Premessa: Riguardo le vicende di questo piccolo territorio semi-indipendente da Pechino, ho già scritto in passato e potrete trovare su questo sito i testi pubblicati. Il primo è del 22 Ottobre dello scorso anno, inserito nel contesto dei movimenti di protesta in Algeria e in Sudan, l’altro è apparso il 1 Gennaio di quest’anno.
Adesso vi ritorno perché considero gli eventi che si stanno svolgendo a Hong Kong di massima importanza, non solo per l’avvenire della regione ma anche per via di ciò che possono rappresentare per il mondo intero.
Alcune brevi considerazioni sulla Cina: Prima di essere travolta dall’epidemia di Coronavirus, e in conformità alle attese dei mercati, la Cina chiudeva l’anno con una crescita del 6,1%, livello più basso degli ultimi trent’anni. A questo vanno aggiunti il problema della guerra commerciale con gli Stati Uniti e quello di un peso eccessivo del debito e del calo dei consumi interni. Malgrado ciò, la Cina resta una potenza economica di primo piano che continua a fondarsi sull’ideologia comunista e le sue radici marxiste-leniniste.
Per molti osservatori esterni però, questo paese oggi non può più dirsi comunista in quanto incarna un sistema ibrido che consiste in un amalgama di sovietismo, maoismo e nazionalismo. Al suo interno regna un evidente fervore ideologico, evidente soprattutto nel corso delle riunioni del Comitato Centrale del Partito.
Pechino ritiene oggi di avere gli elementi e la forza necessari per servire da modello al resto del mondo e coltiva l’idea di uno scontro con gli Stati Uniti, inquadrato nell’ottica di una lunga e dura competizione tra sistemi politici. In questo vi è anche una dose di risentimento contro l’Occidente che trae le sue origini dai giorni della guerra dell’oppio.
Le celebrazioni di Victoria Park: Facendo leva sul pretesto del Coronavirus Pechino, in accordo con le autorità locali, cercava di bloccare la manifestazione in onore delle vittime di Piazza Tienanmen, svoltasi poi pacificamente il 4 Giugno nel parco Victoria di Hong Kong. E’ stata la prima volta in trent’anni che si è tentato di impedire questa veglia e in alcuni quartieri le forze dell’ordine hanno effettuato arresti di manifestanti del Movimento per la Democrazia. Tengo a sottolineare che fino ad allora il Coronavirus ad Hong Kong aveva fatto quattro morti in altrettanti mesi.
Nell’Assemblea locale i deputati del Movimento per la Democrazia avevano chiesto un minuto di silenzio in memoria delle vittime di Tienanmen, richiesta prontamente respinta dal presidente dell’Assemblea stessa. Per i sostenitori della democrazia, se diventa impossibile commemorare quei fatti ormai non è più a Hong Kong che si vive, bensì a Pechino. Nella stessa seduta è passato per 41 voti a 1 un provvedimento che bolla come criminale l’oltraggio all’inno nazionale cinese. La pena, tre anni di reclusione. Sembra evidente che il presidente Xi Jinping voglia soffocare la protesta democratica di Hong Kong e far prevalere le sue leggi su di un territorio rispetto al quale avrà la sovranità nel 2047, quando scadranno autonomia e diritti fondamentali concordati con gli inglesi al momento della loro partenza. Pechino dovrà comunque soppesare la faccenda con la massima attenzione, perché alla fine tutto ciò che sta accadendo non è che un atto di debolezza che la Cina rischia di pagar caro.
L' iniziativa di Hong Kong ha comunque suscitato simpatia e trovato sostegno a Seul, ove si è svolta una protesta di fronte all’edificio dell’ambasciata cinese. Forte appoggio anche da Taiwan, dove quale una folla calma, dignitosa e raccolta si è riunita in silenzio al suono delle note dell’inno dell'ex colonia inglese.
Da Washington il Presidente Trump ha dichiarato di voler interrompere i rapporti di collaborazione con Pechino. Egli sa bene che per il suo Paese Hong Kong è il centro finanziario più importante nei rapporti di affari con la Cina. Indignazione anche in Gran Bretagna, dove il premier Johnson ha proposto di dare un passaporto inglese a tre milioni di cittadini della città.
Viene promulgata una nuova legge: Passate poco più di due settimane, verso la fine di Giugno l’Assemblea Nazionale del Popolo approvava un testo denominato “Legge della Repubblica Popolare Cinese sulla salvaguardia della sicurezza nazionale nella Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong”. Scopo di questo provvedimento, in quanto diretto contro l’autonomia e le libertà del territorio di Hong Kong, è rafforzare i poteri del governo centrale di Pechino.
