentissima, tanto che ad oggi i morti fra i manifestanti ammonterebbero a 493 – di cui 68 bambini- mentre sarebbero state arrestate più di 18 mila persone. Tra le forze di sicurezza del regime le vittime sono 62. Le condanne a morte 11, due delle quali già eseguite. Queste cifre si spiegano se ci si rende conto che per il regime questa è una lotta per la sopravvivenza: tiene in pugno le leve della repressione ed è pronto a tutto pur di riuscirvi.
A questo punto non può che tenere la situazione sotto controllo usando senza esitazione tutte le sue forze di sicurezza: la Repubblica Islamica è oggi più vulnerabile ma detiene sempre le redini di un apparato repressivo ben rodato che funziona e si mostra efficiente.
Quali sono le cause che hanno determinato una tale mobilitazione?
Come accennato, la causa iniziale è dovuta alla morte di una ragazza arrestata per aver indossato male il velo. Se la contrarietà al portarlo è stata la miccia, la protesta si è poi allargata fino a coinvolgere il regime e l’intera Repubblica Islamica. Dal velo, di conseguenza, le manifestazioni hanno cominciato ad intensificarsi fino a giungere alla richiesta di cambiare il regime: ad essere contestate sono le autorità in generale, a cominciare dalla stessa Guida Suprema. Iniziate al grido di “donne, vita, libertà”, le proteste sono poi passate a “è oggi tempo di cambiare le cose in Iran” per arrivare a “morte al dittatore” e “morte a Khamenei”.
Tra le grida, sullo sfondo di spari e suoni di sirene, sempre più spesso si è assistito ad una folla in collera calpestare, bruciare e stracciare le immagini dei rappresentanti del regime, inclusa quella dello stesso presidente Raisi. Questo grande movimento spontaneo non è però del tutto inedito: già all’epoca dell’elezione del presidente Ahmadinejad era nata una protesta, l’Onda Verde, presto soffocata dalle autorità. Vi è stata in seguito una rivolta del pane, un movimento del velo ed infine tra il 2019 e il 2020 una rivolta per il prezzo del carburante.
Il Paese ribolle? Probabilmente si. Oltre che al carattere teocratico del regime, a pesare sono anche le sanzioni, una grave crisi economica che ha portato ad una crescente inflazione e una corruzione dilagante. A soffrirne e pagarne il prezzo sono state soprattutto le classi medie, oltre che ovviamente anche le fasce più deboli. Ne consegue che una collera diffusa sta attraversando tutti gli strati della società: il popolo chiede la possibilità di una vita normale, un’economia in grado di funzionare e la speranza di un futuro migliore.
In queste proteste è anche emerso un aspetto etnico, in quanto Mahsa Amini era di origine curda. Già in precedenza vi erano motivi di scontento tra le etnie che compongono il paese: se queste dovessero trovare motivo per coalizzarsi, il regime correrebbe ulteriori rischi.
Togliere un velo dal capo basta a scatenare una rivoluzione? Perché questo gesto è considerato dirompente?
Come si è appena visto, la questione del velo ha innescato le attuali proteste e la collera della popolazione. Si è trattato soprattutto di un pretesto, in quanto le ragioni dello scontento hanno radici più profonde maturate nel corso degli anni. Il problema di fondo resta quello di un regime di matrice teocratica, legato a vecchi schemi, sorretto da un apparato repressivo molto forte e per queste sue caratteristiche incapace di trasformarsi ed offrire alla società iraniana le risposte che cerca.
Per questo regime il velo è un fattore di grande importanza, in quanto simbolo dell’Islam e del potere degli ayatollah. Non è dunque una questione di poco conto sulla quale far marcia indietro senza dir nulla: rappresenta l’essenza stessa del potere islamico.
E’ vero che in Iran la donna è costretta a portare il velo, ma va anche ricordato che il suo ruolo nella società è molto più importante che nei paesi limitrofi. Nella coppia standard oggi a lavorare sono sia l’uomo che la donna. L’Iran non è certo l’Afghanistan e neppure l’Arabia Saudita.
