Una trattativa difficile: tre presidenti a confronto

 

L’idea che alcuni si fanno dei negoziati diplomatici è che si salta alla gola di un avversario, lo si butta per terra, lo si calpesta, poi gli si dice: mettiamoci d’accordo. Un metodo simile, se lo si generalizza, porta alla disgrazia” .

 

Visconti Venosta, Conferenza di Algesiras, 1904

 

Una pace non è buona se non è tollerabile dalle due parti. A voler guadagnar troppo si rischia di perder tutto”.

 

Carlo Sforza

 

Il 14 Giugno 2022 scrivevo che gli ucraini avevano tutta l’intenzione di disporre di se stessi e del proprio destino. Aggiungevo che un’Ucraina democratica significava che alla frontiera con la Russia avrebbe prevalso un’aria di libertà ed uguaglianza che chiunque era in grado di comprendere, ma che per Putin ed il suo potere sarebbe stata un pericolo, se non addirittura una minaccia.

 

Il Segretario Stoltenberg affermava che la Nato doveva rafforzare le sue capacità militari, mentre per Zelensky l’esito della battaglia del Donbass avrebbe fornito un’indicazione sul seguito dell’andamento della guerra con la Russia. Da Roma, il Papa dichiarava che il conflitto non era tra buoni e cattivi, che la strategia delle armi non avrebbe funzionato e che serviva più diplomazia e più pace, dunque il dialogo ed il confronto.

 

Al nostro Tavolo di Politica Estera si sottolineava che se si voleva dar vita al patriottismo ucraino e raddoppiarne il vigore, quella dell’invasione era stata la via migliore. Quanto al resto, l’idea era che si sarebbe arrivati al negoziato quando le parti avrebbero deciso fosse giunto il tempo di trattare. Contemplavamo con tristezza un’Europa indifesa ed insignificante ed un’Italia fuori da tutto.

 

Sempre Stoltenberg dichiarava che la guerra avrebbe potuto durare anni.

 

Premessa: Vorrei adesso iniziare questo testo con alcune considerazioni al fine di meglio contestualizzarlo. Vi si troveranno delle ripetizioni, ma penso siano comunque utili per farne meglio comprendere il senso.

 

Da quando si è nell’era nucleare, ad assumere connotati sempre più importanti è la politica estera. Se il solo a poter trattare con Putin è Trump, è perché ha le armi nucleari. E’ un segnale che a questo livello solo loro possono trattare e Mosca vuole mantenere questo colloquio in ambito bipolare. Se i due non si incontreranno, difficilmente potranno chiudersi i centri di crisi: occorre un incontro formale con un accordo formale.

 

Vi è tra Stati Uniti e Russia l’esigenza obbiettiva di convergere. Avranno la forza di risolvere le situazioni più problematiche? Questo è un momento ne quale il rapporto tra le grandi potenze di fronte alle crisi locali è molto importante. Quel che conta è che i due leader continuino a parlarsi e che le trattative siano in corso.

 

Benché nei rapporti internazionali si è spesso nel regno della menzogna, quando le grandi potenze si parlano vuol dire che qualche forma di accordo c’è. E’ quando non si parlano e litigano che la situazione può dirsi pericolosa. Riguardo il futuro dell’Ucraina, in questo caso americani e russi manderanno avanti dei negoziatori formidabili che non hanno il minimo senso morale, dato che in politica estera a contare sono gli interessi nazionali.

 

La comunità internazionale attende adesso di vedere come Trump affronterà i problemi aperti nel mondo. Nel frattempo ognuno cerca di piazzare al meglio le proprie carte. Vi è la probabilità che a partire dall’Ucraina possa aprirsi un negoziato globale che finirà col toccare tutto. Credo possa dirsi che in questo momento Trump abbia come alleato Putin, che su di lui ha investito non poco, dato che solo Washington potrebbe toglierlo dal suo isolamento: se Mosca vuole riemergere internazionalmente deve accordarsi con gli Stati Uniti. Una mancanza di accordo avrebbe conseguenze gravi, dato che le tensioni finirebbero col ripercuotersi ovunque.

 

Quando un negoziato è in corso, ognuno muove tutte le pedine possibili. Trovare un’intesa non sarà facile e poco da stupirsi se ogni giorno arriveranno notizie che vanno in un senso od in un altro e non si sentiranno parole chiare. Il sasso è comunque stato lanciato nello stagno e sta facendo delle onde. Cosa succederà adesso? L’unica cosa certa è che se l’Europa non riuscirà ad attivarsi, non potrà che fare la comparsa e pagarne le conseguenze.

 

Le sarà quindi indispensabile guardare a questa crisi come un’opportunità per costruirsi una propria sovranità che le consenta di agire non tanto come si è detto da comparsa, ma da attore globale: una comune politica estera e di difesa, anche se collegate a quella americana. Il presidente Trump forse non lo sa, o non se ne rende conto, ma l’America non può essere sicura senza un’Europa libera e democratica: se vuole continuare a spingere il suo interesse nazionale avrà bisogno di alleati e quale migliore di un’Unione forte, libera e coesa.