Ad essere competente sugli “attentati alla sicurezza” sarà la giustizia cinese che arriverà a prevedere fino all’ergastolo per questi delitti e, più specificatamente, condannerà la sovversione, la secessione, la sedizione, gli atti di terrorismo e di collusione con entità straniere. Si tratta di termini piuttosto vaghi, suscettibili di più di un’interpretazione e perciò potenzialmente particolarmente nocivi per le libertà civili.
Ad esprimere le sue gravi preoccupazioni per il passaggio della legge è stata anche l’Unione Europea. La risposta di Pechino è arrivata a stretto giro, con l’affermazione che nessuno ha il diritto di interferire nelle sue questioni interne e che la Cina si oppone alle ingerenze estere. Questo cieco appiattimento su sé stessi si basa sulla perversa illusione di poter controllare gli eventi, ma non è poi detto che il gioco finisca come lo si desideri, dato che qualsiasi agire genera delle conseguenze che spesso non possono essere controllate.
Non sono al corrente di tutti i dettagli di questa legge, ma è certo che la Cina voglia ad ogni costo ripristinare l’ordine per le strade di Hong Kong, limitandone perciò anche autonomia e libertà.
Passata dall’Assemblea Nazionale, la legge è stata puntualmente approvata dal presidente Xi Jinping il 1 Luglio, giorno dell’anniversario del passaggio di Hong Kong alla Repubblica Popolare Cinese.
Secondo il governatore di Hong Kong, Carrie Lam la legge sarà applicata solo ad un limitato numero di persone e non lederà la vita, i beni e i diritti fondamentali dei cittadini. Appellandosi alle Nazioni Unite la Lam dichiara inoltre che è necessario rispettare il diritto del territorio a proteggersi e difendersi. La sua esperienza politica dovrebbe averle insegnato che non è possibile piegarsi ai mali inflitti da un governo con la stessa rassegnazione che si prova di fronte alle avversità della natura.
Benché Pechino si sia dotata anche degli strumenti giuridici per imbrigliare l’opposizione, nella stessa giornata del 1 Luglio migliaia di manifestanti scendevano in piazza ad Hong Kong per ricordare il giorno della fine dell'occupazione britannica. Si sono udite proteste contro il nuovo progetto di legge e sono intervenute le forze dell’ordine arrestando 370 persone, 10 delle quali facendo uso di quella parte della nuova legge indirizzata contro la sedizione.
Per chi protesta il contesto si fa più repressivo e pericoloso e non sono in pochi a esprimere il timore di possibili denunce da parte dei vicini e addirittura dei familiari. Adattarsi a questa nuova situazione non sarà facile. La lotta certamente non verrà interrotta ed è probabile che possa proseguire in maniera più clandestina. Allarmata, Londra esprimeva le sue preoccupazioni e chiedeva al presidente Xi Jinping di tornare indietro dalla sua decisione.
Dalla comunità internazionale si è levato un ulteriore coro di proteste mentre il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, annunciava nuove rappresaglie. Il Congresso americano è entrato in scena validando all’unanimità una serie di sanzioni miranti a colpire i responsabili cinesi, la polizia di Hong Kong e tutte quelle entità – incluse le banche americane – che faciliteranno la messa in opera della legge.
La presidente della Camera Nancy Pelosi, in un suo discorso ha denunciato gli abusi perpetrati a danno dei cittadini, dichiarando in conclusione che se questi non si combattono si perde “ogni autorità morale per parlar di violazione dei diritti dell’uomo altrove nel mondo” e chiedendo di non chinarsi di fronte agli interessi commerciali. Anche Australia e Taiwan, insieme alla Gran Bretagna, si sono dichiarate pronte ad agevolare l’immigrazione di residenti del territorio.
Immediate conseguenze e primarie elettorali per Settembre: A Hong Kong arriva l’ordine da parte delle autorità locali di rimuovere dalle biblioteche e dalle librerie le opere scritte dalle figure della dissidenza. Viene anche imposto di ritirare dalle scuole ogni materiale pedagogico che potesse criticare Pechino e la nuova legge. Il governatore Lam intanto avvisava tutti i militanti radicali di stare attenti a non oltrepassare la linea rossa indicata dal governo cinese e che saranno imposte pene molto severe a chiunque violi la Legge sulla sicurezza nazionale. Vengono anche consentite perquisizioni senza mandati e censure su internet: “Applicherò la legge con vigore” dichiara frattanto il Governatore.
