Lettere Persiane

Si tratta di una corrispondenza con un alto esponente della diplomazia iraniana che si protrae nel tempo e abbraccia temi essenziali delle vicende politiche dei nostri due Paesi. 

Roma, 25 Febbraio 2024

 

 

 

Caro Ministro,

 

Le mie abituali scuse per l’imperdonabile ritardo nel risponderle, come sempre dovuto alle pessime condizioni nelle quali mi trovo e dalle incessanti vessazioni che continuo a subire. Prima o poi verrà il momento della resa dei conti.

 

Ho finalmente concluso le mie analisi cliniche, salvo un’ultima che dovrò prenotare perché vi sono dei valori alla prostata che il mio medico ha consigliato di monitorare. Spero la vita sia più generosa con lei. Resto sempre curioso di sapere cosa combina nella sua nuova patria e come la giudica, specialmente adesso in piena stagione di primarie.

 

Qui siamo alla solita solfa, esasperata ulteriormente dall’avvicinarsi delle elezioni europee. Molti temono un’avanzata delle destre. Personalmente ne sono meno convinto e credo che gli equilibri attuali finiranno col reggere perché ad essere in ballo è l’idea stessa del futuro dell’Europa. Il partito della Meloni aumenterà i suoi parlamentari, la Lega invece ne perderà qualcuno.

 

A contare non dovrebbe esser tanto l’ascesa dei partiti sovranisti, quanto i motivi che portano a votarli. Si respira, specialmente tra le classi medie e medio-basse, un clima di preoccupazione ed un bisogno di protezione sociale da spiegarsi con la perdita di molti punti di riferimento passati. A complicare questi sentimenti, una situazione internazionale tesa e piena di incognite di fronte alla quale l’Europa continua a mostrarsi debole per mancanza di una coscienza condivisa che le impedisce di emergere sulla scena globale.

 

Spero che l’aggravarsi delle tensioni finisca col persuadere i modestissimi governanti dell’Unione che il punto di arrivo di ogni processo di unificazione non può essere che una comune politica estera e di difesa. Quest’incapacità rende il continente meno sicuro, se non in posizione di estrema debolezza, tanto che senza gli Stati Uniti non si è in grado di far praticamente nulla. A Bruxelles è un continuo riunirsi e parlare, al decidere però di concreto vi è ben poco. O domani si vedrà grande oppure si sarà perduti in quanto condannati a far da spettatori e non aver nulla da dire di fronte alle grandi sfide che il mondo dovrà affrontare.

 

La situazione attuale: Vi è poco di cui rallegrarsi. Il Censis descrive un paese in declino nel quale si agita una popolazione di ciechi e di sonnambuli. A sottolinearlo, il fatto che in termini demografici sono state perdute in dieci anni tre milioni di persone e che solo il 17,5% della popolazione è costituita da giovani. Assente un progetto collettivo e per rimbambimento o paura del futuro nessuno si ribella. Malgrado gli squilli di tromba e gli annunci di grandezza della politica, le cose non vanno bene: il Paese trascina i piedi e legge poco, salvo far la fila per acquistare il libro del generale Vannacci che, pur poverissimo in termini di pensiero, ha già venduto oltre 700mila copie. Inutile dire che il personaggio è piuttosto discusso e rischia presto di avere problemi legali. Intanto però la Lega lo vuole candidare per le Europee.

 

A sottolineare questo clima di sfiducia, scetticismo e disaffezione, è giunta la notizia del risultato negativo di Roma per l’assegnazione dell’Expo vinta da Riyadh con 119 voti. Seconda la città di Busan in Corea del Sud con 29 voti e Roma, ultima, con 17. Quanto alla politica, malgrado le crescenti risse, la situazione appare da qualche tempo cristallizzata senza variazioni di nota nei sondaggi. Resta adesso da attendere gli esiti delle regionali in Sardegna ed indipendentemente dai risultati vedere quanto saranno tutti capaci di ricamarci sopra.

