Alcune considerazioni sull’offensiva di Kursk ed il viaggio di Zelensky a New York

 

Premessa: Il fallimento della cosiddetta “Operazione Speciale” voluta dal presidente russo Putin non lo aveva di certo aiutato. Le gravi perdite in uomini, mezzi e prestigio sono state il segnale per unire nuovamente americani ed europei allo scopo di indebolirlo e forse anche ricacciarlo indietro. Si trattava di persuaderlo che non avrebbe potuto vincere la guerra e che questa per lui si sarebbe trasformata in una continua irritazione. Poteva certo far danni, ma non a sufficienza da costringere Kiev alla resa.

 

Secondo fonti governative ucraine, Mosca dall’inizio del conflitto tra morti e feriti avrebbe perduto intorno ai 600 mila uomini, prezzo non indifferente per avere ottenuto risultati tutto sommato piuttosto modesti. Putin correva il rischio di vedere compromessa la sua immagine di infallibilità e non è da escludere che le Forze armate potrebbero nuovamente diventare per lui un pericolo, come già accaduto con la ribellione di Prighozin.

 

Trovandosi di fronte ad una situazione di stallo, per indebolire l’Ucraina il Cremlino aveva ordinato una campagna di bombardamenti sistematici contro le sue infrastrutture energetiche al fine di farle passare un inverno difficile e molto duro. L’idea era quella di condurre una guerra volta a distruggere le centrali elettriche e le reti di distribuzione delle fonti di energia. Mettere in ginocchio questo sistema avrebbe portato ad una guerra silenziosa che con le sue conseguenze avrebbe finito col colpire ogni angolo del paese ed ogni aspetto dell’economia. L’intera nazione ne avrebbe in qualche modo sofferto.

 

La popolazione di Kiev era intanto raddoppiata per via di un continuo afflusso di profughi provenienti dalle zone del fronte in cerca di rifugio e protezione. Solo nella capitale infatti era operativo un sistema antiaereo efficace in grado di neutralizzare gli attacchi russi.

 

A preoccupare ulteriormente la dirigenza ucraina, i risultati elettorali in Francia e quello che stava accadendo negli Stati Uniti che li poneva di fronte alla possibilità di un cambio di atteggiamento da parte occidentale nei confronti di una guerra che la vedeva coinvolta in prima persona. Con il loro tributo di sangue, le forze armate ucraine stavano inoltre dando tempo all’Europa di armarsi mentre la Russia dal canto suo andava muovendosi in direzione di un’economia di guerra.

 

Il 75° anniversario della Nato aveva mostrato che l’aggressione russa restituiva una seconda giovinezza ad un’Alleanza considerata dal presidente francese Macron come cerebralmente morta, anche se dal punto di vista politico non mancavano preoccupazioni ed interrogativi per via della futura presidenza americana.

 

Questo vertice si era chiuso in contrapposizione a Mosca, con gli Alleati uniti nel contrastare la sua offensiva contro l’Ucraina. Pressato dai vertici del partito, meno di due settimane dopo il presidente Biden annunciava il suo ritiro dalla corsa per la Casa Bianca.

 

La situazione sul fronte: Verso la fine del 2022 la situazione sul fronte ucraino era giunta ad un punto morto con gli scontri che si erano andati concentrando nel corso dei primi sei mesi dell’anno successivo intorno alla città di Bakhmut.

 

Agli inizi del mese di Giugno, Kiev decideva di lanciare una controffensiva per spezzare le linee russe. Questa si sarebbe svolta in più punti del fronte, soprattutto in direzione dei territori di Donetsk e Zaporizhzhia. Per le Forze armate ucraine, finora sulla difensiva, si sarebbe dovuto trattare di un momento decisivo nel corso della guerra. In origine questa offensiva era stata prevista per la primavera, ma dovette essere rinviata per via del clima e dei ritardi nella consegna delle forniture militari necessarie.

 

I militari russi avevano fiutato che qualcosa si stava preparando e già dal Novembre 2022 avevano iniziato a costruire tutta una serie di infrastrutture difensive al fine di rendere più difficile questa controffensiva. L’impresa riuscì loro, obbligando le forze ucraine a rallentare l’avanzata: con lentezza finirono col riprendersi meno della metà di ciò che la Russia era riuscita ad impossessarsi nel corso del 2023. Apparve presto evidente che questa controffensiva si stava impantanando e che non avrebbe potuto concludersi col successo sperato.

 

Nel Novembre 2023 il presidente Zelensky annunciava che la guerra sarebbe entrata in una fase nuova e quella che doveva essere con tutta probabilità una marcia in direzione del Mare di Azov o della Crimea allo scopo di dividere le forze russe non raggiunse il suo scopo, tanto che alla fine dell’anno questo tentativo poteva dirsi frustrato.

 

Da questo momento il conflitto si sarebbe trasformato in una logorante guerra d’attrito combattuta tra trincee, camminamenti, linee fortificate, campi minati ed altre barriere.

 

Un fronte bloccato: A questo punto della situazione nessuna delle due parti aveva più la capacità di lanciare un’offensiva di tale portata da spezzare le linee nemiche e penetrare in profondità. Era più prudente fare avanzare piccole unità accompagnate da droni e precedute da tiri di artiglieria al fine di guadagnare ogni palmo di terreno. Mosca non aveva le riserve necessarie per sfruttare i piccoli arretramenti dell’avversario, perché le servivano a rafforzare le difese in caso di qualche tentativo di avanzata ucraina. Ai due avversari non poteva sfuggire che attaccare posizioni difensive è più difficile e dispendioso in termini di uomini e mezzi.