 

Un incontro difficile: A seguito dell’umiliante faccia a faccia alla Casa Bianca del 28 Febbraio, Zelensky, dopo aver tenuto testa sia al presidente Trump che al suo vice JD Vance, è stato indotto ad abbreviare l’incontro. Trump era partito con l’idea che o il suo omologo ucraino si sarebbe reso disponibile a concludere un accordo oppure lo avrebbe lasciato cadere. Ciò che Zelensky chiedeva agli americani era soprattutto di avere una serie di garanzie di sicurezza. Dopo circa 40 minuti di colloquio il tono della discussione era rapidamente degenerato negli ultimi 10 minuti.

 

In una situazione senza precedenti, i due leader si sono affrontati pubblicamente nello Studio Ovale con il presidente americano che gridava a Zelensky di cambiar modi, di reputarsi al di sopra di tutto, di non avere le carte in mano e di giocare con la Terza Guerra Mondiale: “Non è così che si sistemano le cose”. Il presidente ucraino gli rispondeva che non stava giocando a carte e che insieme a Vance avrebbe dovuto recarsi in Ucraina per rendersi conto di persona su cosa vi accade e quanto continua a patire la popolazione. “Concludi un accordo – gli gridava Trump – o ti lascio cadere”. Mai le tensioni tra i due erano state così alte. Nessun accordo è stato ovviamente firmato.

 

Trump è letteralmente sbottato ed aggredendo il suo ospite gli ha detto che non conta nulla, che non sta vincendo, che il suo paese è nei guai, che sta mancando di rispetto all’America e che senza il loro aiuto la guerra l’avrebbe già persa da un pezzo. Di fronte alla visibile disperazione dell’ambasciatore ucraino, il pranzo e la conferenza stampa sono stati entrambi annullati. Tutto ciò si è svolto di fronte alle telecamere, cosa mai vista in un’occasione del genere. Va detto che simili episodi non sono infrequenti, ma che normalmente non lo si viene a sapere: in linguaggio diplomatico si parla di scambio intenso o di conversazione franca.

 

Ad un osservatore di cose americane ciò che ha immediatamente stupito è stato il ruolo di JD Vance nel diverbio. Per tradizione negli Stati Uniti il ruolo del vice-presidente è praticamente nullo. Chi avrebbe dovuto intervenire per dire qualcosa avrebbe dovuto essere Marco Rubio che, in qualità di Segretario di Stato, è delegato alla politica estera. Non ha invece aperto bocca.

 

Che la visita di Zelensky a Washington si sia rivelata uno scacco totale non è certo dispiaciuto al Cremlino, il quale ha immediatamente parlato del ritegno di Trump di fronte a quel “immondizia” di Zelensky, lanciandogli poi l’accusa di essere ossessionato dal desiderio di prolungare la guerra. Quest’ultimo ha fatto sapere che di Putin non ci si può fidare e che è pericoloso cercare compromessi con lui. Per quel che lo riguarda, egli resta invece sempre disponibile per la firma di un accordo.Ha aggiunto di non dovere scuse a Trump e che il rapporto tra di loro poteva ricomporsi.

 

Da Mosca il portavoce Peskov affermava invece che la politica estera di Trump coincideva con la visione della Russia, mentre in Ucraina si implorava Zelensky di non sottostare alle pressioni americane e resistere a Putin. All’Europa giungeva la richiesta di non lasciare sola Kiev. A sorprendere tutti il fatto che il presidente americano, invece di trattare con Putin, gli stesse concedendo in anticipo tutto ciò che lui più voleva.

 

Appariva chiaro come ci si trovasse di fronte ad una deriva inquietante della politica, ad un mutamento dell’intero paradigma dell’agire politico a livello internazionale: ad emergere era la legge del più forte dove, crudeli e liberi di offendere, Trump e Putin si stavano entrambi comportando allo stesso modo, ossia da sovrani.

 

Oltre a questioni di carattere quali arroganza ed imprevedibilità, a spiegare quest’astio di Trump nei confronti di Zelensky è probabile vi sia anche un profondo risentimento generato dalle pressioni che lui aveva fatto nel corso del suo primo mandato affinché investigasse su Biden e suo figlio Hunter, cosa che il presidente ucraino non fece.

 

Alcune reazioni in Europa: Di fronte a questi sviluppi, il Segretario Generale della Nato Rutte insisteva sulla necessità per Europa, Stati Uniti e Ucraina di restare unite ed esortava il presidente ucraino a riappacificarsi con Trump. Da Varsavia giungeva la parola che l’Occidente doveva resistere al ricatto e alle minacce della Russia. A Bruxelles il presidente della Commissione Ursula Von der Leyen dichiarava l’urgenza di riarmare l’Unione, mentre dalla Danimarca arrivava la notizia che Copenhagen avrebbe dedicato alla difesa il 3,2% del proprio Pil. L’Europa si trovava sola a contemplare la sua impotenza ed in qualche modo cercava di reagire.

 

In tutta questa situazione, che ha visto saltare ogni distinzione tra bene e male, tra aggressore e vittima, il presidente francese Macron apriva un discorso su una futura dissuasione nucleare ed insieme a Berlino discuteva di come far fronte alle inevitabili spese militari che si sarebbero presto dovute affrontare. Con il premier britannico Starmer discuteva di come fare da collegamento con gli Stati Uniti. Quest’ultimo rifletteva pure lui su come porre l’Ucraina nelle migliori condizioni possibili per difendersi, reputando essenziale mantenere i rapporti con Washington, partner ineludibile per qualsiasi soluzione del problema. Colta di sorpresa e sotto shock, Bruxelles dovrà adesso capire come rispondere, cosa fare per l’Ucraina e, soprattutto, per sé stessa.