 

Qualunque il risultato, continuerà a non esservi chiarezza e questo resterà un paese che non va da nessuna parte. I motivi, come lei per avermi letto da tempo saprà bene, restano gli stessi: inadeguatezza della classe politica, mancanza di visione, piccolo cabotaggio, tendenza alla frammentazione ed una legge elettorale, di sicuro la peggiore d’Europa, che per convenienza della politica abbraccia il peggio del maggioritario e del proporzionale. Questo meccanismo rende impossibile un corretto funzionamento della democrazia e pone il Parlamento sotto il ricatto delle segreterie dei partiti, tagliando il nesso tra candidato e territorio. In poche parole, nessuna chiarezza e sempre meno spazio per menti razionali.

 

Ad esasperare le contraddizioni, l’ampio contrasto tra la retorica delle campagne elettorali e la realtà del paese. Ecco spiegato il crescente astensionismo da parte degli elettori che difficilmente riescono ad identificarsi nei giochi della politica. In breve, il paese resta in fase di stallo e come al solito si accontenta di tirare a campare.

 

Sui partiti: I dati statistici restano più o meno invariati ed approssimativamente sono i seguenti: FdI 27,5%, PD 20%, M5S 16%, Lega 8%, FI 7,5%, Azione 4%, Verdi e Sinistra 4%, Italia Viva 3%. In questo contesto è bene ricordare che all’interno delle coalizioni i numeri restano più o meno gli stessi, solo che vengono redistribuiti tra le varie parti a secondo delle circostanze.

 

La Meloni continua ad essere sotto il tiro di Salvini che prima della fine dell’anno scorso aveva radunato a Firenze gli esponenti delle destre sovraniste europee. Marine Le Pen ed il leader dell’AfD tedesca erano entrambi presenti in video. Se si considera che questo è stato uno dei paesi fondatori dell’Europa, l’associazione è aberrante. Malgrado gli sforzi di Salvini, che non perde l’occasione di sfidare la Meloni, a logorarsi è anche lui. La Lega perde terreno anche perché non è più quella di Bossi, Miglio e Maroni: è uno strumento di potere che spera acquisirne di più, anche a costo di sfasciare il paese. Il progetto di Salvini era di fare della Lega un partito nazionale. Ha fallito nell’intento e non credo gli sarà facile riprendersi.

 

Il progetto del Ponte sullo stretto di Messina, da lui tanto sbandierato, rientrava nelle visioni di una Lega nazionale, oggi tramontata. Non andrà perciò da nessuna parte ma resta un simbolo della nostra politica: se ne parla da più di trent’anni ma poi non se ne fa nulla.

 

Alla festa Atreju organizzata da FdI lo slogan è stato “Bentornato orgoglio Italiano”. Quest’evento, che si è svolto ai piedi di Castel Sant’Angelo a Roma, non ha visto la partecipazione della Schlein, contraria a dividere il palco con i nostalgici del Fascismo e del Franchismo. La Meloni ha attaccato tutti mentre Salvini ha dichiarato essere a suo agio come numero due della coalizione, aggiungendo che con una sinistra come questa il centro destra è condannato a governare per altri vent’anni. Diventerà quest’ultimo un problema per il premier? Difficile dirlo, perché i voti che porta sono indispensabili al governo.

 

Malgrado la sua popolarità, non penso la Meloni possa andare oltre quel 30% raggiunto in passato: benché le sia riuscito ad incanalare l’estrema destra in binari costituzionali, agli occhi dell’opinione pubblica non è riuscita a sfondare. Intorno a lei batte allegramente le ali chi parla di sostituzione etnica, di “ricchioni che cuociono in otto minuti”, di armi da portare a sedici anni. Vi è anche chi appende cartucce all’albero di Natale ed asserisce che i poveri mangiano meglio dei ricchi. Li farei pranzare dove sto io! Per lei l’imperativo resta quello di non avere nemici a destra.

