Missione Diplomatica Palestinese

2019- 08.21.19 - Sunto incontro Ambascia[...]
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2019- 08.06.19 - Sunto incontro Ambascia[...]
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PARTITO REPUBBLICANO ITALIANO

Sezione Helvetia

                                                                                                                                                                                                 Sede Nazionale : Via Euclide Turba 38 – Roma 00195


 


 

Ambasciata Palestinese

Roma, Mercoledì 21 Agosto 2019 21:00PM – 23:00PM

 

Si dice piovere sempre sul bagnato. Cinque giorni fa mi reco in banca per controllare il mio conto e ritirare duecento euro. La cassiera mi avvisa che serve la fotocopia di un mio documento, essendo scaduto quello che avevano. Si trattava della patente. Terminate le operazioni, inforco il motorino per recarmi a far la spesa.

Sulla via del ritorno vedo accendersi la spia gialla: è finito l’olio. Depositata la spesa in cucina, riprendo il motorino per andare all’Aci di via Respighi. La saracinesca è abbassata ed un biglietto avvisa che l’ufficio resterà chiuso fino al 3 Settembre. Per non girare troppo mi reco subito dal meccanico perché ad ogni cambio dell’olio devo fare anche il tagliando. Anche lui chiuso fino al 26 Agosto.

Conclusione: senza olio e senza patente meno uso il motorino, meglio è.

Col nuovo ministro consigliere ci eravamo accordati per un incontro nella giornata di oggi. Lo chiamo per avvisarlo del mio problema e chiedergli se non avesse nulla in contrario ad essere mio ospite per cena in un posto a poca distanza da casa mia. Accetta volentieri e gli propongo il ristorante Zero, ad un tiro di sasso da Piazza Ungheria. Vi giungo puntuale e ricevo un messaggio che mi avvisa del fatto che il mio ospite avrà pressappoco un quarto d’ora di ritardo.

Una volta lì, dopo aver chiesto al cameriere se era possibile, mi siedo all’unico tavolo rimasto libero all’esterno. Dato il caldo e la passeggiata ordino in attesa una bottiglia d’acqua. Al tavolo accanto siedono due ragazze dall’aspetto molto civile, che neppure a volerlo sarebbe stato possibile trovare due tipi così marcatamente opposti: l’una era nera di capelli, l’altra bionda; una li aveva ricci, l’altra lisci; l’una era vestita di nero, l’altra in chiaro.

Quella bionda era di aspetto più dolce e parlava con voce soffice e gradevole. Quella bruna dalla chioma riccia aveva una voce stridula che si sarebbe potuta sentire fino al marciapiede opposto. Purtroppo, per questo motivo, avrebbe reso meno facile la conversazione con il mio ospite.

Mi si dirà cosa c’entra tutto ciò con il mio incontro? Mi ci sto dilungando per un motivo che ho trovato di un certo interesse e che è una perfetta illustrazione dello stato nel quale versa il Paese e delle difficoltà che vi trovano i giovani.

Ambo le fanciulle dovevano essere studentesse di Giurisprudenza e data la prossimità, in attesa del mio ospite non potevo che sentire la loro conversazione. Parlando del loro mondo si raccontavano a vicenda come tutti i loro migliori amici si trovassero a lavorare o a Londra, o a Boston, o a New York, o in Francia oppure erano pronti a trasferirsi altrove.

Quelli che erano prossimi alla laurea stavano tutti sgomitando per crearsi un futuro negli Stati Uniti, in Canada o in Europa. Nessuno che pensasse ad una carriera qui e a restare in questo sciagurato Paese. Finalmente vedo giungere il mio ospite.

Si scusa per il ritardo, si siede ed ordina un wok al salmone con verdure e riso nero. Io vado per l’insalata di polpo, piatto col minor numero di calorie. Questo lo so non perché sono bravo, ma in quanto indicato sul menù: a seguito dell’operazione e della terapia radiologica, ahimè, non riesco più a perdere peso. Si dice che l’ultima a morire sia la speranza: ma in un Paese come questo chi è più in grado di sperare? Io vi ho rinunciato da tempo. Non resta dunque che la vanità e perciò, sotto con il polpo!

In attesa dei piatti, non perdiamo tempo e iniziamo la conversazione. Dovremmo però sforzare l'udito per via della voce stridula della nostra vicina al quale si aggiunge un ricorrente cigolio dei tram che al loro passaggio rendono il sentire molto arduo.

Il ministro mi chiede subito le previsioni sull’esito della crisi che ha portato il premier Conte alle dimissioni. Rispondo che, non essendo emerso dalle pagine dell’Antico Testamento, mi era piuttosto difficile abbandonarmi alle profezie.