 

Il successivo incontro di Zelensky avveniva a Londra che, pur uscita dall’Europa, continuava a muoversi insieme ad essa per quanto riguarda le questioni di sicurezza e di difesa. Il presidente ucraino si mostrava pessimista sugli Stati Uniti e chiedeva all’Europa di non abbandonarlo. Veniva subito ricevuto da re Carlo III, gesto di grande valore simbolico dato che un monarca britannico non incontra certo chiunque e lo ha fatto ancora prima di vedere Trump.

 

Riprendendo la retorica russa, il presidente americano da Washington puntava il dito contro Kiev, giudicandola responsabile dei combattimenti in corso e descriveva Zelensky con le stesse parole usate da Putin: un corrotto, un dittatore, un ladro che avrebbe stornato a suo beneficio miliardi di dollari in aiuti ricevuti. Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite votava poi insieme a Russia e Cina, provocando sgomento sia in Ucraina che in Europa e spingendo Kiev a chiederle aiuto. Bruxelles rispondeva confermando la sua vicinanza ed il suo appoggio e discutendo nuove sanzioni contro Mosca. Si dichiarava anche disponibile ad offrire garanzie di sicurezza, cosa che non garbava certo il Cremlino il quale pretendeva invece la smilitarizzazione dell’Ucraina e nessuna presenza di militari europei a vegliare sul rispetto di eventuali accordi.

 

Francia ed Inghilterra prendevano una posizione decisa di fronte all’atteggiamento di Trump nei confronti di Zelensky, entrambe convinte che non si poteva umiliare pubblicamente una persona in quel modo: per far ulteriori pressioni su di lui gli aiuti militari a Kiev erano stati sospesi fino a nuovo ordine ed interrotta la collaborazione a livello di intelligence. Dal canto suo Musk minacciava di spegnere il segnale di Starlink che consentiva alle Forze armate ucraine di avere informazioni immediate sull’andamento del fronte ed i movimenti del nemico. Negli stessi Stati Uniti non erano in pochi a pensare che fosse stata calpestata la regola di ogni decenza e quello che più colpiva era soprattutto l’assordante silenzio dell’opposizione democratica.

 

In tutto ciò l’economia russa continuava a mostrare segni di debolezza, ma non a tal punto da dover rinunciare alla guerra. Mosca sapeva bene che malgrado le difficoltà avrebbe potuto reggere probabilmente per altri due o tre anni, benché continuare a questo ritmo avrebbe portato a perdite difficilmente sostenibili. Diversa la situazione dal punto di vista umano: non vi era infatti tra la popolazione russa un grande entusiasmo nel continuare a massacrare i cugini ucraini, mentre questi ultimi mostravano invece un’evidente stanchezza nel dover proseguire i combattimenti. Imperterrito, il presidente russo ribadiva le sue condizioni sulle quali non mostrava nessuna intenzione di cedere: a mollare doveva essere l’Ucraina.

 

L’Unione Europea non poteva che guardarsi allo specchio e contemplare la sua irrilevanza. Si stava finalmente rendendo conto che per pesare in un contesto internazionale serve presentarsi compatti, con idee precise ed essere credibili in campo militare: era necessario riacquistare l’abitudine a pensare in termini di difesa ed il realismo imponeva la deterrenza. Non era più possibile pensare che 450 milioni di europei potessero chiedere a 350 milioni di americani di difenderli da 145 milioni di russi che a loro volta non riuscivano a sconfiggere circa 40 milioni di ucraini.

 

Trump, Putin e l’Europa: A minacciare gli equilibri internazionali sono attualmente Trump con la sua politica dei dazi e Putin con la sua aggressione ai danni dell’Ucraina. A modo loro, entrambi intendono destabilizzare l’Europa e sottrarle sovranità. Persino il nuovo cancelliere tedesco Friedrich Merz, convinto atlantista, ha avvertito il bisogno di prenderne atto.

 

Washington non sta che forzando l’Europa a fare ciò che avrebbe dovuto fare da tempo: considerare una politica di riarmo e di maggiore autonomia strategica. Trovandosi del tutto esposta e vulnerabile, la grande confusione che ha di fronte non potrà che spingerla in questa direzione: senza un piano per la sicurezza e la difesa rischia di scivolare ai margini della Storia. Si sta accorgendo che la sovranità nazionale non è che una sovranità di cartone, che oggi non conta più nulla e che ahimè si muove per decidere qualcosa solo in occasione di tragedie. Se non se ne presenta una, nessuno alza un dito.

 

In un mondo nel quale contano i rapporti di forza è necessario affrontare la realtà: la politica estera è politica militare e chi non lo capisce, sogna. La diplomazia è forte se armata.

 

Marzo porta nuovi sviluppi: La prima settimana di Marzo si è rivelata particolarmente importante. Il presidente francese Macron, in un accorato discorso alla nazione, denunciava i pericoli del momento, spiegava i motivi delle sue scelte ed offriva all’Europa il suo scudo nucleare.