 

Come lo si vede con la Lega, le svolte a destra non pagano: sarà dunque indispensabile alla premier proseguire nella trasformazione della sua linea politica. Ad oggi i sondaggi le danno una fiducia che a livello nazionale si aggira intorno al 40%. Tajani, adesso alla testa di Forza Italia, ha avuto il buonsenso di orientarla in direzione del centro consentendo un riequilibrio della coalizione.

 

Tornando alla premier, in economia cerca di rassicurare i poteri forti mentre in politica estera ha capito che schierarsi con l’Occidente, soprattutto con Washington, è una polizza sul futuro. Abile nello sfruttare le contraddizioni degli avversari, la Meloni continua a demolirli. Credo si possa dire che riguardo Fratelli d’Italia, l’elettore, più che per un partito o un programma, i suoi voti li dia alla Meloni stessa. La sua vera forza continua ad essere la mancanza di alternativa.

 

Quanto a Forza Italia, ora che Berlusconi non c’è più, credo sia destinata ad ingrigirsi e contare meno. Tajani non ha la stoffa del capo e manca di una visione complessiva. Ciò che costituisce la forza di questo centrodestra è il suo maggiore pragmatismo che lo fa restare unito malgrado le rivalità e le differenze al suo interno: sulle questioni di potere la destra è infatti sempre molto abile nel ricompattarsi.

 

In seno al centro-sinistra un susseguirsi di liti, soprattutto fra Conte e la Schlein, il cui problema è di non andare a genio a quest’ultimo e non riuscire a capitalizzare il suo vantaggio numerico sui 5 Stelle. Alla testa del PD, Elly Schlein ha dalla sua il fatto di rappresentare un elemento di novità, resta da vedere se le sarà sufficiente. Iscrittasi al PD mentre era in corsa per la segreteria, è stata votata al 40% da elettori non appartenenti al partito. Anche se per lei il problema è Conte, lo scontro vero sarà tra PD e FdI, ovvero tra lei e la premier. Su di lei si è anche aperto un dibattito perché aveva affermato di volersi candidare come capolista alle Europee. Le critiche più pungenti le sono giunte dalle donne del suo partito.

 

Di recente il Partito Democratico ha organizzato un seminario a Gubbio in una stazione turistica di gran lusso. Non esattamente la cosa migliore da fare per un partito che vuol dirsi di sinistra. Sarebbe stato meglio se tutti questi signori si fossero riuniti dove sono rinchiuso io, avessero condiviso la nostra tavola e discusso forse con persone che una loro vita, tra alti e bassi, l’hanno vissuta.

 

Con la recente aggiunta di Rizzo e Santoro, la sinistra si trova ora divisa in sei.

 

Passando ai 5 Stelle, per quanto a me Conte piaccia poco, quest’ultimo regge bene e guadagna addirittura qualcosa. Appena gli è possibile, si attiva per contestare la Schlein al punto di mostrarsi tanto sovranista e vicino alla Russia di Putin quanto Salvini: con un piede qua e l’altro là, cerca di stare lì un po’ per tutti. Se il distacco tra la Meloni e Salvini è ampio, molto minore è quello tra la Schlein e Conte, cosa che lo induce a pensare che alla testa dell’alternativa possa esservi lui.

 

L’uomo si distingue per ambiguità, tanto che sui temi che deve affrontare ha in passato sostenuto il contrario. In questo rappresenta il peggio dell’Italia: trasformista, vile, disposta a tutto e priva di qualsiasi ideale che non sia il proprio vantaggio: come si diceva un tempo, Francia o Spagna purché se magna. Se il Movimento 5 Stelle degli inizi non si sarebbe alleato con nessuno, lui a turno lo ha fatto con tutti. Non è allineato al PD e dato che nessuno nel centrosinistra è autosufficiente senza di lui, sta rendendo impossibile la vita alla Schlein.