Noi occidentali guardiamo al Paese con gli occhi della nostra cultura e siamo colpiti dal “coraggio” di alcune donne. Ma le impiccagioni degli ultimi giorni sembrano confermare una certa “arretratezza”. Perché le autorità intervengono così duramente?
Anche a questa domanda abbiamo praticamente già dato una risposta. Considerando anche il contesto dei dibattiti sulla successione dell’anziana Guida Suprema, queste incessanti giornate di protesta fanno pensare che in Iran stia accadendo qualcosa di molto grande e che il Paese possa essere alla vigilia di importanti cambiamenti. Il regime questo lo sa bene, così come sa che a seguito di queste giornate si è voltata una pagina ed è caduto il muro della paura e della menzogna.
E’ indubbio che gli esponenti ed i sostenitori del regime si stiano ponendo la domanda se l’Iran sia di fronte ad una rivolta o alla vigilia di una rivoluzione. Parte della risposta è legata agli interrogativi sulla successione dell’ayatollah Khamenei, il resto a come evolverà la situazione e agirà il regime. Finora si è visto che non ha intenzione di cedere e che ogni volta che una situazione rischia di sfuggire di mano non esita ad intervenire e, se necessario, reprimere anche molto duramente. Ne va di mezzo la sua stessa sopravvivenza.
La repressione a volte è stata così brutale che voci di dissenso si sono levate persino tra i ranghi delle forze di sicurezza rappresentate dai Basij e dai Guardiani della Rivoluzione. In più di un caso si è parlato di uso di droghe per riuscire a sopportare la pressione, il terrore e le violenze imposte.
Vorrei aggiungere che questo regime è vigile e si rende conto dei rischi che corre. Per questo motivo consente alcune zone di libertà come nei quartieri nord di Teheran e ha poi accettato di abolire la Polizia del costume.
Secondo alcuni esperti di Medio Oriente sono proteste sobillate dall’esterno: cosa ne pensa?
Sono dell’opinione che si tratti di sciocchezze: in tutta la regione è un’abitudine diffusa che ogni volta che accade qualcosa di grave vi sia dietro una mano esterna. In questo caso è il regime stesso a parlare di un complotto ordito all’estero dietro al quale si celerebbe l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti ed Israele. In una dichiarazione recente il presidente Raisi ha definito queste proteste come un complotto di matrice esterna, aggiungendo che la gioventù iraniana non si farà corrompere da agenti stranieri.
Possiamo fare una fotografia dei rapporti geopolitici di Teheran: quali sono gli amici e i nemici?
L’accresciuto ruolo dell’Iran nella regione nasce a seguito della distruzione dell’Iraq da parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti. La Repubblica Islamica ha approfittato della guerra civile scoppiata nel paese per infiltrarvisi ed assumere gradualmente il controllo dello Stato. Questa è stata la prima pietra dell’espansionismo iraniano nella regione.
Ancora oggi l’Iran esercita una grande influenza sull’Iraq e da lì si è poi mossa in direzione della Siria e del Libano in vista della realizzazione di un arco sciita che dalle sue frontiere giunga fino al Mediterraneo. Attraverso Hezbollah opera anche nello Yemen.
Per via di questa situazione e della matrice rivoluzionaria sciita del regime, a livello regionale i nemici sono gli Stati sunniti del Golfo, in particolare l’Arabia Saudita. Ostili all’Iran sono anche gli Stati Uniti e soprattutto Israele. Tra i paesi amici, di riflesso, i più rilevanti sono Russia e Cina, ai quali l’Iran è legato mani e piedi. Esiterei però a parlare di un’alleanza o di una vera e propria amicizia: si tratta essenzialmente di un rapporto basato su interessi reciproci. A spiegarlo anche il forte senso di identità nazionale iraniano.
Che ruolo gioca l’Iran nello scacchiere del Medio Oriente e perché gli Stati Uniti guardano con attenzione ad ogni mossa di Teheran?
Per rispondere in modo efficace alla domanda sarebbe necessario innanzitutto guardare ad una carta geografica: è l’ubicazione stessa dell’Iran a dettarne l’azione politica. Si trova in un angolo del mondo cruciale che fa da ponte tra India, Asia Centrale e Medio Oriente per giungere fino al Mediterraneo.