 

A Washington il presidente Trump si presentava di fronte al Congresso per il suo discorso sullo stato dell’Unione che in circostanze normali avrebbe dovuto affrontare il bilancio della sua presidenza. Entrato però alla Casa Bianca solo da due mesi, il suo non è stato che un indirizzo alle Camere riunite per annunciare quelle che erano le sue linee di governo, dai migranti all’istruzione, non mancando di attaccare la cultura woke e discutere del piano per i tagli all’amministrazione federale affidato a Musk. Da lì, è poi passato alla politica fiscale fino a toccare le esplorazioni energetiche.

 

Si è trattato fondamentalmente di un discorso elettorale, nel quale ha elogiato sé stesso, annunciato il ritorno degli Stati Uniti e l’avvento di una nuova età d’oro fatta di benessere, progresso, crescita e prosperità. Durato un’ora e quaranta minuti, è stato un discorso di politica generale rivolto soprattutto ad una platea interna ed il cui tema abbracciava i suoi collaudati slogan di “America First” e “Make America Great Again”.

 

L’intervento è stato accolto con entusiasmo dai Repubblicani e da fischi, cartelli, mormorii di disapprovazione e scontento da parte democratica. Dall’aula è stato espulso il rappresentante del Texas Al Green per aver contestato, bastone in mano, il presidente. Una curiosità: nel corso del suo intervento, oltre a dichiararsi disponibile ad operare il prima possibile in direzione di una pace duratura, Trump annunciava di aver ricevuto un’importante lettera da Zelensky nella quale si sarebbe dichiarato pronto a collaborare. Da Kiev giungeva pronta la smentita.

 

La giornata successiva, quella del 6, si apriva con un Consiglio Europeo straordinario sul tema della difesa. In netto contrasto con i toni minacciosi di Trump, Zelensky è stato ricevuto calorosamente dal presidente del Consiglio Europeo António Costa e dalla presidente della Commissione Europea Von der Leyen. Entrambi hanno ribadito di voler continuare a sostenere Kiev. Si trattava di affermare che non è con la forza che si ottengono concessioni e che un popolo che si sta battendo con gran coraggio non può essere abbandonato, o peggio tradito, dalle democrazie.

 

“È un momento cruciale per l’Europa e l’Ucraina”, ha dichiarato Ursula Von der Leyen, impegnandosi a fornire a Kiev “i mezzi per difendersi e ottenere una pace giusta e durevole”. Da parte sua, il cancelliere tedesco Scholz respingeva l’ipotesi di una pace imposta. Questo vertice ha rappresentato per l’Unione Europea una svolta importante facendole prendere definitivamente coscienza del pericolo rappresentato da Trump. Tra i vari argomenti è anche stato sottolineato che per negoziare con Putin il presidente americano avrebbe avuto bisogno della presenza di Zelensky: il cammino per la pace non poteva passare per l’abbandono dell’Ucraina che aveva ogni diritto di vivere in sicurezza senza dover temere per la sua indipendenza ed i suoi confini.

 

Si è indubbiamente trattato di un buon inizio, anche perché è stato affrontato il tema della necessità di spender meglio i soldi a disposizione per le Forze armate e la difesa. Diventa ora necessario investire per il miglioramento ed il potenziamento dell’industria bellica europea, sfruttandone le capacità produttive ed operando congiuntamente per creare delle eccellenze in questo settore. Privilegiare dunque l’acquisto di armi europee per assicurare la propria difesa in modo autonomo, appoggiare l’Ucraina ed opporsi all’avventurismo più banditesco elevato a politica estera. Con l’opposizione passiva si può salvare la propria anima, ma non quella dell’Unione Europea.

 

Superando gli attuali vincoli di bilancio, sono stati proposti per i 27 membri dell’Unione 150 miliardi di euro come prestito comune e 650 miliardi con i quali ogni Paese dovrebbe aumentare il proprio bilancio per la difesa. Questa la nuova tappa da affrontare per rendere effettiva l’unità dell’Europa e della sua politica estera: di fronte a ciò che si profilava non poteva essere che fossero Washington e Mosca a decidere sul futuro degli assetti europei. Il risveglio è stato brutale e diventava quindi urgente colmare quanto prima il vuoto lasciato dagli Stati Uniti. Non era più il caso di far da spettatori e serviva mostrare coraggio. Iniziava così ad aprirsi un dibattito strategico sulla diffusione nucleare dato che, per essere presi sul serio in un’era atomica, era indispensabile andare in quella direzione e dar prova di forza in un momento nel quale la crisi dell’Europa andava ad affiancarsi a tutte le altre crisi, inclusa quella della presidenza americana.

 

A questo dibattito si aggiungeva quello di un piano di riarmo tedesco che vedeva aprirsi una discussione su un tema sacro nel Paese, quello del pareggio di bilancio. Le forze politiche erano coscienti che ogni debito sarebbe inevitabilmente caduto sulle spalle delle nuove generazioni, ma le recenti elezioni hanno visto la Germania compattarsi, cosa che ha consentito alla CDU di rivedere queste regole per consentire il riarmo del paese e dell’Europa.