 

Vuole imporre la sua linea e lascia intendere di non voler avere a che fare con Renzi, Calenda e Più Europa. Per ragioni tattiche sta indossando i panni del populista di sinistra e tiene in ostaggio il Partito Democratico. Sembra ancora persuaso di poter tornare un giorno a Palazzo Chigi. Creato dal PD come punto di riferimento, ha cambiato la natura dei 5 Stelle ed è distante dalla Schlein sui temi più importanti, tra i quali il conflitto in Ucraina. Oggi è il partito di Conte e non vi è più nulla che lo colleghi alle sue origini dei tempi di Grillo e Casaleggio. Visto l’andazzo, ho forti dubbi che possa andare sensibilmente oltre le percentuali odierne. Se Salvini è la croce della Meloni, lui lo è per la Schlein.

 

Calenda, sempre pieno di se, spera un giorno di poter seguire il sentiero della Meloni e passare in pochi anni dal 4 al 30%. Il suo solo vantaggio è che al contrario di Renzi crede in ciò che dice. Continua ad agitarsi riuscendo ad attirare tra le file dei suoi deputati qualche nuovo transfuga. Quanto a Renzi, ha probabilmente esaurito la sua corsa. Con oltre tre milioni di euro l’anno di introiti è di gran lunga il politico più ricco d’Italia. Così com’è, questo centro non convince e non riesce a mostrarsi credibile agli occhi dell’elettorato. I due continuano a distinguersi per un ego smisurato e credo che alla fine non intendano stare con nessuno.

 

Alcune considerazioni tra ieri e oggi: Generalmente parlando, il 2023 può definirsi per il Paese un anno stabile e privo di importanti sviluppi. Resta vana la speranza che qualcosa cambi: il sistema è drogato dalla spesa pubblica e malgrado continue promesse del contrario, negli ultimi vent’anni quella corrente è raddoppiata. Ciò si spiega col fatto che a forza di mancette il paese è stato narcotizzato e, di conseguenza, non esprime mai una vera contestazione di fondo o qualche seria protesta civile.

 

Quest’anno, caratterizzato da elezioni in tutto il mondo che coinvolgono metà della popolazione globale, è iniziato qui con la telenovela del sottosegretario alla Giustizia Del Mastro. Tra gli invitati presenti al suo cenone di Capodanno, il deputato di FdI Pozzolo, il quale si era portato dietro una pistola che in circostanze poco chiare ha poi ferito il figlio di un agente della scorta di Del Mastro.

 

E’ poi saltato fuori uno scandalo riguardante Salvini ed il figlio di Verdini, fratello della sua fidanzata, inerente alcuni appalti dell’Anas. Al telefono quest’ultimo si vantava del suo accesso a chi conta. In un Paese malato di cronaca, come se ciò non bastasse si è poi affogati nel chiacchiericcio sulla storia delle truffe sul pandoro della Ferragni e della fine del suo matrimonio con il cantante Fedez.

 

Per finire, si è rimasti travolti dallo scandalo riguardo l’inossidabile Festival di Sanremo, dove il povero rapper Ghali ha ha avuto l’imprudenza di pronunciare la parola “genocidio” al termine della sua esibizione. Il giorno successivo il cantante Dargen D’Amico, la cui canzone parlava di migranti, è stato bloccato dalla conduttrice Mara Venier mentre cercava di spiegare l’argomento. Doveva vedere il terrore negli occhi di quest’ultima, preoccupatissima per l’eventuale reazione dei vertici Rai. E’ robetta, ma le spiega qualcosa di quest’Italia piccola, tremebonda e conformista.

 

Mentre per settimane non si fa che parlare d’altro, giunge la notizia che Palermo è la città europea dove si vive peggio. Intanto è al via la presidenza italiana del G7. Qualunque cosa porterà quest’anno, resti pur certo che la scena verrà illuminata dai balletti di una politica vuota, priva di identità, ridotta ad una guerra tra bande e perfetta espressione di un Paese cinico, corrotto, incapace di sdegno, nel quale contano prevalentemente i soldi ed il legame con la politica. Un Paese ingolfato, in fondo alla classifica europea per investimenti esteri, la cui società resta un’impalcatura soffocante e la cui cultura è pregiudiziale nei confronti degli imprenditori.