Dobbiamo ricordare che un tempo la Persia era una potenza imperiale ed aveva un importante ruolo
nello scacchiere del Medio Oriente e dell’Asia Centrale. Proiettava non solo un potere militare, ma anche una forte influenza culturale. L’Iran di oggi questo ruolo lo ha perduto, ma resta sempre una potenza regionale di cui tener conto ed il cui ascendente sui paesi limitrofi non lascia dubbi.
Fino al termine della Guerra Fredda l’Iran, come la Turchia, era un paese di frontiera. Oggi non lo è più e si trova a dover agire in un angolo del mondo tra i più instabili e turbolenti. Si considera una grande potenza ed intende far valere un proprio ruolo nella regione, cosa del tutto comprensibile. Il problema però resta sempre la natura rivoluzionaria del regime, che si traduce spesso in un modo di operare che desta non poche preoccupazioni tra i vicini e anche agli Stati Uniti. Il discorso si capovolge se si osservano le cose dal punto di vista iraniano.
Il grande motivo di tensione con gli Stati Uniti nasce dalla Rivoluzione islamica che ha rovesciato il regime dello Shah e soprattutto in seguito all’assalto all’ambasciata americana di Teheran con la successiva presa degli ostaggi. L’appoggio dato da Washington all’Iraq di Saddam Hussein nella guerra con l’Iran ha contribuito ad aumentare la diffidenza del regime verso gli americani.
Va ricordato che dall’Agosto del 1945, il mondo è entrato in una nuova era: quella nucleare, fattore che ha cambiato il modo di fare politica estera. Oggi è anche la politica nucleare di Teheran a preoccupare gli Stati Uniti. Sotto la presidenza Obama era stato firmato un accordo che limitava la ricerca atomica iraniana e la percentuale di arricchimento dell’uranio. Il presidente Trump aveva poi deciso unilateralmente di uscire dall’accordo ed aggravare le sanzioni contro il paese. Oggi si è alla ricerca di un nuovo accordo, ma ancora non vi si è giunti. In risposta intanto, l’Iran ha sviluppato una nuova generazione di centrifughe e ha portato l’arricchimento al 60%. Per fabbricare un ordigno nucleare bisogna arrivare al 90%.
Sia gli Stati Uniti che i paesi limitrofi sanno che quello cui stiamo assistendo oggi in Iran non sarà senza conseguenze anche nella regione: se dovesse cadere il regime, potrebbe cambiare tutto il Medio Oriente.
Human Rights Monitor ha riferito di 366 esecuzioni nel 2021 e di 553 fino a dicembre 2022. I dati mettono il Paese agli ultimi posti nella classifica mondiale sul rispetto dei diritti umani. Cosa ci raccontano questi dati?
Ci dicono che siamo di fronte ad un regime teocratico, perciò ideologico, che applica con rigore quelle che considera essere le leggi islamiche. La Repubblica Islamica si sente inoltre circondata da Stati ostili e minacciata all’interno: poco da stupirsi che applichi con durezza le sue leggi e che reprima con violenza queste ultime manifestazioni di protesta ispirate da un desiderio di libertà e democrazia.
Il regime è consapevole di trovarsi di fronte a cambiamenti importanti dai quali avrà difficoltà a tornare indietro. Si sente vulnerabile, sotto assedio e perciò determinato ad usare il pugno di ferro: l’esplodere ed il perdurare di questo movimento di protesta evidenzia un regime meno sicuro di sé, il cui potere giudiziario fa sapere di non tollerare contestazioni confermando la volontà di proseguire sulla strada della repressione. Ad esserne coinvolto anche il Kurdistan iracheno, accusato di ospitare oppositori curdi di provenienza iraniana.