 

Per i russi la situazione sul terreno era più facile e al momento la loro strategia di ammassare truppe, sparare più colpi ed appoggiarsi ad un’aviazione superiore consentiva loro qualche margine di manovra in più, anche se ad un costo molto elevato di perdite umane. Va sottolineato che il fronte è lungo circa 1000 km e questa strategia, costosa in termini di vittime e distruzioni materiali, avrebbe potuto nel tempo restituire qualche possibilità di iniziativa alle Forze armate ucraine.

 

Alla metà del mese di Marzo di quest’anno, dopo 24 anni consecutivi al potere, ed in un contesto di crescente aggressività sul fronte e difficoltà per l’Ucraina vista l’insufficienza di armamenti, Putin veniva rieletto per il suo quinto mandato. Aveva ottenuto quasi l’88% dei consensi, dato storico più alto. A far salire questa sua popolarità ha contribuito molto la guerra in Ucraina, che vede una popolazione inquieta ed in cerca di protezione e fermezza. Buona parte del paese aveva mostrato fiducia in lui e lo appoggiava.

 

Scopo di Putin adesso era quello di rilegittimarsi in vista di proseguire il suo percorso politico, il che significa soprattutto continuare la guerra. Questo il popolo lo accettava stoicamente pensando che se si è in guerra, si deve vincere. Per Zelensky dunque nessun negoziato in vista: significherebbe farlo alle condizioni imposte da Mosca che non mostra la minima volontà di far passi indietro rispetto le sue posizioni. Aspettarsi quindi altri sei anni di repressione e di pugno duro.

 

Per il presidente russo gli obiettivi della guerra non erano cambiati: annettersi le parti dell’Ucraina conquistate illegalmente, denazificare il paese, ridurne ai minimi gli effettivi militari ed impedirgli l’accesso nella Nato e nell’Unione Europea. In breve, fare dell’Ucraina uno Stato vassallo come la Bielorussia.

 

L’Ucraina, dal canto suo, doveva dare al paese un’identità ed un avvenire. Le circostanze le imponevano di agire.

 

L’esercito di Kiev penetra nel territorio russo: La mattina del 6 Agosto le Forze armate ucraine comunicavano di aver varcato la frontiera con la Russia entrando nella regione di Kursk.

 

Sin dai primi momenti appariva chiaro come ci si trovasse di fronte ad una vera offensiva militare. Nel giro di alcuni giorni i soldati ucraini prendevano il controllo di un’area che si aggirava secondo i loro dati intorno ai 1000 kmq. Mosca parlava invece di 400 kmq. In questa marcia all’interno del territorio russo gli ucraini si erano impadroniti di circa 28 centri abitati.

 

Si stimava che le truppe coinvolte in questa offensiva non fossero più di 15 mila, all’inizio probabilmente anche meno. Visto il numero limitato di uomini e mezzi, non credo si potesse trattare di una vera e propria campagna, bensì un’azione dimostrativa per far capire al Cremlino che la guerra non l’ha vinta e non la vincerà. In aggiunta, Zelensky riproponeva l’estensione della legge marziale.

 

Di fronte a questa improvvisa avanzata, l’esercito russo, preso alla sprovvista, si è presto trovato in difficoltà e qualcosa come 120 mila civili sono stati costretti ad abbandonare la zona dei combattimenti. Il 10 Agosto gli ucraini erano riusciti a prendere il controllo della cittadina di Sudzha con l’adiacente stazione di pompaggio del gas russo verso l'Europa.

 

Non avendo inizialmente aperto bocca su questa improvvisa operazione, il presidente Zelensky rivendicava l’offensiva e se ne congratulava. Non senza malizia affermava che a portar la guerra in Ucraina è stata proprio la Russia ed era ora tempo che assaggiasse un po’ della stessa medicina. Non sono stati gli ucraini a scegliere la guerra e loro obiettivo restava quello di arrivare ad una pace giusta. Al momento questa situazione giocava tutta a favore del morale degli ucraini.

 

Putin rispondeva invece con dichiarazioni infuocate, affermando come fosse adesso prioritario per l’esercito russo espellere le forze ucraine dall’interno dei loro confini. Con un’indubbia faccia di bronzo accusava Kiev di fare esattamente tutto ciò che lui andava facendo in territorio ucraino da oltre due anni. Ha parlato di una provocazione su vasta scala, ordinato l’evacuazione delle aree coinvolte ed avvertito che presto sarebbe arrivata la dovuta rappresaglia. Intanto proclamava lo stato di emergenza nella provincia di Kursk.

 

A fargli da spalla interveniva Dmitri Medvedev, attuale vicepresidente del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa, dichiarando che era necessario schiacciare il nemico e giungere a conquistare Kiev. Con queste premesse la guerra non potrà finire che quando sarà finita.

 

Il presidente Putin aveva commesso l’errore di pensare che il popolo ucraino non stesse con il suo governo e sottovalutato anche il significato umano e psicologico del conflitto: una volta attaccati, gli ucraini stavano continuando a battersi per le loro famiglie, le loro case, le loro città ed il loro territorio. Per quel poco che gli è concesso sapere, penso che un crescente numero di russi cominci ad accorgersi di trovarsi costretto in una situazione senza via d’uscita.

 

Con questa operazione, partita all’inizio con poche migliaia di soldati, gli ucraini si erano finalmente decisi dopo mesi di stallo a compiere un passo importante che li ha portati ad avanzare per una ventina di chilometri all’interno del territorio russo. Il numero dei soldati coinvolti ed i mezzi limitati impiegati nell’attacco rendono evidente che non si è trattato tanto di una vera e propria offensiva, quanto piuttosto di un’azione dimostrativa per far capire a Putin non solo che la guerra non l’ha ancora vinta, ma che non la vincerà.