 

La politica estera: Il mese di Gennaio si è concluso con la Conferenza Italia-Africa che aveva sullo sfondo soprattutto il tema dell’immigrazione e l’urgenza di un piano per l’energia. Vi è stata una cena al Quirinale con brindisi del Presidente della Repubblica in onore dei Capi di Stato e di Governo e delle altre personalità partecipanti al vertice. Tra i vari temi affrontati, per attirare le simpatie degli ospiti si è anche parlato di superare le ideologie imperialistiche e si è offerto un contributo allo sviluppo mettendo a disposizione 5,5 miliardi di euro. Nel 2022, con il progetto Global Gateway, Bruxelles ne aveva stanziati 150.

 

Il progetto è troppo vasto ed impegnativo per essere affrontato da un singolo Paese. Alla meglio il contributo italiano potrà essere complementare a quello europeo. Per via dell’impegno pluriennale dell’Eni e delle attività di un certo numero di imprese, l’Italia in Africa non è piazzata male, anche se il suo ruolo non è minimamente paragonabile a quello della Cina, della Russia o della Turchia. Per il premier Meloni si tratta di aprire una nuova pagina nei rapporti con il continente africano.

 

La mia impressione è che più che dare un futuro agli africani, a Palazzo Chigi ci si voglia mostrare in grado di combattere il traffico dei migranti. Il premier è stato infatti eletto con la promessa di porre un freno all’immigrazione clandestina, aumentata invece del 50% in rapporto all’anno precedente. Se per Roma l’Africa è importante, molto meno lo è per quest’ultima l’Italia.

 

A lasciare qualche dubbio i 100 milioni di euro dati alla Tunisia che non hanno ottenuto nessun risultato. Per comprendere l’entità della sfida vale la pena ricordare che il continente africano è grande tre volte l’intera Europa e che alla fine del secolo sarà il più popoloso del mondo. Senza celare il proprio scetticismo, il presidente dell’Unione Africana ha comprensibilmente ammonito sulla necessità di passare dalle parole ai fatti. Queste perplessità sono ampiamente comprensibili, dato l’immenso debito pubblico dell’Italia. Come farà ad onorare quest’impegno?

 

Più ottimista Calenda, che ha affermato che l’Italia sfonda sul serio. Resta il cosiddetto piano Mattei, che malgrado le dichiarazioni resta tutt’ora una scatola vuota e poco servirà a tenere in piedi la finzione che potrà arginare il traffico dei migranti. C’è poi da chiedersi come si possa pensare di andare a risolvere i problemi dell’Africa quando non si riesce ad affrontare quelli del nostro Meridione. Come conciliare tutto ciò, quando il governo si è assunto una pletora di provvedimenti per finanziare giovani, poveri, agricoltori, allevatori e così via quando il nuovo Patto di Stabilità con l’Europa non lascia alla fine molto spazio alla cosiddetta “finanza creativa”? Come onorare poi questi impegni in favore dell’Africa quando neppure quei soldi stanziati per il Sud arrivano a destinazione?

 

Si può rapidamente menzionare una visita del premier Meloni in Turchia per incontrare il presidente Erdogan. Si è discusso soprattutto di migranti, commercio e Medio Oriente. Vale la pena di ricordare che dopo la Germania, l’Italia è il secondo partner commerciale di Ankara. Non c’è stata conferenza stampa.

 

A proposito di alcuni vecchi dibattiti: Il MES continua a non essere ratificato. Il Governo ha deciso di rimettersi al voto del Parlamento che lo ha bocciato. Su questo si è spaccata la maggioranza e lo stesso ha fatto l’opposizione: data la natura politica del voto, se ne riparlerà dopo le europee. Questo strumento è stato adottato dagli altri 26 paesi dell’UE e serve a venire in soccorso ad un paese in difficoltà con conti pubblici ed a quelle banche in crisi coi propri conti. Che figura ci facciamo? Il premier ha preferito la via più comoda non avendo trovato il coraggio di spiegare la situazione: ha voluto arginare la concorrenza della Lega sperando di riuscire ad attirare quegli elettori che vagano incerti tra i partiti di centro destra.