Mentre Taiwan non nasconde il timore di dover prima o poi subire la stessa sorte, sulla questione dei social media si apre un conflitto tra Microsoft, Twitter, Facebook, Google, YouTube e Tik Tok, che sospende la sua piattaforma a Hong Kong. Si è anche decretato che per la prima volta agenti cinesi potranno operare in piena libertà nel territorio ed è stata inaugurata la sede dell’Agenzia cinese di sicurezza nazionale. Tutto ciò rimette in causa le fondamenta giuridiche di Hong Kong.
In risposta, Australia e Canada hanno sospeso i loro accordi di estradizione con la Cina nei confronti dei residenti di Hong Kong presenti sul loro territorio ed è da Taiwan e dai paesi anglosassoni che provengono le condanne più ferme. L’Unione Europea si è mostrata prudente, in quanto tiene a conservare i suoi rapporti economici e commerciali con la Cina e a torto ritiene che gli avvenimenti di Hong Kong siano in fondo di secondaria importanza.
Sotto un caldo intenso, oltre 600.000 persone si sono recate in una serie di seggi elettorali non ufficiali per dare il loro voto. In alcuni quartieri mi è stato riferito che si sono viste lunghe file di attesa per questo scrutinio e che sono apparsi dei cartelli con la scritta “Votate per chi resiste”. Organizzate dalle forze per la democrazia, queste primarie sono servite a selezionare i candidati in vista delle elezioni legislative di Settembre.
Alcuni dei votanti dichiaravano apertamente di temere che questo potesse essere il loro ultimo voto, altri erano incerti sulla possibilità dei candidati di presentarsi a Settembre. Intanto, quei membri dell’opposizione che si erano adoperati per spingere la gente a votare affermavano che mai si sarebbero prostrati di fronte a Pechino.
Nella giornata di Venerdì 10 Luglio, con la scusa del sospetto di una diffusione illegale di dati personali, le Forze dell’ordine sono entrate in un istituto di sondaggi considerato vicino all’opposizione e ne hanno perquisito gli uffici. Quest’atto di forza è stato descritto come un avvertimento lanciato dalle autorità del posto per intimorire gli elettori, mentre nel giro di elementi vicini a Pechino già si parla della possibilità di una violazione della Legge per la sicurezza: in poche parole, usare ogni mezzo per infrangere i diritti dei cittadini di Hong Kong.
I risultati delle prossime elezioni legislative serviranno per vedere come gli abitanti del territorio finiranno col reagire di fronte a questa nuova Legge imposta da Pechino. Quando si recheranno alle urne, abbiano ben presente che nessuno dei mali che uno Stato totalitario cerca di estirpare è peggiore del totalitarismo stesso.
Un’estirpazione etnica e culturale: Anche se non direttamente connessa con le vicende di Hong Kong, vorrei spendere qualche parola sulla vicenda degli Uighuri che in fondo è un’altra faccia della stessa medaglia – anche se ben più sconcertante – di ciò che sta avvenendo nei Territori.
E’ nel 1889 che la Cina imperiale annette la regione del Turkestan orientale, Xinjiang per i cinesi, una vasta area del Nord-Ovest ove anticamente passava la Via della Seta. Tra i gruppi etnici che vi abitavano, il più importante era quello degli Uighuri, popolazione di stirpe turca e di religione musulmana, con una propria lingua, cultura e identità.
Vediamo oggi Pechino in atto di soggiogare questa popolazione, adducendo come scusa quella di un pericolo islamico. Di fatto se vi si sono formati alcuni gruppi radicali, questo è avvenuto successivamente per via dell’opportunismo cinese e come risultato delle sue politiche persecutorie. A differenza di Hong Kong, stiamo oggi assistendo ad un vero e proprio tentativo di estirpare un popolo ed una cultura che, chissà per quale motivo, Pechino considera come una quinta colonna.
Lo scopo del presidente Xi Jinping e del Partito Comunista esprime la volontà di sopprimere le tradizioni uighure, facendo tra l’altro confluire nella regione un gran numero di gente Han (la principale etnia cinese) che conta circa un miliardo e trecentomila persone. Si tratta di un modo crudele ed indecente di sommergere, diluire ed eventualmente estirpare un intero popolo.