 

Se il presidente Zelensky deve curarsi del suo pubblico, non diversamente deve farlo il suo omologo russo.

 

Passata una settimana, Kiev annunciava l’occupazione di 74 località e dichiarava la sua offensiva come giustificata e del tutto conforme al principio di legittima difesa. I russi iniziavano l’evacuazione della vicina regione di Belgorod. I militari caduti in mano ucraina si contavano a centinaia, tra loro anche un certo numero di ufficiali. Incerto il bilancio delle vittime. Tra la popolazione si parlava di 12 morti e poco più di un centinaio di feriti. Dietro le quinte Mosca iniziava a discutere di uno scambio di prigionieri.

 

Per il presidente americano Biden questa offensiva si stava trasformando in un vero dilemma per Putin. Quest’ultimo, che in quanto ad accuse e minacce non ha rivali, incolpava le Forze armate ucraine di aver invaso il suolo russo allo scopo di uccidere e saccheggiare, ribaltando così sugli altri ciò che a tutti gli effetti avevano fatto i suoi stessi soldati in Ucraina.

 

Pochi giorni dopo veniva annunciata la conquista di 82 località e la cattura di un altro centinaio di soldati. Le truppe di Kiev, proprio per distinguersi da ciò che avevano fatto i russi, iniziavano a mettere in piedi con accortezza un’amministrazione militare per organizzare, gestire e rifornire le aree conquistate: si istituivano corridoi umanitari e si prestava assistenza per venire incontro alle esigenze della popolazione civile, il tutto con un’attenzione alla propria immagine. Continuava intanto da parte russa l’evacuazione della popolazione civile e veniva rafforzata la regione di Belgorod.

 

A Putin deve apparire al momento chiaro che questa guerra non gli è stata favorevole, tanto che se le cose dovessero continuare in questo modo, i soli a poterlo tirare fuori da questa situazione sono gli americani. Altro paradosso è che se Mosca intende vincere, non potrà fare a meno del supporto della Cina che ne farebbe inevitabilmente un suo protettorato. Il presidente russo non può che salvaguardare il suo potere, ma potrà una simile scelta essergli d’aiuto?

 

In Ucraina invece proseguivano da parte delle forze di Mosca i tentativi di avanzata nel Donbass mentre intensificavano la loro pressione nella regione di Donetsk ed avanzavano in direzione di Prokovsk, importante polo industriale e logistico di 60 mila anime. Si andava annunciando un’aspra serie di combattimenti, tanto che le autorità del posto chiedevano l’evacuazione degli abitanti in luoghi più sicuri. Sul terreno continuavano ininterrotti i bombardamenti russi.

 

Indubbiamente innervosito, il presidente Putin radunava il Consiglio di Sicurezza Nazionale ed accusava l’Occidente di avere aiutato le forze ucraine nella loro offensiva. Si dichiarava pronto a mettere in campo nuove armi.

 

Due giorni dopo, il 17 Agosto, veniva distrutto da un attacco missilistico il ponte di Kursk. Di nuovo Putin si scagliava contro gli occidentali accusandoli di aver fornito armi agli ucraini. Più di 120 mila civili russi avevano dovuto lasciare le loro case. L’esercito ucraino consolidava le sue posizioni e consentiva l’ingresso nella regione ad alcuni giornalisti occidentali, tra i quali un’inviata della Rai insieme al suo operatore.

 

Nella giornata del 19 veniva colpito un altro ponte e le località conquistate salivano a 92. Putin escludeva ogni negoziato. Appariva evidente come stesse riemergendo per Mosca il problema della logistica che comprometteva l’efficienza delle sue Forze armate. A rendere più lenti gli spostamenti di uomini e mezzi è la conformazione stessa del fronte. In risposta, Putin annunciava la mobilitazione di altri 180 mila uomini e chiedeva alle sue truppe di riconquistare i territori perduti nella regione di Kursk. Kiev replicava di non voler rinunciare a questa sua conquista ed invitava esponenti delle Nazioni Unite e del Comitato Internazionale della Croce Rossa a recarsi in quelle zone. Il presidente russo immediatamente denunciava una provocazione. Dopo poco seguiva un voto del Parlamento di Kiev che bandiva dal paese il patriarcato di Mosca. Questa decisione veniva subito dichiarata illeggitima.

 

Nella giornata di Domenica 25 Agosto Mosca replicava con un massiccio attacco missilistico sull’Ucraina. Si sono contati 200 missili ed un gran numero di droni che hanno colpito centrali elettriche e sistemi idrici in quindici regioni. Il giorno prima, tramite una mediazione degli Emirati Arabi Uniti vi era stato uno scambio di 115 prigionieri per parte, tutti catturati nel corso di questa offensiva su Kursk.

 

Passato un mese, l’offensiva aveva intanto costretto Mosca a spostare 40 mila soldati nella regione. Le Forze armate ucraine dichiaravano comunque di aver fermato la controffensiva russa ed un nuovo missile a lungo raggio di fabbricazione ucraina, il Palianytsia, colpiva un importante deposito di munizioni. Di fronte a questo intervento, le truppe di Kiev iniziavano a scavare trincee ed erigere postazioni difensive per consolidare le loro linee: in un’offensiva il rapporto tra chi attacca e si difende è di almeno 3 a 1.