 

I socialisti ed i verdi hanno raccolto la sfida chiedendo in cambio 500 miliardi da investire nell’istruzione, nelle infrastrutture ed in altri temi riguardanti il sociale. Era ormai evidente che dopo decenni di sotto-investimento in campo militare vi erano ritardi da recuperare e competenze da ricostruire. Il messaggio era passato ed a Berlino veniva organizzata una manifestazione in appoggio all’Ucraina ed in favore del riarmo europeo.

 

Dalle trincee del Donbass a Gedda: Sul campo di battaglia intanto si assisteva ad una serie di nuove offensive russe nell’area di Donetsk e nella provincia di Kursk, dove sarebbero stati espugnati quattro villaggi. Alle forze armate ucraine dei 1000 kmq conquistati all’inizio ne restavano adesso solo 500. Per infierire ulteriormente, Suslov reiterava da Mosca che non era intenzione della Russia sospendere o limitare le operazioni in Ucraina. L’Europa – sottolineava – è del tutto impotente non avendo nulla in mano, compresi i mezzi per sedersi al tavolo dei negoziati. In uno sfacciato ribaltamento della realtà, aggiungeva che la minaccia per la pace è proprio l’Europa.

 

Zelensky ribadiva invece l’intenzione del suo paese per giungere ad un cessate il fuoco parziale che comprenda sia il cielo che il mare. Ricordava però che l’aggredita è l’Ucraina e che è sua intenzione insistere per una pace durevole. Dimenticava però che a far intervenire Putin è stato il disprezzo che sinceramente provava nei confronti dell’Occidente ed il fatto che pensava che gli Stati Uniti stessero conducendo na guerra per procura contro il suo paese.

 

Nella giornata dell’11 Marzo la scena si trasferiva in Arabia Saudita. Americani ed ucraini si incontravano a Gedda e, a seguito di un colloquio durato 8 ore, giungevano ad una riconciliazione. Il presidente Zelensky, che vi era presente, si era incontrato il giorno prima col principe ereditario Mohammed bin Salman.

 

La presenza del Segretario di Stato Rubio in questo vertice garantiva un’impronta di ufficialità all’evento. Gli Stati Uniti hanno proposto una tregua onnicomprensiva della durata di 30 giorni che gli ucraini hanno accettato, aggiungendo la disponibilità ad avviare negoziati immediati con la Russia. A seguito di questi sviluppi sono riprese da parte americana le forniture militari e la condivisione delle informazioni di intelligence.

 

Per l’Ucraina questo incontro ha segnato l’inizio di un rapporto costruttivo con l’amministrazione Trump in quanto gli americani hanno detto di capire le ragioni di Kiev: ne avrebbero parlato con Putin nella speranza che la Russia accetti la proposta di cessate il fuoco. Questa posizione comune tra americani ed ucraini metteva Mosca in imbarazzo: una risposta negativa non sarebbe stato tanto un no all’Ucraina, quanto direttamente a Washington. Zelensky si era riposto sotto la copertura americana, spettava ora a Mosca mostrare di volere la pace.

 

La sfida adesso è tra Trump e Putin. Il primo, senza perdere tempo, vuole ottenere qualcosa subito e chiudere la questione in fretta per liberarsi del dossier ucraino. Sta però imparando che in 24 ore non si ferma nessuna guerra e neppure si ottiene una pace. Il secondo, che non vuole cedere su nulla né vuole mostrare di aver perso la faccia, si muove sul lungo periodo: quella è la sua zona di influenza esclusiva e non vi tollera intromissioni. L’Ucraina deve pagare e di conseguenza bisognava costringerla a farlo.

 

A Gedda si è comunque parlato di una tregua, non di una pace. Mosca ancora non si è pronunciata ma potrebbe aggiungere nuove condizioni. Zelensky ha abbandonato la richiesta di garanzie, spingendo per una zona di esclusione aerea e continuando ad insistere di volere l’Europa al tavolo delle trattative. L’Europa è comunque riuscita a svolgere un suo ruolo perché, intervenendo come ha fatto, ha potuto dare una boccata di ossigeno a Zelensky. Inizia a comprendere la portata tragica dei suoi appelli e che vi saranno solo più problemi se si continua a carezzare Putin.

 

Di quest’incontro in Arabia Saudita si hanno pochi elementi e vi è chi ritiene che vi possa prima essere stato uno scambio di opinioni tra Washington e Mosca. Bisognerà adesso vedere come questa proposta verrà accolta da Putin, dato che se la dovesse respingere potrebbe incrinare l’armonia tra Stati Uniti e Russia. Si è comunque trattato di un primo passo nella giusta direzione: dovranno poi seguire negoziati che affrontino i dettagli e non è un caso che si dica che il diavolo sta nei dettagli.

 

A servire adesso è un vero accordo di pace che sia da un lato durevole ed accompagnato dall’altro dalle necessarie garanzie di sicurezza per impedire a Mosca di riaprire le ostilità e farle rispettare l’accordo. Non confondere un cessate il fuoco con un accordo di pace globale.