Non solo viene combattuta la lingua uighura, dialetto di ceppo turco, costringendo la popolazione del luogo ad imparare a esprimersi in mandarino, ma anche obbligando quella gente a rinunciare all'abbigliamento tradizionale per vestirsi alla cinese.
Questo comportamento, già di per sé una ferita al principio della dignità dell’uomo, è ulteriormente aggravato da recenti sviluppi che sappiamo consistere in arresti arbitrari, in più di un milione di reclusi in campi di internamento (definiti da Pechino centri di addestramento professionale) e in un intenso programma di sterilizzazione forzata.
Un documento pubblicato dalla Fondazione Jamestown descrive una politica brutale di controllo delle nascite e di sterilizzazione imposta a danno delle donne uighure. Si tratterebbe di un ampio e deliberato programma, eseguito con determinazione, al fine di ottenere un riequilibrio etno-razziale, il cui scopo è consentire la dominazione sul luogo della popolazione cinese di stirpe Han: rovesciare gli equilibri demografici per realizzare un programma di cinesizzazione dello Xinjiang.
La repressione è andata accentuandosi dal 2016 e non è un caso che questa regione occupi un territorio che si trova nel cuore del progetto “One Belt, One Road”, iniziativa strategica della Repubblica Popolare Cinese per il miglioramento dei collegamenti commerciali con i paesi nell'Eurasia. A tutto questo gli Uighuri sono visti come un ostacolo: dal 2015 alla fine del 2018 il tasso di natalità tra di loro è caduto del 94%.
Alle vibranti proteste occidentali la Cina risponde trattarsi di mere calunnie, di false informazioni e di propaganda senza fondamento. Nel frattempo si vedono file di uighuri incappucciati attendere sulle banchine delle stazioni l’arrivo dei treni che li avrebbero condotti nei campi di internamento: un’immagine a noi purtroppo già molto familiare.
Alcune divagazioni di carattere generale, ma non per questo inopportune: Gli eventi di cui ho appena parlato, se considerati sotto più di un punto di vista, possono aprire la porta ad una serie di dibattiti ognuno dei quali non privo di interesse. Forse non è il caso in un testo come questo di inoltrarvisi, ma vale comunque la pena di farvi un cenno dato che toccano i temi della Storia, del potere, della libertà e della giustizia.
Partendo dalla Storia, uno studioso di questa disciplina direbbe trattarsi di una cosa complessa e che i fattori che concorrono sono innumerevoli: si tratta di andare alla ricerca del come e del perché delle faccende umane, visto che questa disciplina corrisponde con la vita di ogni persona. Pensare di poterla capire andando alla ricerca di leggi o regole sottostanti è solo illusione.
Altri potrebbero dire che questo mondo non è che una delle combinazioni possibili degli eventi avvenuti o in corso: si tratterebbe di una necessità le cui leggi restano sconosciute e si manifestano attraverso il caso. Vi è dunque nello svolgersi degli eventi un limite estremo che la ragione non può superare, così come non lo può neppure la volontà dell’uomo. In poche parole, nel corso degli eventi come in quello di una vita vi è un’essenza inaccessibile. Ogni azione è un lancio di dadi a rischio di chi la compie come di tutti gli altri: a nessuno in particolare è dato di conoscere la scienza della situazione né tanto meno il potere di dominarla.
Ma cos’è questo potere che muove la Storia, sovrasta gli eventi e trascina le persone in avventure di cui spesso non conoscono il senso e che pure sono loro ad escogitare, a volere e a seguire? Tolstoj direbbe che la storia dei moderni è “come quel sordo che risponde a domande che nessuno gli fa” e non risponde a quelle che gli si pongono. Era importante per lui chiarire la verità dei fatti e domandarsi perché le cose accadono, come accadono e perché si agisce, come si agisce e qual’è la causa degli eventi.
Per lui gli eventi sono determinati da una forza che sovrasta tutto e tutti ed è per questo che la vera causa dei grandi movimenti della Storia sfugge sia all’individuo che vi soggiace, quanto allo storico impegnato ad osservarli.
Appare chiaro che la Storia è alla fine ostile ad ogni potere costituito e che dirige il corso delle vicende umane verso il meglio. A decidere è lo spirito del mondo e quando un individuo con il suo peso eccessivo turba gli equilibri, diventa prima o poi di impaccio fino a che giunge il momento di intervenire: vi è una dialettica che si serve degli individui per i suoi scopi, ma quando questi diventano un ostacolo al suo manifestarsi, non esita a metterli da parte. Una Storia che non promette il bene non avrebbe senso.