La situazione – inutile dirlo – è complicata. I partito hanno obbiettivi diversi e sono tutti lacerati da faide interne. Salta all’occhio che proprio la scarsa coesione in seno a quelli maggiori sarà notevole fattore di complicazioni. Oltre la facciata che ci viene presentata, nessun partito si trova in buona salute: bisognerà rassegnarsi ad attendere l’esito delle consultazioni appena iniziate al Quirinale. Il presidente Mattarella sonderà i vari partiti per vedere se sia possibile una nuova maggioranza. Date le circostanze, non perderà tempo ed entro pochi giorni avremo la sua decisione.

Per metà della settimana prossima, al più tardi, conosceremo l’esito finale di questa crisi voluta da Salvini per trarre profitto dai risultati ottenuti alle elezioni europee e dai crescenti consensi che continua a registrare nei sondaggi. A quattordici mesi dalla nascita del governo la Lega ha raddoppiato i suoi voti, il Movimento 5 Stelle li vede dimezzati: annunciando la fine dell'accordo di governo, Salvini costringe il premier Conte alle dimissioni.

Temo abbia tirato troppo la corda, al punto da rendersi conto di non aver fatto una mossa brillante. Ora sbraita ovunque di complotti europei e vari tipi di tradimenti e forse non sa che un elemento a suo favore sarà proprio la nascita di un esecutivo il cui scopo principale è quello di tenerlo fuori dal governo.

Arrivati dove siamo e partendo dai numeri in parlamento considero quasi inevitabile un’intesa tra PD e il Movimento 5 Stelle. Le violentissime accuse che si sono lanciati per anni in passato, oggi è superato dalla necessità di unirsi al fine di evitare le elezioni e fare le scarpe a Salvini.

Il segretario Zingaretti spinge per la nascita di un governo che assicuri discontinuità da quello precedente. Questo solleva dubbi sulla possibilità di un Conte-bis e ipotizza uno scontro sul nome del prossimo premier e su chi dovrà stargli accanto.

Se il tentativo del Quirinale non dovesse andare a buon fine le possibilità sarebbero due: scioglimento delle Camere e nuove elezioni oppure un governo di scopo in carica per gli affari correnti e per alcuni impegni importanti quali il decreto sull’economia, la legge finanziaria e la nomina del commissario italiano per l’UE.

Anche se tutto ciò equivale ad un bombardamento su Dresda, non è da escludersi – anche se a mio parere è piuttosto improbabile – una ripartenza delle trattative tra Lega e 5 Stelle: mai sottovalutare la capacità dei nostri di far danni!

Per Berlusconi e la Meloni ciò che conta è una maggioranza di centro-destra che rispecchi volontà degli elettori: spingono perciò per elezioni anticipate. In quanto a Salvini, insiste anche lui per il voto dicendosi ostile sia ai giochi di potere che ad un governo che non faceva più nulla. Vi sarebbe però da domandarsi cosa abbia fatto lui se non insultare l'Europa e prendere a calci migranti e rom.

Più ambiguo è Di Maio: insiste che non devono essere gli italiani a pagar la crisi. Ci dica lui, che è tanto bravo, chi se non loro finirà col saldare il conto. In quanto al Presidente Mattarella, ha fatto capire che nessuno salirà al Colle senza proposte, se non ben definite, almeno tracciate nelle loro grandi linee.

Che i sentieri siano stretti e il percorso poco agevole ce renderemo presto conto: a sottolineare come la situazione fosse già critica è il fatto che la crisi sia scoppiata in pieno Agosto. Tutto resta molto fluido. Temo assisteremo tutti ai soliti cinici balletti tra uomini vuoti ed insignificanti, cosa che farebbe anche ridere se non si fosse tutti noi a pagare poi lo scotto.

I nostri Tartufi della politica ci hanno abituato a tutto, incluso il fatto che malgrado le loro parole di amore verso cittadini e patria ogni principio è sacrificabile e poco o nulla finirà col cambiare. Guardano un po’ di qua e un po’ di là quando servirebbero maturità e senso di responsabilità. Per adesso stanno acquistando tempo: ma fino a quando e a quale costo?

Terminato il mio esposto, chiedo al Ministro quali rapporti abbia oggi l’Autorità Nazionale Palestinese con l’Iran: dato ciò che sta accadendo nella regione, penso non sia domanda da schivare.

Il mio ospite risponde che con il regime degli Ayatollah non vi sono rapporti bilaterali. Chiudere le porte non rientra nel loro modo di intendere la politica: per principio sono pronti al dialogo con tutti, dalla Siria fino Qatar. Non escludono nessuno e sono aperti a ricevere l'aiuto e l'amicizia di tutti.

A dettare questa linea è la loro debolezza e se necessario quindi ben venga l’appoggio degli iraniani o di chiunque si mostri vicino alla loro causa e ai loro interessi.