 

La palla è ora nel campo di Putin e spetta a lui decidere. La Casa Bianca spera di ottenere il suo consenso per questo cessate il fuoco, un importante passo avanti in vista di un accordo di pace. Finora Mosca ha espresso una posizione massimale: nessun ingresso dell’Ucraina nella NATO, nessuna restituzione dei territori conquistati e nessuna presenza di truppe europee a guardia di un eventuale accordo. Il presidente russo non è disposto a concedere alcuna libertà. Per lui è una minaccia.

 

E’ bene ricordare che nel panorama politico russo dietro a Putin vi è anche la presenza di una componente nazionalista che spinge per la continuazione della guerra e rifiuta ogni cedimento o concessione. Il Cremlino a questi gruppi di nazionalisti estremi presta l’orecchio, ma chi resta il padrone è sempre Putin. Gli ultra patrioti ovviamente non si fidano dell’Occidente e spingono sempre per un massimo risultato. Non si fidano neppure di Trump, che considerano instabile. Si può dire che nella stessa Russia vi è chi cerca di capire la piega che prenderanno i negoziati.

 

Mosca intanto interrompeva la via dei rifornimenti in direzione della provincia di Kursk per sottolineare che non vi sarà nessun accordo prima della riconquista di quel territorio e proseguiva i suoi attacchi contro l’Ucraina.

 

L’Europa alla ricerca di una direzione: Di fronte alla pressione degli eventi e all’urgenza della situazione si riunivano a Parigi, nella Scuola Militare, i Capi di Stato Maggiore di 34 paesi europei. Lo scopo era affrontare la sfida del futuro dell’Ucraina e gettare le basi per qualche sorta di decisione, se non da parte dell’Unione, almeno di quei paesi disponibili a formare un asse ristretto e promuovere una cooperazione rafforzata in campo militare. Per Macron si è inoltre trattato di aprire un dibattito su di un eventuale piano di pace e su come garantirne la durata.

 

Non tutti si sono mostrati d’accordo sull’eventuale invio di truppe in territorio ucraino per vegliare sul rispetto delle clausole di un futuro accordo. Andrebbe aggiunto che a seguito degli accordi di Minsk, Francia, Gran Bretagna e Germania sanno che di Putin non ci si può fidare. In assenza di un cessate il fuoco o di una tregua, al momento è comunque ancora tutto ipotetico e da negoziare. I russi hanno più volte ripetuto di non volerli, oltre che non accettare la presenza di soldati europei sul campo.

 

Putin arriva nella provincia di Kursk: Il 12 Marzo vediamo Putin apparire nel territorio di Kursk per la prima volta in tuta mimetica. Era da tempo che non usciva dal Cremlino ed una volta giunto sul fronte per incoraggiare le truppe, annunciava la cattura di 450 militari ucraini ed un progresso dei suoi soldati sul terreno. Nell’annunciare che le sue Forze armate avevano ripreso qualcosa come il 95% dei territori conquistati dal nemico, egli ordinava la completa liberazione dell’intera provincia.

 

Di fronte al ripetersi degli attacchi russi, i militari ucraini annunciavano di aver ripiegato su posizioni più facilmente difendibili: se dovessero abbandonare quel territorio Kiev perderebbe una delle sue leve più importanti per negoziare.

 

Il fatto che Putin si sia fatto vedere in divisa coincide con il momento nel quale il mondo è in attesa di una risposta al cessate il fuoco voluto dagli Stati Uniti ed accettato dall’Ucraina. Questa apparizione sul fronte in mimetica va letta come una risposta a Washington e a Kiev per evidenziare la sua determinazione e dove risiede l’effettivo rapporto di forza. Se per l’Occidente l’Ucraina deve esistere come esempio di democrazia nel mondo, da parte del Cremlino più che sete di territorio c’è volontà di egemonia ed intenzione di destabilizzare l’Europa: un furore, un ribrezzo di fronte al desiderio di libertà. Ucraina ed Europa sono l’antitesi dei sogni di Putin.

 

Malgrado questi evidenti progressi sul campo di battaglia, non si è comunque giunti al colpo di grazia per l’Ucraina. Resta il fatto che discutere di un simile cessate il fuoco sarebbe stato impensabile fino a poco tempo prima.

 

In risposta al messaggio lanciato da Putin nel corso della visita, Kiev sferrava un attacco di droni verso Mosca a dimostrazione di avere ancora le capacità di battersi e e di procurare danni all’avversario. Il presidente Zelensky sapeva bene quanto le cose dipendano dalle intenzioni di Mosca. A muoversi è anche l’Europa per sottolineare la necessità di una sua presenza al tavolo delle trattative sapendo che ad essere in gioco sono il suo ruolo e la sua collocazione nel mondo.

 

Da Washington lo stesso Segretario di Stato Rubio non rinunciava a lanciare un suo segnale, avvisando Mosca che se dovesse rifiutare l’accordo, gli Stati Uniti avrebbero saputo bene come rispondere. Il Cremlino chiedeva a questo punto di essere ufficialmente informato dalla Casa Bianca e Steve Witkoff veniva spedito nella capitale russa. Quest’ultimo era in origine l’inviato per il Medio Oriente ed era soprattutto noto per essere da anni compagno di golf del presidente Trump al quale, per ingraziarselo, lasciava sempre la vittoria.