Le credenze diventano insensate e funeste non appena si trasformano in dogmi che impongono al prossimo mortificazione ed umiliazioni: entrano in violenta contraddizione non solo con gli individui, ma con la natura stessa delle cose e da lì l’idea della rivoluzione. Una rivoluzione non può mai essere realmente vinta, perché essendo provvidenziale riappare sempre. Ma cos’è poi questa rivoluzione? La si può chiamare progresso, e questo progresso lo si può chiamare domani e questo domani compie irresistibilmente la sua opera e lo fa da oggi.
Questo tema della Storia e della rivoluzione finisce col confondersi con quello del destino, che è tutto ciò che non sappiamo e non possiamo in alcun modo sapere, ma che non per questo cessa di operare ed avere effetto. Di fronte a sé stessi si è sempre liberi, ma appena ci si confronta con il mondo il destino inizia ad operare ed ecco che si affronta il tema del potere e della forza che tenta di trasformare le persone in cose.
Questo del potere è un tema importante, in quanto mi è stato insegnato che va considerato dal punto di vista dei diritti del cittadino nei confronti di chi governa e non da quello dei diritti del governante. Per considerarsi legittimo questo potere dev’essere in grado di giustificare pubblicamente le sue azioni: se non lo fa, il suo agire è illegittimo e se c’è un personaggio che a questo punto diventa necessario è quello del cittadino che protesta. Quando un popolo si esprime bisogna dunque rallegrarsene, soprattutto se la protesta è segno di malessere.
Il potere crea resistenza ed il troppo potere ne crea ancora di più. Non si può costruire un potere sbarrando lo spazio alla società civile e comprimendo i diritti del cittadino. Quando un potere cresce fino al punto di calpestare i diritti dell’individuo e reprimere un popolo, il nostro compito è quello di gridare. La libertà può esserci o non esserci, può essere vera o finta, più grande o meno grande, ma se esiste è un insieme di diritti politici. Giunti a questo punto diventa inevitabile una meditazione sulla libertà e la giustizia, specialmente al giorno d’oggi quando intere comunità sono preda di apparati statali armati di strumenti di repressione come mai prima.
Chiunque si trova a comandare dovrebbe avere in mente che la libertà è la suprema condizione del progresso di una società ed il più prezioso dei beni che l’uomo possiede. Vorrei ricordare che sessant’anni fa, in un incidente d’auto, moriva Albert Camus, le cui opere affrontavano soprattutto i temi della rivolta, della giustizia e della libertà. Chi lo ha letto sa bene che una società non può progredire senza rispettare i diritti e la libertà delle persone.
Compito di uno Stato è dunque quello di garantire ordine, stabilità e prevedibilità, tutti concetti che fanno parte della buona salute di un sistema di governo: rispetto per gli altri, tolleranza, inclusione ed accettazione delle diversità non solo sono le regole di un buon governo, ma anche del vivere civile. Ne risulta che finché si è vivi bisogna combattere ciò che sembra falso e ingiusto, senza compromessi né attenuazioni.
Questo è il mio pensiero. Discendo da una famiglia di tradizione mazziniana, favorevole all’ideale repubblicano e che durante la guerra era fermamente schierata con il Partito d’Azione. L’eredità che ho assorbito è quella della Resistenza in quanto lotta di popolo per la libertà. Ritengo quindi giusto ribellarsi contro uno Stato che non merita più nessun rispetto.
Alla Cina vorrei far notare che rivoluzionari non si nasce ma lo si diventa e che uno Stato non può fare di un cittadino ciò che vuole. Proseguendo su questo sentiero quale sarà l’eredità che Pechino lascerà domani? Avrà sparpagliato con il suo autoritarismo miope ed irrazionale un patrimonio di civiltà e finirà inevitabilmente col creare tutti quei reati che vuole prevenire. Vi è un limite da non oltrepassare che è quello della misura e dell’equilibrio, altrimenti come rispondere se non con la violenza ad un regime basato sulla violenza e la sopraffazione?.
L’umanità è continuamente fatta segno di enormi oltraggi, ma spesso non si sente affatto oltraggiata: a Hong Kong invece si, tanto che vi si solleva la questione del valore dell’esistenza e delle persone. In nome della decenza diventa dunque inevitabile contestare lo stato attuale delle cose.