Le vittime, gli arresti e le esecuzioni pubbliche non sono che l’espressione della volontà del regime di soffocare e sopprimere un movimento di protesta che è il più vasto e diffuso dai giorni della Rivoluzione. Creando questo clima di paura ed intimidazione la Repubblica Islamica mostra tutte le intenzioni di voler continuare a reprimere la protesta. La reazione però non si è fatta attendere e dopo le esecuzioni, numerosi manifestanti hanno gridato: “per ogni persona uccisa, ne insorgeranno mille”. Se da un lato il presidente del tribunale religioso dichiara che è nell’autorità dei giudici decidere chi è un nemico di Dio, dall’altro un certo numero di chierici si sta interrogando sulla validità delle condanne a morte.
La questione dei diritti umani spiega in parte anche la politica di avvicinamento alla Russia e alla Cina. Tra gli esponenti del regime vi è chi pensa che il legarsi a questi due paesi potrebbe far sì che si possa aprire bocca ancor meno su questa tematica. Fino a che questo regime resterà al potere non potrà che serrare i ranghi.
Per concludere, sarebbe il caso di aggiungere che in tutto ciò chi ha molto da perdere sono i sostenitori del regime, Basij e Guardiani della Rivoluzione in particolare: questi vi resteranno tutti aggrappati per motivi non solo ideologici, ma anche, e a volte soprattutto, di convenienza, dato il controllo che hanno su importanti settori dell’economia.
Ai veri credenti oggi si è sostituita una classe di opportunisti interessata quasi esclusivamente a ricchezza e privilegi. Anche questo aiuta a spiegare la ferocia repressiva di fronte alle richieste di cambiamento di una società che oggi è più avanzata della sua classe dirigente: se lo scopo ultimo è quello di restare al potere, non resta che soffocare o smantellare ogni forma di dissenso.
L’Iran è culla della cultura persiana: che modelli positivi offre al mondo?
La cultura persiana è certamente molto antica e raffinata. L’Iran di oggi però, caratterizzato dal potere degli ayatollah e da un regime repressivo che agisce anche al di fuori delle proprie frontiere, non offre molto cui trarre ispirazione e non è in grado di proiettare nessun potere di attrazione. Il minimo che si può dire è che i valori espressi dal regime non sono universalmente accettati.
Almagià, parliamo delle proteste in Iran: attualmente qual è la situazione?
Cominciamo dall’inizio. Queste proteste sono iniziate nella giornata del 16 Settembre a seguito della morte della giovane Mahsa Amini. Di origine curda, la ragazza aveva 22 anni ed era stata arrestata dalla Polizia del Costume per avere indossato non correttamente il velo. E’ morta poco dopo in un ospedale di Teheran, dove era stata portata in stato di coma. Per i manifestanti sarebbe stata picchiata dalla polizia. Gli agenti negano e la versione ufficiale delle autorità parla di morte avvenuta per “problemi fisici preesistenti”.
Da quel giorno le proteste e le manifestazioni non hanno fatto che susseguirsi, spesso in un crescendo di folla e di violenza, al punto di contarne ad oggi quasi 1200. Siamo adesso al terzo mese e la situazione non si è placata: in pubblico continuano ad essere dati alle fiamme molti veli, un gran numero di ragazze e di donne si sono tagliate i capelli in segno di protesta ed il regime è stato accusato di tirannia.
Questa collera diffusa ha percorso tutti gli strati della società e lo scontento ha ormai coinvolto uomini e donne, giovani ed anziani, abitanti di molte città, studenti liceali ed universitari, fino a coinvolgere persino elementi della popolazione rurale e della classe operaia. A schierarsi con la protesta anche attori, cantanti, sportivi, intellettuali e l’Ordine degli avvocati.
Nei tumulti, che si sono estesi a 161 città, tra le quali Teheran, Shiraz, Saqqez, Kermanshah e Zahedan, sono state distrutte immagini della Guida Suprema, l’ayatollah Alì Khamenei, e bruciati numerosi edifici. In appoggio ai manifestanti si sono viste auto sfilare in strada con il clacson premuto, mentre, soprattutto di notte, molti giovani salivano sui tetti per gridare “Morte al dittatore”. Su di un muro dove era stato scritto che “la polizia serve il popolo”, qualcuno con una bomboletta spray ha sostituito il verbo cambiando la frase in “la polizia uccide il popolo”. Per strada, in più di un’occasione, si sono visti passanti che con un colpo della mano facevano cadere il turbante dalla testa di un mullah.