 

Quanto al PNRR, il mio timore è che l’occasione che ci sta offrendo l’Europa rischi di finire spesa tutta in rivoli segnati dal più becero compromesso al ribasso: si continua a scontare un’assenza dello Stato e di prospettive a lungo termine. Le energie del governo si stemperano nel cercare aggiustamenti, col risultato che non si riesce mai ad accordarsi per realizzare un progetto. Se non investiti bene, i soldi del PNRR saranno destinati ad aumentare il debito nei confronti dell’Europa. Su questa faccenda, come su tante altre, una politica che si reputi degna di questo nome non può essere orientata quotidianamente dai sondaggi.

 

Per esigenza di accalappiarsi i voti non viene affrontata l’evasione fiscale che si aggira intorno ai 90 miliardi l’anno, il più alto tasso in Europa. A peggiorare la situazione, un recente studio della Ciga sottolinea come ogni anno vengano persi circa 180 miliardi di euro per il cattivo funzionamento della Pubblica Amministrazione. Senza pretendere miracoli, se di questi 270 miliardi se ne potessero recuperare almeno una sessantina, l’equivalente di due finanziarie, una metà potrebbe essere utilizzata per rimborsare il debito e l’altra per gli investimenti.

 

Negli ultimi trent’anni gli stipendi sono aumentati del 1% e, per rapporto ai paesi dell’OCSE, il differenziale di produttività è del -25%. In Germania invece gli stipendi nel tempo sono aumentati del 34%. Non cresce la produttività, aumenta la povertà ed il tasso di occupazione è il più basso d’Europa. Nel 1992 il reddito medio di un americano era superiore del 9% a quello di un italiano, oggi è più del doppio. Nel paese continuano a crescere le difficoltà economiche, tanto che nello scorso anno vi son stati circa 350 mila sfratti in più per morosità che nell’anno precedente. Senza dilungarmi e da come vedo le cose, per molti stanno diminuendo le possibilità di avere una vita decente: si lavora infatti sempre meno e di un lavoro povero, perché la gran parte dei contratti sono a breve termine e spesso per vivere non basta avere una sola occupazione.

 

Prosegue il fenomeno di invecchiamento complessivo in un contesto nel quale permangono le più alte diseguaglianze in Europa con il 5% delle famiglie, più o meno 350 mila persone, che possiede intorno al 50% della ricchezza nazionale. Queste condizioni non possono non riflettersi anche a livello intergenerazionale. Non si tratta solo di una situazione episodica e per via di una classe politica deresponsabilizzata ed incapace di impegnarsi in una strategia di lungo periodo, più che in un paese sembra di vivere in un condominio con risultati sempre al ribasso.

 

Alcune considerazioni finali: Questo è un Paese nel quale non si vuole affrontare la realtà e non esiste più rapporto tra elettore ed eletto. Per acquisire potere i partiti li hanno scollati l’uno dall’altro e l’aver eliminato le preferenze ha distrutto questo rapporto. Credo si possa dire che gran parte del disordine regnante in Italia derivi dalle leggi elettorali, fatte su misura per una politica che non vuol perdere e che sono, tra l’altro, anche incostituzionali. Poco da stupirsi che questo sistema politico allontani tutti: non c’è volontà di cambiare e per affrontare i regolamenti imposti dalla legge elettorale si va avanti a colpi di finte coalizioni.

 

La competizione tra la Meloni e Salvini avrà termine con le Europee di Giugno, che per il proporzionale determineranno il peso effettivo dei partiti. Lei intanto va alla ricerca di quei numeri necessari per metterlo in ombra. Non si compromette ed ammicca alla Von der Leyen per avere qualche respiro. Lavora per far entrare Orban e Zemmour tra i Conservatori. Sarebbe utile aprire una riflessione sui limiti della leadership di Meloni, dato che presto con l’Europa vi saranno appuntamenti molto difficili da affrontare.