Tornando alla Storia, pare evidente che la si possa definire un’approssimazione, ma resta sempre il catalogo dell’agire delle persone nel tempo ed è alla fine questa esperienza del passato che ci aiuta ad imparare molto sull’uomo. Anche se i risultati sono imprevedibili, mi azzarderei a dare un senso agli eventi storici e questo si trova nel progressivo affermarsi della libertà. Se tutto questo è vero, non resta che constatare che l’attuale agire di Pechino nei confronti di Hong Kong è del tutto antistorico.
Conclusione: In questo piccolo territorio si sta attualmente svolgendo una battaglia della massima importanza, la posta in gioco essendo niente di meno che la libertà, i diritti delle persone e il senso della Storia. Come detto in precedenza, gli esiti avranno ripercussioni ben oltre la stessa Asia e saranno di enorme portata per il domani dell’umanità. Si tratta di una piccola trincea che va difesa ad oltranza e mantenuta ad ogni costo. Anche sotto tiro, chi si batte per la libertà non sarà mai impotente e la sua protesta sarà tanto più efficace quanto continuerà a manifestare il suo pensiero.
Procedendo su questa china, Pechino sta assumendosi enormi rischi politici, e non solo perché la faccenda sta creando tensioni con gli Stati Uniti e le nazioni vicine. Ai miei occhi, questa sulla sicurezza è una legge ingiusta e molto dura: se condotta all’estremo non può che significare la disponibilità a sacrificare Hong Kong e, appena possibile, la volontà di impossessarsi di Taiwan.
Di fronte agli ultimi risultati elettorali di Taiwan Pechino sta cercando di mostrare un’indubbia volontà di affermazione e per riuscire cerca di tenere unito il popolo premendo sul tasto dell’orgoglio nazionale ed esaltando una volontà di rivincita per le umiliazioni subite nel passato. Ma alla luce degli avvenimenti trascorsi, può esservi una forza capace di sopravvivere nel tempo reprimendo e calpestando le idee di uguaglianza e di libertà?
Chi pensa che da parte di Pechino questa sia un’affermazione di forza sbaglia: dietro la facciata di durezza ed inflessibilità si celano un gigante fragile ed un partito incerto sulla tenuta del suo potere che, di fronte alle difficoltà dei tempi, serra i ranghi intorno al presidente Xi Jinping. Questa sensazione di debolezza è andata crescendo a causa dell’epidemia di Coronavirus e del modo con il quale è stata gestita.
Il presidente cinese intende essere del Partito Comunista il leader assoluto ed esalta una strategia di potenza determinata ad usare ogni mezzo per raggiungere i suoi scopi. Se dovesse durare nel tempo, ad acquistare maggior rilievo saranno gli aspetti militari della questione dato che diventerebbe lecito pensare che idealmente Pechino vorrebbe se non estromettere, almeno allontanare gli Stati Uniti dalla regione.
In questo momento, anche per motivi elettorali, Washington sta mostrando una linea dura verso la Cina che vede salire sulla scena internazionale come potenza rivale. Pechino è vista come una grande minaccia e la diatriba sembra andare ben oltre le tensioni commerciali. Se il presidente Trump non dovesse farcela a Novembre, non è affatto detto che con Biden alla Casa Bianca le cose possano cambiare: questo timore dell’ascesa cinese credo sia condiviso da entrambi gli schieramenti politici americani. Quella che si sta stagliando all’orizzonte è una grande rivalità tra Stati Uniti e Cina.
Riguardo il più vasto panorama degli eventi, e ho già affrontato questo tema in precedenza e più dettagliatamente, il mondo dovrà confrontarsi con problemi sempre più complessi e di portata globale che nessun singolo Paese anche se grande e potente potrà mai affrontare da solo e a livello nazionale.
Si tratta di sfide così ampie da superare anche il livello continentale. Mi limito a menzionare il cambiamento climatico, future pandemie, il problema delle risorse idriche, l’inquinamento ed il fatto che tra poco il pianeta supererà gli otto miliardi di abitanti. Ciò significa rientrare nell’ambito dei fatti e che a doversi mobilitare sarà l’intero genere umano.
È perciò necessario non tanto giocare sui tasti del nazionalismo e della politica di cortile, quanto promuovere e favorire la cooperazione internazionale e l’equilibrio in un contesto di solidarietà, giustizia e libertà. Solo in questo modo sarà possibile portare un contributo originale alla costruzione di un mondo migliore.
Il resto sono lussi che mineranno ogni equilibrio positivo e che tra non molto sarà distruttivo e pericoloso concedersi. Il futuro non potrà che costruirsi con le idee e chi dice che piove quando brilla il sole prostituisce la parola e apre la via alla tirannia.