 

Questa guerra ha comunque un costo e questo si riflette anche all’interno della compagine politica ucraina, non esente da tensioni e disaccordi. All’inizio di Settembre il presidente Zelensky annunciava un vasto rimpasto governativo spiegando che dopo due anni e mezzo di conflitto servivano nuove energie. Nel Donbass le difese si stanno sgretolando, mentre da parte di Mosca la reazione è che questo rimpasto non avrà nessuna incidenza su quelli che potrebbero essere i futuri negoziati con Kiev. Ad essere sostituito è stato più o meno mezzo governo e tra i suoi membri spiccano il ministro degli Esteri Kuleba, il ministro delle Industrie Strategiche, il ministro dell’Ambiente, quello della Giustizia ed anche il suo collega all’Economia.

 

Zelensky affermava di aver pronto un piano per la vittoria da presentare agli alleati occidentali una volta a New York. In territorio ucraino le forze russe procedevano nella loro avanzata ed annunciavano la conquista di un altro villaggio, avvicinandosi sempre di più all’importante snodo logistico per gli approvvigionamenti militari di Prokovsk nel Donbass, dal quale proseguiva l’evacuazione degli abitanti. In questi ultimi mesi le truppe russe erano avanzate di una trentina di chilometri e malgrado la resistenza incontrata si avvicinavano di molto a Vuhledar, altro importante centro logistico. Pochi giorni dopo Putin rendeva noto che non avrebbe partecipato al secondo vertice sull’Ucraina voluto da Kiev.

 

L’arrivo di Zelensky a New York: Sbarcato il 22 Settembre, il presidente ucraino doveva rivolgersi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la sua inaugurazione e vedersi poi con il presidente Biden ed altri esponenti politici americani per presentare il suo piano. Previsti anche un incontro con Kamala Harris e successivamente con Trump.

 

Per Zelensky si tratta di una corsa contro il tempo: le elezioni si stanno avvicinando e non è certo per quanto tempo ancora i Democratici resteranno alla Casa Bianca. Egli vuole assicurarsi che chiunque dovesse governare gli Stati Uniti continui ad interessarsi ai destini dell’Ucraina.

 

Tra gli elettori americani è sempre più evidente che nella maggioranza sta crescendo una stanchezza nei confronti del conflitto. Questo è particolarmente vero tra i Repubblicani, i cui rappresentanti a Washington chiedono un qualcosa di concreto in cambio di ulteriore assistenza. Per Trump fino ad oggi questa è una guerra fatta dai Democratici e Zelensky andrebbe mollato. Quest’ultimo era a New York per mettere fine alla guerra, ma non a qualsiasi condizione.

 

Per farla breve, rivolgendosi alla platea dell’Assemblea Generale si è appellato ai partner internazionali per costringere la Russia alla pace. La guerra di Putin – ha detto – è solo follia, aggiungendo poi l’informazione che Mosca avrebbe in mente di colpire tre impianti nucleari ucraini. Nel corso del conflitto, la Russia avrebbe inoltre fatto cose che non trovano giustificazione nella Carta delle Nazioni Unite. Questa guerra purtroppo non può né svanire né concludersi con dei colloqui: serve azione.

 

Nel suo intervento ha compiuto uno sforzo particolare nel rendere drammatica la situazione al fine di continuare ad attirare l’attenzione sulla tragedia del suo Paese, che dopo due anni e mezzo di conflitto continua a resistere trovandosi però in difficoltà crescenti e con il 18% del territorio in mano nemica. Egli si rende conto che al momento l’attenzione del mondo è diretta verso il Medio Oriente per via dei crescenti allarmi di un possibile allargamento del conflitto, cosa che potrebbe eclissare ciò che avviene in Ucraina.

 

Rivolgendosi ai paesi del gruppo Brics ha chiesto loro di partecipare agli sforzi di pace. Allargando la sua visione, ha sottolineato come la Russia fosse un pericolo e dovrebbe essere vista come un problema che interessa e coinvolge anche altre nazioni. Insaziabile e non soddisfatta della terra che già possiede, sta adesso cercando di distruggere il suo paese: il popolo ucraino soffre, è necessario creare un baluardo contro la Russia e ha chiesto sostegno per vincere la guerra perché con Putin null’altro funzionerebbe. Ha poi denunciato l’Iran e la Corea del Nord come fornitori di armi a Mosca e lamentato il potere di veto che questa esercita all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

L’incontro con Biden e la Harris: Recatosi successivamente alla Casa Bianca, Zelensky è stato accolto da Biden che gli ha garantito che gli Stati Uniti saranno al fianco del suo paese: “Al vostro fianco ora e in futuro, Mosca non vincerà”. Lo ringraziava per aver condiviso con lui il piano per la vittoria.

 

Alla vigilia di quest’incontro del 26 Settembre, il presidente americano aveva confermato un ulteriore pacchetto di aiuti militari per 8 miliardi di dollari nel quale sono incluse munizioni a lungo raggio con una gittata di un centinaio di chilometri. Non sono stati inseriti però quei missili a lungo raggio più volte richiesti da Kiev.

 

Questo pacchetto include nello specifico munizioni e supporto per i lanciamissili Himars, munizioni a grappolo e di artiglieria, veicoli corazzati e leggeri di artiglieria, armi leggere e anti-mezzi corazzati, come i missili Javelin e Tow e i razzi anticarro At-4.