Tramite un’operazione di hackeraggio le trasmissioni di un notiziario della sera sono state brevemente interrotte da un’immagine della Guida Suprema circondata dalle fiamme con sotto la scritta “il sangue dei nostri giovani gronda dalle vostre mani”. Poco più sotto le foto di alcune ragazze uccise nel corso delle manifestazioni. Ad unirsi a questo coro di indignazione anche Farideh Moradkhani, nipote dell’ayatollah Khamenei che è stata poi anche lei arrestata e condannata da un tribunale religioso a 3 anni di carcere. Sua madre, Badri Hosseini Khamenei, in una lettera aperta sui social si è opposta alle azioni del fratello inneggiando alla “vittoria del popolo e alla caduta di questa tirannia che ora governa l’Iran”. Lo ha poi accusato di “non ascoltare la voce del popolo ma quella di mercenari ed accaparratori”.
A scendere in piazza sono le forze più vive del paese a dimostrazione che si sta approfondendo il solco tra un regime che si reclama a Dio ed una popolazione sempre più laicizzata. Si è di fronte ad una società che chiede qualcosa di diverso e la situazione non è semplice perché coinvolge soprattutto le donne che sono poco oltre il 50% della popolazione ed almeno il 60% degli studenti universitari.
La Repubblica Islamica esprime uno Stato fortemente strutturato, militare ed appoggiato da aderenti motivati e convinti. Tutte le istanze del potere sono in mano ai conservatori che agiscono in funzione di coloro che continuano ad appoggiare il regime.
A 43 anni dalla Rivoluzione il futuro non può che appartenere ai giovani ed ogni episodio di contestazione e di protesta è un piccolo passo avanti che si compie: questa gioventù è connessa con il mondo e sempre più riluttante ad accettare le imposizioni del regime. Vuole vivere come i giovani del resto del mondo e non sentirsi costretta dai rigori di una teocrazia. Dai tempi di Khomeini, la società si è molto evoluta e l’80% degli iraniani di oggi sono nati dopo il 1979: vi è un’intera componente che chiede un nuovo sistema di governo e la soppressione della Polizia del costume.
La risposta delle autorità è stata violentissima, tanto che ad oggi i morti fra i manifestanti ammonterebbero a 493 – di cui 68 bambini- mentre sarebbero state arrestate più di 18 mila persone. Tra le forze di sicurezza del regime le vittime sono 62. Le condanne a morte 11, due delle quali già eseguite. Queste cifre si spiegano se ci si rende conto che per il regime questa è una lotta per la sopravvivenza: tiene in pugno le leve della repressione ed è pronto a tutto pur di riuscirvi.
A questo punto non può che tenere la situazione sotto controllo usando senza esitazione tutte le sue forze di sicurezza: la Repubblica Islamica è oggi più vulnerabile ma detiene sempre le redini di un apparato repressivo ben rodato che funziona e si mostra efficiente.
Quali sono le cause che hanno determinato una tale mobilitazione?
Come accennato, la causa iniziale è dovuta alla morte di una ragazza arrestata per aver indossato male il velo. Se la contrarietà al portarlo è stata la miccia, la protesta si è poi allargata fino a coinvolgere il regime e l’intera Repubblica Islamica. Dal velo, di conseguenza, le manifestazioni hanno cominciato ad intensificarsi fino a giungere alla richiesta di cambiare il regime: ad essere contestate sono le autorità in generale, a cominciare dalla stessa Guida Suprema. Iniziate al grido di “donne, vita, libertà”, le proteste sono poi passate a “è oggi tempo di cambiare le cose in Iran” per arrivare a “morte al dittatore” e “morte a Khamenei”.
Tra le grida, sullo sfondo di spari e suoni di sirene, sempre più spesso si è assistito ad una folla in collera calpestare, bruciare e stracciare le immagini dei rappresentanti del regime, inclusa quella dello stesso presidente Raisi. Questo grande movimento spontaneo non è però del tutto inedito: già all’epoca dell’elezione del presidente Ahmadinejad era nata una protesta, l’Onda Verde, presto soffocata dalle autorità. Vi è stata in seguito una rivolta del pane, un movimento del velo ed infine tra il 2019 e il 2020 una rivolta per il prezzo del carburante.