 

A Kiev, intanto, era diffuso lo scetticismo sull’accettazione del cessate il fuoco da parte russa, pur restando intatto il desiderio di mostrare buona volontà nei confronti degli Stati Uniti, solo modo per garantirsi il loro appoggio. In teoria, per i più ottimisti, lo stesso presidente Putin potrebbe accettarlo senza troppe storie perché tiene molto ai suoi rapporti con Trump e desidera liberarsi dalle sanzioni. Quelli che lo sono meno pensano invece che il leader russo non abbia intenzione né di cedere, né di far vedere di aver perso la faccia. Trump vuol invece mostrare di far le cose in fretta e senza perdere tempo. Da pericoloso dilettante qual è, egli non sembra cercare vantaggi lontani per il suo paese, quanto piuttosto piccoli e rumorosi successi immediati per sé. Agli ucraini non resta che sperare negli europei, che però hanno anche loro bisogno di un appoggio americano, non essendo al momento in grado di sostituirlo o farne a meno.

 

Giovedì 13 Marzo il presidente Putin, in una visita in Bielorussia ed accanto al suo omologo Lukashenko, dichiarava di essere favorevole ad un cessate il fuoco ed aspirare ad una pace durevole. Per non smentirsi ha subito posto avanti un insieme di condizioni che poco avevano a che fare con un cessate il fuoco, aggiungendo che mancavano questioni importanti da prendere in considerazione.

 

Al momento, pur se lentamente, sono i suoi soldati ad avanzare sul terreno ed egli questo vantaggio intende sfruttarlo. Per molti osservatori, l’impressione è che possa trattarsi di un’azione dilatoria per prender tempo, consentire alle sue truppe di avanzare ulteriormente e porsi in una posizione di forza al tavolo delle trattative. A farla breve, Putin non solo vuole conservare quel vantaggio che già stava acquistando sul terreno, ma vuole anche aumentarlo.

 

Per Zelensky che lo conosce bene, egli non ha nessuna intenzione di accettare il cessate il fuoco: data l’ampiezza del fronte e la complessità della situazione, se insiste tanto sulle difficoltà nel verificarlo, significa che negoziare con lui non serve a nulla. E’ vero che sono pochi, ma di fronte ad una certa fluidità di comportamento messa in mostra da Putin vi sono osservatori disponibili a considerarla come una speranza. La Casa Bianca fa sapere che se non dovesse starci ne resterebbe grandemente delusa.

 

Per la maggioranza le intenzioni del presidente russo non sembrano essere cambiate: sostituire il regime, de-nazificare l’Ucraina, disarmarla e chiedere all’Occidente di non appoggiarla più ed escluderla dalla Nato. In sintesi, l’asservimento e la degradazione del paese. Merita però di essere ricordato che gli ucraini stanno accettando la morte piuttosto che rinunciare a vivere da uomini liberi: fu questa decisione che consentì loro di battersi e di resistere malgrado l’enorme sproporzione di forze. Se Putin offre un programma di grandezza e di guerra, gli ucraini cercano di mostrare che alla lunga è lo spirito che conta, così come la volontà morale è quella di durare.

 

Washington tra Putin e la Cina: Merita una nota cercare di capire come si potrebbero articolare i rapporti tra Stati Uniti e Russia, Cina e Russia, Stati Uniti e Cina. In queste circostanze, vi sarebbe infatti da chiedersi se si potrebbe assistere al distacco della Russia dalla Cina o all’emergere di tre nuovi imperi associati tra loro in un ritorno all’idea della spartizione del mondo. Si tratta ovviamente di ipotesi e di scenari diversi, ma perché ignorarli? Qualsiasi l’esito di queste considerazioni, una cosa è certa: l’ordine mondiale va ridiscusso perché così com’è fa acqua da tutte le parti.

 

Per il presidente Trump quel che più conta è la ripresa dei rapporti con Mosca per staccarla da Pechino e giungere ad una pace per esaltare la sua immagine e mantenere le promesse elettorali. Oltre alla vanità, ad interessarlo è il suo posto nella Storia: egli sa bene che un presidente americano vi entra soprattutto per la sua politica estera. Se lascia la Casa Bianca con tutti i centri di crisi aperti, passerà come un presidente timido ed indeciso, cosa lo avvicinerebbe troppo all’opinione che ha di Biden e non farebbe certo l’America di nuovo grande come lui ama recitare. Essenzialmente interessato ad esaltare se stesso, vedere una Russia prendere il sopravvento sarebbe per lui un’umiliazione ed un segno di debolezza non solo dell’America, ma soprattutto sua.

 

Gira anche la voce che aspiri al Nobel per la pace, dato che a riceverlo è stato addirittura quell’Obama da lui tanto disprezzato. Da non ignorare che tra due anni dovrà vedersela con le elezioni di metà mandato, solitamente perdute dal partito che ha espresso il presidente. Anche se in questo testo non ne abbiamo parlato, le sue idee sull’economia e le tariffe doganali potrebbero rivelarsi una sfida rischiosa ed esaurire la sua luna di miele con il paese. Della sua cerchia colpisce l’improvvisazione in quanto si tratta di un gruppo di persone che hanno scarse nozioni di politica: attendersi dunque un periodo di incertezza ed abituarsi all’imprevisto.