 

Riguardo il piano per la vittoria presentato prima a Biden, poi alla Harris ed infine al suo rivale Trump, ancora non se ne sa molto. Dovrebbe articolarsi su alcuni punti quali l’aumento dell’assistenza militare, soprattutto la richiesta del via libera per Kiev a colpire obiettivi mirati in territorio russo con armi occidentali a lungo raggio. Si passerebbe poi alla richiesta di ingresso nella NATO accompagnata da un sostegno economico immediato, oltre che per la ricostruzione. Includerebbe anche l’aumento della pressione diplomatica su Mosca oltre ad ulteriori sanzioni.

 

Questo piano avrebbe come scopo di costringere Vladimir Putin ad accettare le condizioni di pace di Kiev. Sono stati anche delineati i termini entro i quali l’Ucraina sarebbe disposta a negoziare, partendo dalla necessità di costringere la Russia alla pace sulla base della Carta delle Nazioni Unite. Non vi sarebbero proposte di concessioni a Mosca.

 

Nel corso del successivo incontro con Kamala Harris, candidato scelto da Biden per la Casa Bianca, il presidente ucraino ha potuto ascoltare la sua posizione sul sostegno al suo Paese e sull’appoggio che continuerebbe a ricevere per vincere sul campo. La Harris ha sottolineato come questo conflitto sia importante perché difende anche di quei valori e principi che sono fondamentali per gli Stati Uniti. Facendo riferimento a Trump ha affermato che “ci sono dei leader negli Stati Uniti che vogliono che l'Ucraina ceda territori con proposte che non sono di pace ma di resa”. Il suo appoggio all’Ucraina non potrà che essere incrollabile ed opererà affinché Kiev prevalga.

 

L’incontro con Trump: Recatosi nuovamente a New York, il presidente ucraino è salito nell’appartamento della Trump Tower sulla Quinta Strada. L’incontro è stato organizzato all’ultimo a seguito di non poche polemiche. Zelensky aveva insistito per avere un faccia a faccia con Trump decidendo di prolungare il suo soggiorno americano per non perdere l’occasione. Gli aveva scritto in precedenza che era importante per loro “avere un contatto personale e capirci al 100%”. Il suo appello è stato alla fine accolto.

 

Zelensky ha voluto sottolineare che entrambi condividevano il fatto che la guerra andasse fermata, che Putin non poteva vincere e che a prevalere dovevano essere gli ucraini. Il suo ospite si è dichiarato onorato di averlo con e gli garantiva che in caso di vittoria avrebbe posto fine al conflitto ancora prima di entrare alla Casa Bianca.

 

In termini vaghi ha poi parlato della necessità di giungere ad un accordo da considerarsi equo per entrambe le parti. Ha successivamente detto che come il presidente Zelensky aveva le sue vedute, lui ha le proprie. Sottolineando di avere un buon rapporto anche con Putin, ha subito incassato la risposta del suo ospite che si augurava di avere con lui un rapporto migliore. Trump ha ribattuto che per ballare il tango bisogna essere in due.

 

Quest’incontro – ha detto Zelensky – è stata un’occasione per presentare il suo “piano per la vittoria”. Suo desiderio è quello di una pace giusta, ha voluto però sottolineare che i russi sono in territorio ucraino e che questa guerra non aveva motivo di iniziare. Da lì la necessità di fare pressione su Putin affinché la fermi.

 

Il rapporto tra i due è sempre stato problematico, soprattutto a seguito delle pressioni che Trump aveva esercitato per avere informazioni sulle attività ucraine di Hunter Biden, figlio del presidente. Riguardo la guerra, Trump non aveva risparmiato critiche a Zelensky per le sue continue richieste di aiuti agli Stati Uniti: lo aveva definito “il più grande venditore della storia. Ogni volta che viene negli Stati Uniti se va via con miliardi”. Aveva poi più volte sottolineato che questi fondi sarebbero stati meglio spesi per mettere in sicurezza il confine con il Messico. Come potrebbe in un domani evolvere il rapporto tra i due in caso di elezione di Trump è al momento impossibile dirlo. Zelensky intanto lo ha nuovamente invitato a visitare Kiev.

 

Secondo fonti bene informate, l’incontro si sarebbe svolto in un clima di cordialità, fatto che sembravano confermare anche le immagini scattate.

 

Nel frattempo in Ucraina: Nella loro avanzata nel Donbass, le Forze armate russe avevano attaccato la città di Kryvy Rih, luogo di nascita di Zelensky e colpito un edificio della polizia locale. Occupati nel corso della settimana i centri di Marynivka e Ukrainsk. Continuava l’offensiva per la conquista di Prokovsk: i russi vi ammassavano truppe e gli ucraini si stavano battendo in un rapporto di 1 a 10. Putin dichiarava che in Ucraina sarebbero stati raggiunti tutti gli obiettivi russi e come al suo solito, aveva ripreso a brandire la minaccia atomica. Nell’estate dello scorso anno aveva installato in Bielorussia delle armi nucleari tattiche.

 

Quel che più preme a Zelensky è di ottenere quello che gli è stato finora negato: il permesso di utilizzare armi americane per colpire bersagli strategici selezionati in territorio russo. In risposta, Putin replicava riservandosi il diritto di una risposta nucleare in caso di attacco alla Russia e alla Bielorussia ed enunciava una nuova dottrina: anche nel caso l’attaccante non possedesse armi nucleari, sarebbe sufficiente che chiunque si schierasse in suo aiuto le abbia.

 

Quando le cose non vanno in una direzione a lui conveniente, il presidente russo suole lasciarsi andare e agitare lo spettro nucleare. Gli piace imbrogliare le carte e per chi lo capisce il suo gioco non è tanto quello di colpire l’Occidente, quanto la sua opinione pubblica per persuaderla che i suoi leader non sono altro che una manica di guerrafondai. Questo però contribuisce alla riluttanza nel consentire a Kiev l’uso delle armi a lunga gittata messe a sua disposizione per colpire obiettivi mirati in territorio russo.