 

Benché il PD mostri una tendenza a bruciare i suoi segretari, gli si deve dar atto di mantenere una solida struttura interna. Non mostra purtroppo la stessa abilità nell’elaborare una linea politica convincente e nel comunicare, continuando ad essere una fusione a freddo tra due famiglie politiche, male attrezzate ad affrontare il nuovo e pensare insieme ad una piattaforma programmatica capace di persuadere. E’ in forte competizione col Movimento 5 Stelle e non vedo come sia possibile alla Schlein accordarsi con Conte: difficile infatti far credere che vi sia tra i due un progetto comune ed il centrosinistra non dà un’immagine di unità. Conte, più che di sinistra, può definirsi un populista. Per la Schlein sarebbe più utile competere con la Meloni e cercare di prendere voti ai 5 Stelle.

 

Se a progredire dovessero essere questi ultimi, per il segretario del Partito Democratico sarebbe la fine. Ho sentito dire che all’interno del partito vi è già chi lavora per sostituirla. Se la Schlein vuole prevalere su Conte deve rafforzare il suo partito pescando soprattutto nel bacino dei moderati, che non riuscirà però a convincere se continua a cercare legami più solidi col leader del M5S.

 

Intanto accomodamenti, mezze misure, silenzi, connubi furbeschi, accuse fittizie e riserve mentali che minano il carattere morale della nazione ed abbassano il livello della vita politica, riducendolo ad una serie di trucchi per sgambettare l’avversario. La politica insegue il quotidiano con la logica degli annunci e della propaganda, ove nessuno è portatore di un progetto.

 

L’occupazione del potere resta una costante e non passa giorno che non saltino agli occhi problemi di conflitto di interesse, sul quale non è mai stata fatta una legge. Nessun progetto di solidarietà e rigenerazione del paese, nessuno che risponda mai di nulla e renda conto di ciò che è stato fatto. Non è più possibile presentarsi davanti ai cittadini con campagne elettorali irreali e promesse di miracoli istantanei, affermando a turno che bisogna fermare la destra o la sinistra.

 

In assenza di un’idea di sviluppo e dei passaggi necessari per ottenerlo, servirà a breve un aggiustamento di bilancio di una ventina di miliardi. Si rischia pure di perdere l’occasione offerta dal PNRR e se ciò dovesse accadere, sarebbe la fine delle illusioni.

 

Dopo trent’anni di declino della politica, lo stato delle istituzioni non è buono: leggi cattive hanno esautorato il Parlamento, disarticolato il sistema politico ed impedito di fare riforme. Poco da stupirsi se la situazione resta incerta, cresce il malessere e si indebolisce la democrazia. Non sorprende dunque il crescente astensionismo: a provocarlo è la politica stessa, che continua a non decidere, favorire gli amici, i potenti e chi ha più risorse.

 

Presentata all’elettore come un’elargizione priva di costi, la spesa pubblica ha ripreso a salire allegramente dopo una breve interruzione sotto Monti. Per pareggiare il debito servirà aumentare le tasse, inganno come al solito pagato dai più deboli e dai giovani. Il solito modo di tacere la verità, fare politica e finire con l’incrementare il populismo. Questa è cosa da prendere sul serio, dato che prima o poi, inevitabilmente, i nodi verranno al pettine. I debiti prima o poi vanno pagati e intanto ci sono degli interessi da pagare, il che vuol dire meno investimenti per la sanità, la scuola, l’ambiente e la difesa. In breve, meno crescita: che Paese si vuole?

 

A volte – mi creda – ho una gran nostalgia delle “tre gloriose” e della ghigliottina. Questa forse neppure serve, perché in tanti ci si domanda se questa fauna una testa addirittura ce l’abbia: dove sono infatti le idee, i progetti, i programmi ed anche la bellezza della politica? Quest’ultima dovrebbe essere lo strumento di risoluzione dei problemi e di composizione delle differenze. Di tutto ciò non si vede nulla e poco da stupirsi se gi italiani partecipano sempre meno al processo politico, disertano le urne ed un giovane su due non vota.