Il Paese ribolle? Probabilmente si. Oltre che al carattere teocratico del regime, a pesare sono anche le sanzioni, una grave crisi economica che ha portato ad una crescente inflazione e una corruzione dilagante. A soffrirne e pagarne il prezzo sono state soprattutto le classi medie, oltre che ovviamente anche le fasce più deboli. Ne consegue che una collera diffusa sta attraversando tutti gli strati della società: il popolo chiede la possibilità di una vita normale, un’economia in grado di funzionare e la speranza di un futuro migliore.
In queste proteste è anche emerso un aspetto etnico, in quanto Mahsa Amini era di origine curda. Già in precedenza vi erano motivi di scontento tra le etnie che compongono il paese: se queste dovessero trovare motivo per coalizzarsi, il regime correrebbe ulteriori rischi.
Togliere un velo dal capo basta a scatenare una rivoluzione? Perché questo gesto è considerato dirompente?
Come si è appena visto, la questione del velo ha innescato le attuali proteste e la collera della popolazione. Si è trattato soprattutto di un pretesto, in quanto le ragioni dello scontento hanno radici più profonde maturate nel corso degli anni. Il problema di fondo resta quello di un regime di matrice teocratica, legato a vecchi schemi, sorretto da un apparato repressivo molto forte e per queste sue caratteristiche incapace di trasformarsi ed offrire alla società iraniana le risposte che cerca.
Per questo regime il velo è un fattore di grande importanza, in quanto simbolo dell’Islam e del potere degli ayatollah. Non è dunque una questione di poco conto sulla quale far marcia indietro senza dir nulla: rappresenta l’essenza stessa del potere islamico.
E’ vero che in Iran la donna è costretta a portare il velo, ma va anche ricordato che il suo ruolo nella società è molto più importante che nei paesi limitrofi. Nella coppia standard oggi a lavorare sono sia l’uomo che la donna. L’Iran non è certo l’Afghanistan e neppure l’Arabia Saudita.
Noi occidentali guardiamo al Paese con gli occhi della nostra cultura e siamo colpiti dal “coraggio” di alcune donne. Ma le impiccagioni degli ultimi giorni sembrano confermare una certa “arretratezza”. Perché le autorità intervengono così duramente?
Anche a questa domanda abbiamo praticamente già dato una risposta. Considerando anche il contesto dei dibattiti sulla successione dell’anziana Guida Suprema, queste incessanti giornate di protesta fanno pensare che in Iran stia accadendo qualcosa di molto grande e che il Paese possa essere alla vigilia di importanti cambiamenti. Il regime questo lo sa bene, così come sa che a seguito di queste giornate si è voltata una pagina ed è caduto il muro della paura e della menzogna.
E’ indubbio che gli esponenti ed i sostenitori del regime si stiano ponendo la domanda se l’Iran sia di fronte ad una rivolta o alla vigilia di una rivoluzione. Parte della risposta è legata agli interrogativi sulla successione dell’ayatollah Khamenei, il resto a come evolverà la situazione e agirà il regime. Finora si è visto che non ha intenzione di cedere e che ogni volta che una situazione rischia di sfuggire di mano non esita ad intervenire e, se necessario, reprimere anche molto duramente. Ne va di mezzo la sua stessa sopravvivenza.
La repressione a volte è stata così brutale che voci di dissenso si sono levate persino tra i ranghi delle forze di sicurezza rappresentate dai Basij e dai Guardiani della Rivoluzione. In più di un caso si è parlato di uso di droghe per riuscire a sopportare la pressione, il terrore e le violenze imposte.
Vorrei aggiungere che questo regime è vigile e si rende conto dei rischi che corre. Per questo motivo consente alcune zone di libertà come nei quartieri nord di Teheran e ha poi accettato di abolire la Polizia del costume.
Secondo alcuni esperti di Medio Oriente sono proteste sobillate dall’esterno: cosa ne pensa?