L’Iran – prosegue – sostiene la loro causa ed è un importante attore regionale. E’ ovvio abbia i suoi tornaconti nell’appoggiare la causa palestinese, ma per Ramallah la cosa è accettabile. Che Tehran voglia essere coinvolta nella questione ed avere un suo ruolo sui grandi temi del Medio Oriente non deve sorprendere. Senza contare che, ad esempio, aiutando Hamas infastidisce i suoi avversari.

Riprendendo un passaggio del nostro precedente incontro, gli domando se vi siano nuove notizie sul piano Kushner e, nel caso, quali sviluppi si attendono.

Risponde di non avere notizie ufficiali. In ogni modo, nessuno tra i palestinesi abbraccerà mai un accordo che li trovi messi al margine, se non addirittura esclusi. Continuano ad appoggiare - e ciò li trova tutti d'accordo - il piano saudita del 2003. Mi dice come questo, partendo anche dalle risoluzioni sulla Palestina presentate alle Nazioni Unite, affronti per intero la possibilità di risolvere la questione palestinese.

Riguardo il piano Kushner, o perlomeno della parte di cui si è oggi a conoscenza, è invece in tutto e per tutto una novità. Vago e poco impraticabile, ha anche il difetto di esser stato presentato senza che nessuno li consultasse. Vi sono poi troppe cose non chiarite ed è povero di dettagli.

Non deve sorprendere se i palestinesi rifiutino di impegnarsi su qualcosa di così nebuloso ed incerto. Nulla di importante vi è menzionato e, ultimo ma non meno importante, non vi è l’ombra di un percorso finale malgrado i miliardi che si propone di spendere, se mai verranno spesi e da chi: è un documento considerato inaccettabile che nessuno vuol vedersi imposto.

Si tratta, ragiona, di un compromesso tra nazioni e non tra leader. È necessario per lui pensare ad un approccio migliore: se non si pongono sul terreno le basi per un contesto di pace, malgrado tutti gli eventuali i miliardi non vi sarà mai un accordo finale. Il mio ospite sottolinea l'importanza di aspettare i risultati delle prossime elezioni: dato che in arrivo ve ne sono più di una, gli chiedo quali.

Quelle in Israele, risponde, sottolineando come adesso Netanyahu possa avere in mente l'idea di entrare nella Storia. Da queste sua parole ricavo l'impressione che sia piuttosto fiducioso sulla vittoria elettorale del più longevo premier israeliano.

Controbatto non avere su questo la sua stessa certezza. Se la sua intenzione fosse effettivamente quella di passare alla Storia, temo per lui che se la sia giocata. Il suo è stato il governo più reazionario e razzista che Israele abbia mai conosciuto. Se passera alla Storia, sarà soprattutto per aver affossato il sogno Sionista di rendere Israele “luce tra le Nazioni”.

E’ dalla metà degli anni ‘90 che Netanyahu occupa la posizione di Primo Ministro, carica che ha ricoperto per ben quattro volte, diventando il premier più duraturo della storia di Israele. Due generazioni di israeliani vi hanno convissuto.

Sarebbe oggi tempo di cambiare rotta e tornare ai principi degli accordi di Oslo, sottoscritti nel lontano Agosto del 1993. L’alternativa è un ritorno al pensiero di Zeev Jabotinsky, padre spirituale della destra israeliana. Sua opinione era che la sovranità dello Stato ebraico andasse estesa dalle rive del Giordano al Mediterraneo. Non è un caso che il padre di Netanyahu sia stato proprio segretario di Jabotinsky nonché editore del suo giornale, Ha-Yarden.

L’uomo – aggiungo – non è privo di abilità, ma vi sono aspetti del suo carattere che lasciano perplessi, al punto da pensare che a muoverlo sia più l’amore per il potere che gli interessi di Israele. Pur di vincere è sempre andato alla ricerca dell’appoggio della destra più estrema, quella dei coloni, dei nazionalisti e dei religiosi ultra-ortodossi: benché poco numerose, queste forze sono riuscite ad esercitare su di lui un’influenza ben superiore al loro peso reale e a mio giudizio spesso nefasta.

Il 9 Aprile di quest’anno ha ottenuto il suo quinto mandato per un soffio. La successiva rottura con Avigdor Lieberman, suo alleato e ministro della Difesa, lo ha indotto a sciogliere il governo. Il capo del partito Israel Beitenu (nato da una scissione del Likud) si è scontrato con l’intransigenza dei suoi altri partner della coalizione determinando così la fine dell’esecutivo. Il premier è ora in carica ad interim, in attesa delle elezioni previste per il 17 Settembre.