 

Il Segretario di Stato Blinken replicava definendo questa minaccia come irresponsabile. La Francia manteneva in mare tre dei suoi sottomarini atomici e la Nato rinforzava i suoi dispositivi nucleari. Biden prometteva che Putin non avrebbe vinto. Vorrei aggiungere che la Cina, in questa faccenda il principale alleato di Mosca, ha più volte espresso la sua contrarietà all’uso di armi atomiche da parte russa in questo conflitto.

 

Stessa posizione ha assunto l’India, che pur restando vicina alla Russia ha di recente concluso quattro accordi con Kiev. Anche Nuova Delhi e Pechino hanno l’atomica ed entrambe sono ben coscienti del fatto che le armi nucleari hanno un potere solo se non le si utilizzano.

 

Considerazioni sull’offensiva di Kursk: Questa operazione militare, che vede il territorio russo invaso da soldati nemici per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, è la più importante in corso tanto che Mosca ha dovuto ordinare l’evacuazione di 76mila persone dalle tre regioni adiacenti alla frontiera, quelle di Kursk, Briansk e Belgorod. L’Ucraina ha così portato la guerra in casa a Putin, riportando in prima pagina il tema del conflitto ucraino che di fronte alle tensioni in Medio Oriente era passato in secondo piano.

 

L’offensiva è nata per intimorire e creare scompiglio tra le Forze armate russe, infrangere la propaganda di Putin e farne un elemento negoziale in caso di trattative. Riguardo quest’ultima considerazione, Putin la considerava allo stesso modo: aveva accusato Kiev di voler seminare discordia all’interno della società russa e aver ordito quest’intervento per migliorare la sua mano e porsi in una posizione di forza di fronte ad eventuali trattative. L’attacco ucraino e la penetrazione in territorio russo sono stati uno strumento di pressione contro il Cremlino. I prigionieri russi sarebbero centinaia, incerto il numero delle vittime.

 

Avendo dimostrato che le forze russe non erano in grado di controllare la loro frontiera e che mancavano della capacità di comunicare e coordinarsi tra loro, l’esercito di Kiev ha posto il Cremlino di fronte ad un rovescio del tutto inatteso, un affronto che gli renderà impellente riprendersi il territorio perduto. I russi saranno costretti a mobilitare dei riservisti ed eventualmente spostare truppe dal fronte meridionale dei territori occupati per inviarle nella regione di Kursk.

 

Kiev dichiarava legittima l’operazione, in quanto conforme al principio di legittima difesa. Scopo dell’operazione non è stato tanto l’occupare territorio nemico, quanto creare delle zone cuscinetto per proteggere la popolazione da attacchi provenienti da quelle aree e smantellare quelle installazioni militari per rendere più difficili le operazioni di Mosca. Si tratterebbe in questo caso di un’operazione difensiva, i cui motivi erano l’alleggerimento della pressione sul fronte del Donbass ed il darsi una carta da giocare in caso di future trattative: un pegno per aprire un negoziato. Si poteva infine anche parlare di alzare il morale delle truppe.

 

Zelensky a questo punto chiedeva all’Occidente il permesso di usare le armi che gli erano state fornite per colpire obiettivi di importanza strategica all’interno del territorio russo. E’ da questi, infatti, che partono gli attacchi aerei e missilistici contro il suo territorio ed è anche lì che vi sono importanti depositi di carburante e munizioni.

 

Si tratta in questo caso di una richiesta essenziale che verrà certamente ripetuta. Senza la possibilità di colpire i luoghi da dove partono gli attacchi russi e che consentono loro di condurre al sicuro la guerra in territorio ucraino, i militari di Kiev sanno di combattere con le mani legate. Per rendersi conto di ciò, basta vedere il modo con il quale Israele porta avanti le sue offensive sui vari fronti che la vedono impegnata. Se non le fosse consentito di colpire il nemico sul suo territorio non avrebbe la minima possibilità di raggiungere i suoi obiettivi.

 

L’Occidente esita pensando che colpire la Russia sul suo territorio potrebbe portare ad un ulteriore aggravamento del conflitto. Al contrario però, aumentandone le difficoltà la si potrebbe costringere a riflettere ed evitare di peggiorare la situazione.

 

Alcuni elementi per una conclusione: Il presidente ucraino sa che il tempo è tutto a favore di Mosca e che nel suo paese, in un modo od in un altro, la guerra ha finito col segnare tutti. Se vi è chi è rimasto ucciso, militare o civile, è altrettanto vero che in molte strade è facile imbattersi in feriti o mutilati e che non sono in pochi a conoscere qualcuno che ha dovuto pagare il prezzo di questa guerra. Tutto ciò è particolarmente vero riguardo l’approvvigionamento energetico del paese, le cui centrali sono costantemente sotto il tiro di Mosca. Inutile parlare poi delle centinaia di migliaia di profughi, delle abitazioni, delle scuole, degli ospedali e di tutte le altre infrastrutture colpite o danneggiate. La morte non sceglie, così come la guerra non dimentica mai qualcuno o qualcosa troppo a lungo.

 

L’inverno sarà duro, ma nel caso Kiev riuscisse a mantenere le sue posizioni e conservare la regione di Kursk queste potrebbero essere le carte da giocarsi in un eventuale negoziato. Pur cercando garanzie di sicurezza, il presidente ucraino sa bene che per via del conflitto in corso il suo paese non potrà accedere alla Nato. Che vinca Trump o la Harris, non è improbabile un distanziamento dalle vicende belliche ucraine: a volerlo è lo stesso Pentagono, che ritiene ben più importante concentrarsi sull’ascesa della Cina.