Sono dell’opinione che si tratti di sciocchezze: in tutta la regione è un’abitudine diffusa che ogni volta che accade qualcosa di grave vi sia dietro una mano esterna. In questo caso è il regime stesso a parlare di un complotto ordito all’estero dietro al quale si celerebbe l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti ed Israele. In una dichiarazione recente il presidente Raisi ha definito queste proteste come un complotto di matrice esterna, aggiungendo che la gioventù iraniana non si farà corrompere da agenti stranieri.
Possiamo fare una fotografia dei rapporti geopolitici di Teheran: quali sono gli amici e i nemici?
L’accresciuto ruolo dell’Iran nella regione nasce a seguito della distruzione dell’Iraq da parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti. La Repubblica Islamica ha approfittato della guerra civile scoppiata nel paese per infiltrarvisi ed assumere gradualmente il controllo dello Stato. Questa è stata la prima pietra dell’espansionismo iraniano nella regione.
Ancora oggi l’Iran esercita una grande influenza sull’Iraq e da lì si è poi mossa in direzione della Siria e del Libano in vista della realizzazione di un arco sciita che dalle sue frontiere giunga fino al Mediterraneo. Attraverso Hezbollah opera anche nello Yemen.
Per via di questa situazione e della matrice rivoluzionaria sciita del regime, a livello regionale i nemici sono gli Stati sunniti del Golfo, in particolare l’Arabia Saudita. Ostili all’Iran sono anche gli Stati Uniti e soprattutto Israele. Tra i paesi amici, di riflesso, i più rilevanti sono Russia e Cina, ai quali l’Iran è legato mani e piedi. Esiterei però a parlare di un’alleanza o di una vera e propria amicizia: si tratta essenzialmente di un rapporto basato su interessi reciproci. A spiegarlo anche il forte senso di identità nazionale iraniano.
Che ruolo gioca l’Iran nello scacchiere del Medio Oriente e perché gli Stati Uniti guardano con attenzione ad ogni mossa di Teheran?
Per rispondere in modo efficace alla domanda sarebbe necessario innanzitutto guardare ad una carta geografica: è l’ubicazione stessa dell’Iran a dettarne l’azione politica. Si trova in un angolo del mondo cruciale che fa da ponte tra India, Asia Centrale e Medio Oriente per giungere fino al Mediterraneo.
Dobbiamo ricordare che un tempo la Persia era una potenza imperiale ed aveva un importante ruolo
nello scacchiere del Medio Oriente e dell’Asia Centrale. Proiettava non solo un potere militare, ma anche una forte influenza culturale. L’Iran di oggi questo ruolo lo ha perduto, ma resta sempre una potenza regionale di cui tener conto ed il cui ascendente sui paesi limitrofi non lascia dubbi.
Fino al termine della Guerra Fredda l’Iran, come la Turchia, era un paese di frontiera. Oggi non lo è più e si trova a dover agire in un angolo del mondo tra i più instabili e turbolenti. Si considera una grande potenza ed intende far valere un proprio ruolo nella regione, cosa del tutto comprensibile. Il problema però resta sempre la natura rivoluzionaria del regime, che si traduce spesso in un modo di operare che desta non poche preoccupazioni tra i vicini e anche agli Stati Uniti. Il discorso si capovolge se si osservano le cose dal punto di vista iraniano.
Il grande motivo di tensione con gli Stati Uniti nasce dalla Rivoluzione islamica che ha rovesciato il regime dello Shah e soprattutto in seguito all’assalto all’ambasciata americana di Teheran con la successiva presa degli ostaggi. L’appoggio dato da Washington all’Iraq di Saddam Hussein nella guerra con l’Iran ha contribuito ad aumentare la diffidenza del regime verso gli americani.
Va ricordato che dall’Agosto del 1945, il mondo è entrato in una nuova era: quella nucleare, fattore che ha cambiato il modo di fare politica estera. Oggi è anche la politica nucleare di Teheran a preoccupare gli Stati Uniti. Sotto la presidenza Obama era stato firmato un accordo che limitava la ricerca atomica iraniana e la percentuale di arricchimento dell’uranio. Il presidente Trump aveva poi deciso unilateralmente di uscire dall’accordo ed aggravare le sanzioni contro il paese. Oggi si è alla ricerca di un nuovo accordo, ma ancora non vi si è giunti. In risposta intanto, l’Iran ha sviluppato una nuova generazione di centrifughe e ha portato l’arricchimento al 60%. Per fabbricare un ordigno nucleare bisogna arrivare al 90%.