Appare disperato in quanto rinviato a giudizio in tre casi di corruzione. E’ anche accusato di conflitto di interessi e abuso di autorità. Sa bene di correre addirittura il rischio della prigione. Non a caso, appena eletto ha fatto pressioni per il passaggio di quelle leggi che avrebbero annullato il suo rinvio a giudizio e che aveva negato voler far approvare. Pur di salvarsi e garantirsi l’immunità si è mostrato pronto a compromettere il sistema giuridico del suo Paese.

In passato ha subito l’accusa di appoggiare le tesi dei negazionisti. Oggi non sono in pochi a pensare che la sua strisciante annessione di terre palestinesi della riva occidentale del Giordano (West Bank) finirà col minare l’esistenza stessa della democrazia ebraica, basata sul principio “una persona, un voto”. Se Israele dovesse annettersi questi territori, quale ne sarebbe lo statuto degli abitanti e quali i loro diritti?

A complicargli le cose si aggiunge l’entrata in scena di Benny Gantz, ex-Capo di Stato Maggiore delle Forze armate e fondatore del partito Hosen le Yisrael, seguita poco dopo dall’apparizione dell’ex-premier e generale Ehud Barak, pure lui fondatore di un nuovo partito e militare più decorato della storia del Paese. Tutto questo rimetterà in gioco l’opposizione, che potrà anche contare sul partito Laburista. Resta da vedere quale potrà essere la coalizione possibile dato che in Israele la politica è, a dir poco, dannatamente complicata.

Il mio ospite passa a sottolinearmi i meriti del premier israeliano nel trattare con il Presidente Trump. Gli rispondo trattarsi di fortuna: se è stato eletto non è solo per merito suo, quanto anche dello zampino di Putin. La campagna elettorale è stata talmente incerta da farmi ritenere l’attuale occupante della Casa Bianca persona baciata dalla sorte: ha avuto il vantaggio di trovarsi contro un Partito Democratico diviso ed un avversario piuttosto impopolare come Hillary Clinton.

Avesse invece vinto un democratico, il buon Netanyahu si sarebbe trovato nei guai: diversa sarebbe stata la politica verso l’Iran e ben diversa anche la sua accoglienza alla Casa Bianca. Ricordo al mio ospite come il premier israeliano abbia più di una volta gravemente offeso il presidente Obama e quanto sia poco prudente per un uomo di Stato straniero mettersi contro un Presidente degli Stati Uniti: dovrebbe sapere che a Washington non si fa solo politica di parte e che non è mai saggio scavare un fossato tra democratici e repubblicani.

Pochi giorni fa Netanyahu si è chinato alla richiesta di Trump di non concedere l’ingresso in Israele a due deputati democratici, Rashida Tlaib e Ilhan Omar. Il gesto ha indispettito il loro partito, trattandosi di due persone di nazionalità statunitense e regolarmente elette alla Camera dal popolo americano.

Gli Stati Uniti sono sempre stati il principale sostenitore politico, economico e militare di Israele. Più che l’appoggio della Casa Bianca, un premier israeliano dovrebbe cercare quello del Congresso. Soprattutto, dovrebbe sapere che se contribuisce ad indebolire Israele, indebolisce anche la posizione degli Stati Uniti nella regione. Netanyahu e Trump stanno conducendo un gioco pericoloso, in quanto cercano di aiutarsi reciprocamente in vista delle rispettive elezioni.

Riguardo le prossime presidenziali americane, mi ha chiesto quali possibilità avesse Sanders. Gli ho risposto che, per vincere, negli Stati Uniti un presidente ha bisogno di essere appoggiato da un insieme di coalizioni.

Sanders, che reputo persona degnissima, ha delle posizioni che in America di solito non portano lontano. Queste lo associano ad ambienti intellettuali della East Coast che nessuna presa hanno sul resto del Paese. Se potrà trovare qualche seguace in California, non vedo però che possibilità abbia nel Sud, nei vasti territori del Midwest, nella cosiddetta Rust Belt, senza contare la Bible Belt e la Corn Belt.

Chiusa quest’escursione nella politica americana, menziono al ministro un mio vecchio progetto riguardante l’Apollo di Gaza. Si tratta di statua in bronzo scoperta in mare da un pescatore in un punto della Striscia. Mi dice non saperne nulla.

Gli racconto la storia, aggiungendo che qui a Roma avevo dato quattro conferenze sul ritrovamento: al Circolo degli Scacchi, alla Casa dell’Aviatore, al Club UNESCO e l'ultima presso l’isola Tiberina nel corso dell’Estate Romana. La statua si trova ora celata in qualche ufficio ministeriale di Gaza, con tutta probabilità anche in condizioni di deterioramento.

Lo informo di aver scritto in passato all’Autorità Nazionale Palestinese, chiedendo se avesse la possibilità di mettersi in contatto con Hamas e creare insieme un progetto riguardo la scultura.