 

Per molti americani, più che essere un problema loro l’Ucraina è un problema europeo. La Harris, per poter darsi una possibilità di vittoria, dovrà prima o poi assumere posizioni distinte da quelle di Biden in quanto esponente di una nuova generazione di leadership democratica. Sarà costretta ad affermarsi indicando che la sua presidenza non sarà la continuazione di quella attuale. Ritengo che anche in caso di una vittoria dei Democratici è quasi certo che non verrà fatto per l’Ucraina ciò che aveva finora fatto Biden.

 

Con le prossime elezioni, la palla potrebbe passare all’Europa. E’ lì dopo tutto che abbiamo una guerra. La Francia purtroppo si trova ad affrontare forti difficoltà interne, tanto che vi è persino chi paventa la fine della Quinta Repubblica: potrebbe esservi la possibilità che il presidente Macron possa risultare meno efficace in politica estera. L’altro asse sul quale si regge l’Europa è la Germania, nella quale però è in difficoltà anche il cancelliere Scholz. Quella sua è attualmente una posizione scomoda e lo si vede a volte far marcia indietro su temi importanti. Quanto al resto dell’Unione, resta sempre divisa ed oltre che balbettare non potrà far molto. In futuro vi sarà sempre la possibilità di un ingresso in Europa, cosa che non dipende dagli Stati Uniti e non sarà comunque questione di poco tempo.

 

Il margine di manovra di Kiev va inevitabilmente restringendosi e se vi è desiderio di conservare sul campo l’attuale equilibrio militare, sarà non solo necessario continuare ad armare l’Ucraina, ma anche consentirle di colpire quei bersagli strategici in territorio russo dietro ai quali Mosca si trincera per poter continuare a attaccarla e metterla in ginocchio. Questo a mio avviso è il tema più importante se si vuole dare a Kiev una possibilità di difendersi con successo e penso vada fatto il prima possibile. Il presidente Putin non ha bisogno di essere provocato: quello che vuol fare lo ha già deciso e venire incontro a questa necessità di Kiev potrebbe forse frenarlo nella sua offensiva e forse anche dissuaderlo.

 

Come negarle inoltre questa possibilità, quando vediamo Israele difendersi usando le più efficaci armi americane per attaccare obiettivi militari in Libano, Siria, Gaza e Yemen? Quale possibilità dare all’Ucraina per restare a galla? Questa ambiguità pone la domanda su fino a che punto si voglia andare fino in fondo. Per rispondervi tocca innanzitutto decidere a chi appartenga l’Ucraina, se all’Europa Centrale o al mondo russo. Oggi abbiamo una guerra in Europa E poi: l’Occidente tiene davvero ad una vittoria di Kiev oppure teme che una Russia sconfitta ed umiliata possa diventare un elemento di destabilizzazione?

 

Penso che a Stati Uniti ed europei convenga accettare questa richiesta, riservandosi se necessario di indicare quegli obiettivi che sarebbe meglio evitare di colpire. Fino ad oggi in territorio russo gli ucraini sono riusciti a far qualcosa, ma solo con l’impiego dei loro droni che come armi non sono però adeguati.

 

A causare i danni più rilevanti ed il maggior numero di vittime in territorio ucraino sono le cosiddette bombe volanti lanciate da aerei, le cui basi sono all’interno della Russia. Mosca ovviamente gioca al ricatto, cosa che facilmente può fare, perché da noi purtroppo quello strategico è un tema assente nei media. Certe cose andrebbero spiegate in maggior dettaglio, sì da rendere più agevole capire la natura del dibattito e le scelte da assumere.

 

Il gioco per Putin è quello di condurre una guerra di attrito che, viste le sproporzioni tra i due Paesi, sa di non poter perdere. La Russia infatti è in grado di subire perdite ben maggiori sia in uomini che in mezzi e tirare avanti più a lungo con il conflitto. Sa che Kiev ha il fiato corto e che non potrà che cedere prima. Non volendo far vedere di prendersela con l’Ucraina, preferisce affermare di essere contro la Nato e l’Occidente che sta comunque combattendo. Potrei anche sbagliare, ma penso che alla fine Putin detesti più l’Europa e la Nato che l’Ucraina.

 

Tornando a ciò che si era scritto poco innanzi sulle minacce nucleari di Putin, quello che più spaventa la Russia è la possibilità che venga consentito a Kiev di colpire obiettivi mirati sul suo territorio. Egli intanto ha dato l’ordine alle sue truppe di liberare la regione di Kursk non oltre un certo lasso di tempo e vi ha inviato un contingente di 40 mila uomini: le sue forze migliori sono infatti impegnate a combattere in Ucraina ed il Cremlino ha preferito non indebolirne l’offensiva spostandone una parte nel territorio di Kursk. Le forze armate di Kiev stanno resistendo con successo, ma per loro è stata una delusione in quanto speravano che questa loro offensiva avrebbe costretto i russi ad alleggerire il fronte principale.

 

Quasi superfluo dire che Putin non prenderà alcuna decisione importante fino ai risultati elettorali americani. La speranza è che se venisse eletto Trump, questi prenderebbe le distanze da Zelensky consentendogli di terminare la guerra in modo più vantaggioso. In passato il Donald era noto ai servizi russi che ne avevano coltivato i rapporti. Avevano anche infiltrato elementi della destra repubblicana ed ambienti d’affari per indebolire gli Stati Uniti e messo in seguito le mani sul processo elettorale allo scopo di condizionare gli elettori. Si era trattato di un agire ricorrente per disturbare il processo democratico al fine di scegliere un personaggio divisivo che avrebbe inevitabilmente indebolito il Paese.