Sia gli Stati Uniti che i paesi limitrofi sanno che quello cui stiamo assistendo oggi in Iran non sarà senza conseguenze anche nella regione: se dovesse cadere il regime, potrebbe cambiare tutto il Medio Oriente.
Human Rights Monitor ha riferito di 366 esecuzioni nel 2021 e di 553 fino a dicembre 2022. I dati mettono il Paese agli ultimi posti nella classifica mondiale sul rispetto dei diritti umani. Cosa ci raccontano questi dati?
Ci dicono che siamo di fronte ad un regime teocratico, perciò ideologico, che applica con rigore quelle che considera essere le leggi islamiche. La Repubblica Islamica si sente inoltre circondata da Stati ostili e minacciata all’interno: poco da stupirsi che applichi con durezza le sue leggi e che reprima con violenza queste ultime manifestazioni di protesta ispirate da un desiderio di libertà e democrazia.
Il regime è consapevole di trovarsi di fronte a cambiamenti importanti dai quali avrà difficoltà a tornare indietro. Si sente vulnerabile, sotto assedio e perciò determinato ad usare il pugno di ferro: l’esplodere ed il perdurare di questo movimento di protesta evidenzia un regime meno sicuro di sé, il cui potere giudiziario fa sapere di non tollerare contestazioni confermando la volontà di proseguire sulla strada della repressione. Ad esserne coinvolto anche il Kurdistan iracheno, accusato di ospitare oppositori curdi di provenienza iraniana.
Le vittime, gli arresti e le esecuzioni pubbliche non sono che l’espressione della volontà del regime di soffocare e sopprimere un movimento di protesta che è il più vasto e diffuso dai giorni della Rivoluzione. Creando questo clima di paura ed intimidazione la Repubblica Islamica mostra tutte le intenzioni di voler continuare a reprimere la protesta. La reazione però non si è fatta attendere e dopo le esecuzioni, numerosi manifestanti hanno gridato: “per ogni persona uccisa, ne insorgeranno mille”. Se da un lato il presidente del tribunale religioso dichiara che è nell’autorità dei giudici decidere chi è un nemico di Dio, dall’altro un certo numero di chierici si sta interrogando sulla validità delle condanne a morte.
La questione dei diritti umani spiega in parte anche la politica di avvicinamento alla Russia e alla Cina. Tra gli esponenti del regime vi è chi pensa che il legarsi a questi due paesi potrebbe far sì che si possa aprire bocca ancor meno su questa tematica. Fino a che questo regime resterà al potere non potrà che serrare i ranghi.
Per concludere, sarebbe il caso di aggiungere che in tutto ciò chi ha molto da perdere sono i sostenitori del regime, Basij e Guardiani della Rivoluzione in particolare: questi vi resteranno tutti aggrappati per motivi non solo ideologici, ma anche, e a volte soprattutto, di convenienza, dato il controllo che hanno su importanti settori dell’economia.
Ai veri credenti oggi si è sostituita una classe di opportunisti interessata quasi esclusivamente a ricchezza e privilegi. Anche questo aiuta a spiegare la ferocia repressiva di fronte alle richieste di cambiamento di una società che oggi è più avanzata della sua classe dirigente: se lo scopo ultimo è quello di restare al potere, non resta che soffocare o smantellare ogni forma di dissenso.
L’Iran è culla della cultura persiana: che modelli positivi offre al mondo?
La cultura persiana è certamente molto antica e raffinata. L’Iran di oggi però, caratterizzato dal potere degli ayatollah e da un regime repressivo che agisce anche al di fuori delle proprie frontiere, non offre molto cui trarre ispirazione e non è in grado di proiettare nessun potere di attrazione. Il minimo che si può dire è che i valori espressi dal regime non sono universalmente accettati.