Da parte mia ero andato sia al Ministero dei Beni Culturali che alla Farnesina per capire se era possibile avere il loro appoggio. Mi era stato risposto di si, a patto che della cosa inizialmente non doveva trapelare nulla. Avrei intanto dovuto occuparmene da solo, poi si sarebbe visto.

La mia idea era quella di far politica attraverso la cultura: portare la statua in Italia, farla pulire, stabilizzare, restaurare ed infine sistemarla su di un un’elegante ed idonea base antisismica. A lavoro concluso, l’opera sarebbe stata esposta al Quirinale a beneficio della Presidenza della Repubblica, dello Stato italiano e di un pubblico occidentale e, ovviamente, a tutto vantaggio della stessa causa palestinese.

Un simile evento avrebbe avuto un eco internazionale e acceso i riflettori sulla situazione di Gaza e dei palestinesi. A volte – gli ho detto – dove non può arrivare la politica può farlo la cultura.

Dell’eventualità avevo anche parlato con l’Accademia d’Egitto a Roma, il cui direttore è un’archeologa con un fratello in politica. Sapevo che le autorità egiziane erano in contatto con Hamas e forse qualcosa anche loro avrebbero potuto fare.

Mi ero persino recato all’ambasciata di Israele per vedere se vi fosse la possibilità di un qualche contatto con Hamas. Mi è stato risposto che la cosa non era possibile. Morale della storia, nessuno ha fatto nulla e la situazione è ancora ferma.

A questo punto ho chiesto al ministro se sarebbe stato disposto lui a riprendere in mano la faccenda. Ciò sarebbe stato tanto più utile oggi in quanto, per via di tutti i recenti conflitti nella regione, la causa palestinese è finita in secondo piano al punto che il mondo sembra essersene dimenticato. Resuscitare la cosa potrebbe servire a riaccendere il dibattito sulla loro situazione.

Mi ha risposto che non sarebbe stato facile. Che gli mandassi intanto la mia corrispondenza con la missione diplomatica e la lettera spedita tramite l’ambasciatore all’Autorità Nazionale Palestinese. Gli ho detto che presto lo avrei fatto, sottolineando come le difficoltà attuali non rendono il progetto meno importante, ma viceversa più urgente da tentare. La situazione di stallo non va a beneficio di nessuno e fare un tentativo per infrangerla non potrebbe che avere conseguenze positive.

Siamo poi passati a parlare di eventuali piani per la pace, sottolineando tutte le difficoltà di percorso oggi presenti. Il mio ospite, non senza rammarico, mi confessa che sarà forse la prossima generazione a poter beneficiare di qualche progresso.

Mi ha ricordato di un suo periodo passato in Croazia. Era stato a Dubrovnik e all’università ha potuto vedere delle fotografie dell’edificio com’era dopo la guerra e di molte altre distruzioni. Dopo pochi anni era stato tutto ricostruito e nel 2013 la Croazia è entrata a far parte dell’Unione Europea.

Mi ha fatto capire che se le persone hanno il coraggio di decidere e riescono ad allontanarsi dal loro passato, le cose alla fine si fanno. Ai danni del passato si può sempre trovare una soluzione: questo insegna anche l’Unione Europea e la storia recente di tutti i suoi popoli.

Data l’ora, ho pensato fosse il caso di porre fine alla serata. Prima di salutarci ho voluto chiedergli cosa pensasse degli attuali rapporti con l’Italia.

La risposta è stata che da parte loro non potevano ritenersi soddisfatti. L’impressione è che la nostra politica trovi difficile prendere posizione e che, al contrario del passato, quando a livello internazionale si sono presentati occasioni di dare un voto, la nostra diplomazia ha quasi sempre preferito rifugiarsi nell’astensione. Questo anche riguardo a questioni umanitarie o faccende connesse alla salute e alla distribuzione di medicine.

Abbiamo concluso la serata salutandoci, lui per tornare dalle sue parti e io a casa mia.


 


 

 

 

 

 

PARTITO REPUBBLICANO ITALIANO

Sezione Helvetia

                                                                                                                                                                                            Sede Nazionale : Via Euclide Turba 38 – Roma 00195


 


 

Ambasciata Palestinese

Roma, Martedì 6 Agosto 2019 13:00PM – 14:10PM


 

Sentendomi malgrado i miei recenti acciacchi un po’ meglio ed avendo finalmente qualche tempo a disposizione dopo visite mediche, analisi, impegnative, ospedali ed esami diagnostici vari, ho voluto approfittare della tregua di Agosto per riprendere i contatti con la Missione Diplomatica Palestinese.