 

Con questo la lascio, ma le sarei grato se potesse darmi qualche dettagliata informazione sulle recenti elezioni in Iran, i suoi sviluppi interni e come si porrà adesso di fronte a ciò che sta avvenendo tra Hamas, il Libano e gli Houthi dello Yemen. Mi racconti anche qualcosa di se stesso negli Stati Uniti.

 

Nella speranza di sentirla presto, le invio i miei più cordiali saluti.

 

EA

 

 

 

 

 

 

 

 

10 Marzo 2024

 

 

Caro Dott. Almagià,

 

Le auguro una buona giornata e, mi creda, sono molto contento di aver ricevuto la sua mail. Ero infatti preoccupato per lei e le notizie che continua a mandarmi non mi tranquillizzano di certo.

 

Come le avevo accennato in precedenza, sto collaborando con un istituto di studi mediorientali e col Dipartimento di Filosofia dell’Università di Boston. E’ anche questo un modo per andare avanti.

 

Riguardo il resto del mondo, sono anche io molto dispiaciuto per la debolezza dell’Europa e anche degli Stati Uniti nei confronti del crescente potere cinese. Non sembrano cavarsela meglio anche con la Russia, l’India e persino l’Iran. L’Occidente ha difficoltà a controllare un piccolo gruppo di Houthi che continuano a colpire la navigazione nel Mar Rosso.

 

L’Iran è come se adesso avesse circondato Israele e intendesse controllare la regione. Come lei saprà, la scorsa settimana si sono tenute nel mio paese le elezioni sia per il Parlamento che per il Consiglio dei Guardiani. La partecipazione popolare non è mai stata così bassa e non so se fidarmi dei numeri ufficiali. Si arriverà ora ad un secondo turno.

 

La parte più importante della quale ha anche parlato ieri Khamenei riguarda la sua successione. Lui vorrebbe che la prossima Guida Suprema sia il figlio, ma vi sono alcuni comandanti dei Guardiani della Rivoluzione che non sono certo d’accordo su questa soluzione. L’elezione o meno di suo figlio dipenderà a questo punto da quale fazione all’interno dei Guardiani riuscirà a prevalere. Questa forza infatti non può dirsi coesa su un certo numero di punti da affrontare.

 

Per quanto concerne la regione, lei sa che il regime di Tehran controlla il Medio Oriente tramite suoi gruppi che agiscono per procura. Ha inoltre predisposto uno scudo in caso di attacco da parte degli Stati Uniti formato dai paesi del Glfo Persico che sono contrari ad un attacco contro l’Iran.

 

Penso che per il momento il regime possa vivere tranquillo in quanto sano e salvo e senza alcun pericolo che lo minacci. Al suo interno, tuttavia, la situazione resta sempre tesa: lo scontento è soffocato da una politica di forte repressione e dalla volontà di tenere tutto sotto controllo.

 

Passando ad Israele, è mia opinione che prima o poi si arriverà ad un negoziato con Hamas e che quest’ultima finirà col restare a Gaza. Come lei sa però, il Medio Oriente è sempre un grande punto interrogativo. Sulla sua scia, anche io penso vi sia un difetto di diplomazia.

 

Nella speranza di aver finalmente qualche buona notizia riguardo le sue faccende, le invio i miei migliori saluti ed auguri.

 

A presto,

 

MO

 

 

2024

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2020

Roma, 12.08.2020 - Lettera di Risposta a[...]
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Roma, 09.30.2020 - Lettera di Risposta a[...]
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Roma, 09.06.2020 - Lettera di Risposta a[...]
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Roma, 07.01.2020 - Lettera di Risposta a[...]
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Roma, 06.16.2020 - Lettera di Risposta a[...]
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Roma 06.30.2020 - Lettera a Da..doc
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2020 - 06.03.20 - Lettera a Da..doc
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Roma, 01.27.2020 - Lettera di Risposta a[...]
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Tehran, 12.16.2020 - Risposta del Minist[...]
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2020 - 06-04.20 - Lettera di Da..doc
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2019

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Roma, 05.02.2019 - Lettera di Risposta a[...]
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La politica interna dell'Iran
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