 

Il presidente Putin vede adesso Trump come un mezzo per fiaccare l’appoggio di Washington all’Ucraina. In quanto al presidente Biden, questi sono i suoi ultimi giorni alla Casa Bianca. Quale Ucraina vorrà lasciarsi dietro alla fine del suo mandato?

 

La guerra a volte porta un suo beneficio: apre gli occhi e costringe a pensare. Mentre i bagliori dei combattimenti si avvicinano a Prokovsk, malgrado le belle parole degli occidentali gli aiuti continuano ad arrivare tardi ed in quantità insufficienti. Questi ultimi dovrebbero sapere che spesso le disgrazie nascono dal non tenere un linguaggio chiaro: sarebbe tempo di decidere se Putin vada sopportato o combattuto. Ad oggi si sono sentite tante cose da far girar la testa.

 

Gli ucraini non possono permettersi di sacrificare invano i loro soldati: hanno comunque combattuto meglio e con più cautela dei loro nemici, cercando di evitare al massimo le perdite umane e materiali ed in qualche occasione anche i combattimenti ad oltranza. Stanno tentando di mettersi nella migliore condizione possibile per trattare con una Russia che ha scatenato una guerra di aggressione seguita da ingenti distruzioni e deportazioni di bambini.

 

Ritengo vada fatto il possibile per frenare i progressi di quel flagello che è Putin. Come occidentali si dovrebbe operare per la salvezza dell’Ucraina tenendo conto che dietro questa guerra si cela l’ostilità del Cremlino nei confronti degli Stati Uniti e del modello politico e sociale rappresentato dall’Europa. Putin alla fine capisce solo la forza, cosa che spiega i ripetuti sforzi di Zelensky nel chiedere più aiuti ed accelerare la consegna di armi, soprattutto missili a lunga gittata.

 

Le sproporzioni tra i due Paesi sono enormi. Basti pensare che l’Ucraina ha una popolazione di poco inferiore ai 44 milioni, una superficie di quasi 604 mila kmq con un Pil anteguerra di 160,5 miliardi di dollari. Di fronte a sé, il più grande paese del mondo per estensione che copre 11 fusi orari, è dotato di enormi risorse naturali ed ha un numero di abitanti pari a 142 milioni con un Pil (sempre anteguerra) corrispondente a 2.224 miliardi di dollari.

 

Questi dati mettono Zelensky in una posizione di doversi in qualche modo rassegnare ad accettare una forma di compromesso: si tratta di trovare una via di uscita se non altro per il fatto di non avere abbastanza uomini e risorse da opporre alla Russia e, come si è visto, è il suo stesso fronte interno a non essere compatto. Dopo Kursk e dopo Prokovsk, che cosa? Se per Putin questa “operazione speciale” è una rivincita per aver perduto la Guerra Fredda, rimane indubbio che abbiamo di fronte un’Ucraina che vuole essere libera, indipendente, occidentale ed europea. Dobbiamo tenerne conto e non possiamo voltarle le spalle. I suoi figli si stanno battendo anche per noi: questa è una guerra contro l’Europa e contro il mondo libero.

 

Stiamo entrando nel terzo inverno di guerra e per la sua stessa natura le sue sorti non potranno essere risolte sul campo. Nessuno dei due avversari sembra in grado di vincerla: come si è visto la più forte è Mosca, anche se ad oggi le cose si siano rivelate per lei un disastro. Grazie anche agli aiuti occidentali, gli ucraini si battono meglio ma non sono in grado di schierare un numero di soldati sufficienti e cominciano a dare segni di stanchezza. Se vi saranno delle trattative, sia queste che il loro esito verranno determinati dagli equilibri militari e per il dopo non potrà che servire un progetto politico.

 

Se è vero che il compito di oggi e di domani è quello di conservare indipendenti tutte le nazioni, è altrettanto vero che politica estera e diplomazia hanno risolto più casi intricati di quanti se ne vogliano ricordare. Regola diffusa è che un buon negoziatore all’ultimo alza sempre la posta, partendo dal presupposto che se vi è un problema si va e si cerca di portare a casa qualcosa. Indispensabile è trovare quel punto di equilibrio tra minaccia e negoziato.

 

L’Ucraina merita il nostro appoggio e qualunque cosa ci porti il domani resterà il fatto che molto dipenderà adesso dalla volontà dell’Europa di sostenerne lo sforzo militare e dalla piega che prenderanno le elezioni americane. Seguace del più mostruoso degli idoli, quello del nazionalismo, il presidente Putin continua ad arrovellarsi per creare odio tra nazioni vicine: in questa sua fuga in avanti va fermato perché sta tentando di portare un colpo irreparabile ai danni dell’Occidente. Dobbiamo capire che l’Europa di domani non potrà che farsi per noi o contro di noi. Non resta a questo punto che il negoziato: penso Zelensky lo intuisca, l’incognita è Putin.

Auguriamoci che la diplomazia possa presto riprendere a fare il suo lavoro e che questo sia l’ultimo dei grandi conflitti europei. Le sfide di domani si stanno facendo sempre più pressanti, le frontiere diventeranno più labili e non è certo che sarà sul campo di battaglia che verranno combattute e vinte quelle del futuro. La legge del domani sarà quella della solidarietà tra le nazioni e se non lo si capisce saranno guai per tutti.

 

 


 

 

 

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