 

Chiamata la segreteria chiedo un appuntamento con il mio amico Mustafà. Apprendo con tristezza che non c’è più: è andato in pensione e ha lasciato Roma. Chiedo allora un incontro con il suo successore, del quale domando il nome. Mi viene dato con la richiesta di inviare una email specificando chi fossi ed il motivo della mia visita.

 

Mi secco e rispondo che frequentavo i loro uffici dai giorni della sede di San Giovanni in Laterano, quando avevo l’abitudine di vedermi con Nemer Hammad, purtroppo deceduto da poco più di due anni. Scaduto il suo mandato nel 2005, egli venne trasferito a Ramallah per diventare consigliere politico del presidente dell’Autorità Palestinese.

 

Li avevo poi seguiti nel loro trasloco accanto alla Fao e da quel giorno li ho visitati numerose volte per fare il punto della situazione. Ero anche stato ospite di alcune delle loro ricorrenze nazionali ed ora che finalmente sto meglio e sono in condizioni di rivederli mi si chiede una email di presentazione!

 

Chiedo di poter parlare con il nuovo ministro consigliere il quale, in attesa dell’arrivo del nuovo Ambasciatore, ne fa le veci. La telefonata viene trasferita, gli parlo e presto sistemo tutto. Due giorni dopo riceverò la sua chiamata: l’appuntamento è fissato per le 13:00 di oggi.

 

Riesco poi a farmi dare il numero di Mustafà. Mi metto subito in contatto con lui per fargli un saluto e chiedere sue notizie. Mi fa grandi feste al telefono e mi racconta che sarebbe già dovuto essere stato in pensione da due anni, ma gli era stato chiesto di prolungare la sua permanenza sul lavoro.

 

Ora deve riorganizzarsi la vita e adattarsi alle sue nuove circostanze. Ha un nipotino, al quale spera poter dedicare parte del proprio tempo. Mi chiede del mio stato di salute, di come stia adesso e di cosa sto combinando. Gli rispondo non molto, dato che qui l’interesse per la politica estera è nullo e non si sente che parlare di calcio, migranti e Tav.

 

Mi dichiaro preoccupato per le sorti del Paese e gli confesso che forse servirebbe un Intifada pure qui. Se si continuano a mandare al governo politici di questo calibro il Paese prima o poi finirà col naufragare. Riguardo al suo angolo del mondo, lui pure si dichiara pessimista e confessa di non vedere per nulla bene la situazione.

 

Ci lasciamo non senza commozione e ci ripromettiamo di sentirci ogni tanto per avere notizie l’uno dell’altro. Nel caso gli capitasse di passare per Roma gli chiedo di avvisarmi con un minimo di anticipo, che lo rivedrei con il più grande piacere. In ricordo delle nostre conversazioni e dei caffè presi assieme, lo avrei più che volentieri come ospite a cena.

 

La giornata è luminosa e fastidiosamente calda. L’essere in giacca e cravatta non è di aiuto. Prima di recarmi all’appuntamento dovevo incontrare un amico dalle parti della Garbatella. Terminata la cosa, faccio una deviazione per via Marmorata e mi fermo in un’antica pasticceria accanto al ristorante Perilli. Ordino due vassoietti di paste dalle dimensioni compatibili con il mio girare in motorino.

 

Arrivato alla sede diplomatica saluto i militari di guardia, suono e vengo fatto entrare. Mi si chiede di accomodarmi brevemente nell’ufficio di un segretario. Passati alcuni minuti scende a chiamarmi Elisa, collaboratrice del ministro consigliere. Ci salutiamo calorosamente e le porgo il suo vassoietto con le paste. Le dico trattarsi di un pensiero di buon augurio che possa distrarla nelle ore che passa in ufficio. E’ tutta contenta e mi ringrazia molto.

 

Mi conduce poi dal nuovo ministro che, vedendomi entrare, si alza e mi accoglie con cortesia. Anche a lui porgo il suo vassoietto. Il gesto sembra toccarlo e mi chiede subito se preferisco un tè o un caffè. Vado per il primo, lui invece opta per il caffè.

 

Ci accomodiamo, mi offre un pasticcino, uno lo prende pure lui ed iniziamo l’incontro. Mi chiede qualcosa di me. Gli rispondo che in passato avevo avuto non pochi rapporti con loro ma che a causa di due operazioni alla testa e tutto quello che ne è seguito, non mi ero più fatto vedere per circa due anni.

 

Gli parlo brevemente dei miei trascorsi repubblicani e di come il partito sia stato affossato dai suoi stessi dirigenti. All’ultimo congresso metà delle tessere erano risultate false. Temo non si risolleverà più e la cosa mi rattrista perché scompariranno tante memorie mie e di famiglia, soprattutto quelle dei tempi del vecchio La Malfa e del bravo Michele Cifarelli.

 

Lo informo di alcuni progetti in corso consistenti nella nascita di una nuova forza politica, l’inaugurazione di una nuova fondazione ed un progetto per l’Università di Tor Vergata, le cui carte sono sulla scrivania del premier Conte in attesa della sua firma. Mi chiede di quest’ultimo progetto e per quel poco che ne so cerco di soddisfare la sua curiosità. Mi spiega che sta pensando di interrompere la sua attività diplomatica per tornare agli studi e specializzarsi. Chiede anche quali consigli potrei dargli per una tesi di specializzazione.

 

Rispondo di non conoscerlo a sufficienza per dargli qualche consiglio. Lui comunque è un palestinese e ha una sua battaglia da portare a termine: si concentri dunque sugli studi mediorientali con tutto il vantaggio che ha di conoscere i luoghi, la lingua e la situazione. Pochi sono in Occidente coloro i quali di quell’area qualcosa capiscono. Mi risponde che forse potrebbe dirigere i suoi sforzi proprio nello studiare Gerusalemme e la sua questione.

 

A questo punto mi chiede qualcosa sul cognome Almagià che lo aveva incuriosito. Gli rispondo trattarsi di un nome ebraico di origine spagnola. Con l’unione dei regni di Aragona e di Castiglia si è stati cacciati via, cosa che se vista nel suo insieme è peggio di quello che è accaduto a loro. Cogliendo l’occasione mi parla brevemente di Maimonide, celebre filosofo ebreo vissuto tra l’XI e gli inizi del XII secolo.

 

Nato nella Spagna musulmana, fu costretto a lasciare il paese per finire con l’installarsi in Egitto, a poca distanza del Cairo. Raggiunse la fama come medico di corte del Saladino e le sue due opere più importanti furono la Mishneh Torah, una codificazione della dottrina ebraica, e la Guida dei Perplessi, interpretazione della tradizione ebraica in termini aristotelici.

Conclusa questa prima parte mi domanda che impressione avessi della situazione italiana. Pessima – gli rispondo – anche se continuo a pensare che il governo possa continuare a reggere: i nostri due sono legati da un patto di potere e potranno anche superare nei loro litigi i limiti della decenza, ma alla fine troveranno il modo di continuare assieme il loro percorso.

 

Così come stanno oggi, i 5 Stelle non possono andare da nessuna parte. Al loro interno sta emergendo una fronda, mentre Di Maio, con la sua arietta di sufficienza, va in giro ad offrire tubetti di vasellina.

 

Il PD sta iniziando il suo nuovo corso con Zingaretti, ma la mia impressione è che non vi sia idea della strada da seguire: è privo di progetti e la sua strategia appare indefinita. Al suo interno persistono divisioni e a poco serve avere un Calenda che, soddisfatto di sé, afferma che è tempo di mandare a casa il governo. Non mi sembra sufficiente rivolgersi all’elettore giustificando la richiesta del voto con l’essere contro Salvini.

 

Forza Italia è allo stremo e probabilmente vicina ad esaurire la sua funzione. Ad ogni sondaggio non fa che perdere pezzi, continuando a scontare l’ingombrante presenza di un Berlusconi che rifiuta di farsi seppellire e lasciare a qualcun’ altro il bastone del comando.

 

Fratelli d’Italia è troppo piccolo e provinciale per poter contare più di tanto. Cavalca questo stato di eccitazione permanente, ma quali garanzie può offrire all’estero e soprattutto all’Europa?

 

In quanto alla Lega, Salvini con crescente successo continua a fare il Salvini. Se dovesse durare, questa situazione non può che fargli comodo: non a caso, nel giro di poco più di un anno ha raddoppiato i suoi voti dimezzando quelli dei grillini. Se questo sovranismo urlato ci sta emarginando sempre di più a livello europeo e internazionale, qui sembra funzionare piuttosto bene. Il vice-premier ha imparato che in questo paese di deficienti alzare il tono non può che fargli bene e aumentare i consensi.

 

Degli altri partitini, partitucci e partituncoli è inutile parlare dato che non fanno neppure da comparse. La cosa farà sorridere, ma la coalizione di governo è riuscita a risolvere il problema di un’opposizione litigando senza fine al suo interno.

 

Chiedo adesso qualcosa a lui. Mi racconta brevemente delle sue passate esperienze e del periodo trascorso tra Washington ed Ottawa, capitale del Canada. Lo interrogo sul cosiddetto piano Kushner. Mi dice non credervi per nulla e che loro non lo accettano. La cosa finisce più col ricordare la tesina di uno studente che un serio progetto di politica estera capace di incidere sul travagliato panorama della regione.

 

Riguardo l’agire di Trump, mi spiega che oltre ad una componente nazionalista dettata in gran parte da necessità elettorali, vi si può scorgere anche una dimensione affaristica della quale però è difficile sondare la profondità. L’uomo è poi del tutto imprevedibile, se non a volte incoerente. Per il presidente americano le questioni interne prevalgano sull’interesse per le faccende internazionali. Conclude spiegandomi come il consenso della sua platea elettorale gli stia più a cuore del futuro dei palestinesi.

 

Prosegue facendomi notare come i suoi rapporti con il mondo arabo, marcati da un’evidente simpatia per la monarchia saudita e gli Emirati del Golfo, al posto di un processo politico indicano soprattutto una dimensione affaristica. Del Medio Oriente di per sé a Trump sembra importare poco: dà l’impressione di avere una sua agenda tutta personale che al mio ospite non appare del tutto chiara. Da qualche parte però un suo ABC lo deve avere. Al centro sembrano esservi gli affari, ma poi – e di questo bisogna dargliene atto – è capace di un sorprendente grado di flessibilità.

 

Il ministro passa poi ad illustrarmi come numerose sue conoscenze al Dipartimento di Stato abbiano lasciato il loro posto. Il risultato è che non pochi dossier riguardo i problemi esteri sono stati messi da parte o trascurati.

 

Con il peggioramento della situazione in Medio Oriente sarebbe tempo di decidere su come porre termine ai conflitti che continuano ad insanguinare l’area. Gli Stati Uniti avrebbero il potere di farlo, ma sembrano poco interessati a dar la precedenza a questo tipo di faccende. Per quel che lo riguarda, a lasciarlo perplesso è l’intesa profonda che Washington ha sviluppato con l’Arabia Saudita: in più di un verso la trova per gli Stati Uniti non priva di contraddizioni.

 

Tra il presidente americano ed il giovane principe ereditario Mohammed bin Salman gli affari certamente si fanno. In tutto ciò però dov’è la preoccupazione per la causa palestinese? Lo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme ha ferito il mio ospite e non gli lascia spazio per molto ottimismo.

 

Continuando il suo discorso, sottolinea l’imprevedibilità di Trump e la sua profonda ignoranza riguardo la storia e le faccende del mondo. Ripetendosi, ribadisce che l’uomo in ogni caso non manca di flessibilità e che non gli si può certo negare un interesse sia per gli affari che per le lusinghe.

 

In questo, bravi i sauditi e scaltro il modo regale con il quale lo hanno ricevuto. Non meno abile il premier israeliano Netanyahu, che lo corteggia a dovere e mostra verso di lui sempre grande considerazione. Il presidente americano si sta ora muovendo in un clima di campagna elettorale e sarà interessante vedere in che modo affronterà quella spina nel fianco che è per lui l’Iran e che tipo di intesa riuscirà a trovare con Putin.

 

Mentre si era nel mezzo di questa passeggiata internazionale, ecco aprirsi la porta ed affacciarsi un suo assistente per avvisarlo che è giunto il momento dell’appuntamento successivo. La persona è già arrivata e attende di essere ricevuta.

 

Il ministro lo prega di scusarsi con l’ospite e chiedergli di pazientare altri cinque minuti. Scambiamo alcune battute e prima di congedarmi gli dico che come lui ho avuto una lunga esperienza americana: menziono i miei studi a Princeton e alla Columbia University, il mio successivo lavoro a Washington presso l’ufficio del senatore Claiborne Pell, all’epoca presidente del Comitato Affari Esteri del Senato, le mie recenti collaborazioni riguardanti l’Iran con il National Committee on American Foreign Policy e l’invito che mi era stato mandato per far parte della American Foreign Politics Association.

 

Gli si sono illuminati gli occhi e invece dei previsti cinque minuti me ne ha dati quindici. Ecco rientrare l’assistente e benché parlassero in arabo ho afferrato che la persona che lo stava aspettando di sotto era qualcuno di importante. Il mio ospite si è alzato, mi ha ringraziato per la visita e ha chiesto di chiamarlo il prima possibile che avrebbe piacere ad approfondire i temi discussi e sapere di più su di me e i miei trascorsi americani.

 

Gli ho risposto che mi sarei fatto presto vivo e che gli ero grato per l’incontro. Al momento dei saluti mi ha fatto sapere che, nel caso avessi voluto, era anche disponibile ad un incontro per cena fuori sede. La cosa ci avrebbe permesso di discutere in pace e più a lungo. L’ho lasciato dicendogli che avrei approfittato di questa sua disponibilità e che speravo si sarebbe insieme riusciti a far qualcosa di positivo

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Uscito dalla sede diplomatica, ho recuperato il motorino ed in una Roma mezza vuota di romani, ma piena di immondizia sono rientrato da me.


 


 

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