 

La Casa Bianca penso inizi a rendersi conto che le cose non sono poi così semplici ma un tavolo di dialogo al momento esiste. Meglio di niente, ma non certo risolutivo. Trump il politico non lo sa fare: non è il suo mestiere.

 

Putin sa bene cosa vuole il presidente americano, così come lo sanno anche i cinesi. Non potendosi permettere il lusso di affrontare due nemici contemporaneamente, è possibile che Trump possa aspirare ad un riavvicinamento russo-americano a scapito di Pechino. Ad aver bisogno di un accordo è anche il presidente russo: gli verrebbero tolte le pesanti sanzioni economiche e finanziarie che danneggiano l’economia del paese, cosa che consentirebbe il suo rientro nella comunità internazionale ed il ritrovato ruolo della Russia nel mondo.

 

Gli Stati Uniti, Trump in particolare, sentono sul collo il fiato di una Cina sempre più incombente e per contrastarla avrebbero bisogno della Russia. Per lo stesso motivo Mosca potrebbe avere interesse ad avvicinarsi a Washington. Pechino è vero l’ha aiutata, ma le aveva anche posto dei limiti traendo vantaggio nel farne un vassallo e relegandola in posizione subalterna: non è detto che la voglia lasciar andare.

 

Di conseguenza, vi è chi in Russia ha una visione della Cina più critica, ritenendola una nazione da temere in quanto il suo autoritarismo è ben più stringente e duro di quello di Mosca. Va infatti notato come la Cina abbia caratteristiche differenti dalla Russia: ha una popolazione dieci volte superiore, ha messo in atto nel tempo un impressionante sviluppo economico, industriale e finanziario avendo avuto successo nel mettere in piedi un sistema industriale variegato e efficiente che le permette di espandere costantemente le sue Forze armate.

 

In questo momento Trump potrebbe avere come alleato Putin che su di lui ha investito non poco. In breve, se Mosca vuole riemergere internazionalmente deve accordarsi con gli Stati Uniti, dato che solo Washington potrebbe toglierla dal suo isolamento. Avendo perduto l’ideologia e l’impero, la Russia batte i piedi ed è alla ricerca di un nuovo prestigio internazionale: è dunque importante per il presidente russo essere l’interlocutore della più grande potenza globale mostrando così di essere riuscito a restituire al suo paese un ruolo ed un prestigio internazionale.

 

E’ dunque possibile che Russia e Stati Uniti possano mettersi insieme per contrastare l’ascesa economica, militare e finanziaria della Cina. Vero è però che muoversi in questa direzione non sarà altrettanto facile che nel 1972, non fosse altro che per la lunghezza dei confini e per il fatto di avere ottenuto fino ad oggi non poco sostegno dalla Cina, che tra l’altro non l’ha mai condannata per l’aggressione all’Ucraina. La presenza nella partita del cosiddetto gruppo dei BRICS rende ancor più difficile per la Russia ribaltare la sua posizione.

 

Quanto alla Cina, a Pechino sanno bene che i problemi di politica estera sono i più critici per una nazione. Per il momento al presidente Xi Jinping non resta che far da spettatore in attesa di capire la direzione degli eventi. Lui stesso non ha fretta, ma è indubbio che voglia fare del suo paese un grande protagonista della scena internazionale e non mancherà di prendere qualche iniziativa nell’attuale contesto europeo per avanzare qualche proposta.

 

Sono certo che sia cinesi che americani sanno alla fine che l’economia conta fino ad un certo punto. Gli affari economici, infatti, in un modo od in un altro si possono sistemare: più che commerciali, i problemi tra queste due nazioni sono di natura geopolitica e hanno come posta in palio il futuro dell’Asia orientale. Il crescente peso della Cina nella regione preoccupa Washington. Al momento, la possibilità che hanno gli Stati Uniti di proiettare la loro potenza dipende in gran parte dalle sue 11 portaerei nucleari. Il giorno che la Cina avrà le proprie sorgeranno problemi più seri. Il vero bersaglio per Trump è dunque Pechino, che oltre ad ambire a primeggiare sulla scena mondiale con la sia economia, sta gradualmente accrescendo la sua potenza militare.

Non sarebbe quindi da escludere un’altra possibilità: in un ritorno ad una visione imperiale nei rapporti tra nazioni, queste tre potenze potrebbero decidere di accordarsi in una sorta di “grande gioco” per spartirsi il mondo in altrettante sfere di influenza e mettere ordine in un sistema globale sempre più difficile da controllare. Se questo fosse il caso, l’interesse di queste tre potenze potrebbe essere quello di lasciare fuori da questa contesa e senza grandi prospettive proprio l’Europa. Aspettarsi nel frattempo una probabile collaborazione con Russia e Cina per trovare la possibilità di trovare un atteggiamento più costruttivo nei confronti dell’Iran e della sua politica nucleare.

 

Per concludere, il rapporto tra Trump e Putin è in questo momento essenziale: l’assenza di un accordo avrebbe conseguenze gravi che finirebbero col ripercuotersi ovunque. Il problema centrale per quest’ultimo è l’Ucraina, aspetto essenziale dei colloqui con gli Stati Uniti. Quanto al presidente americano, a differenza di quello tra le due guerre mondiali, il suo isolazionismo sembra rivolto soprattutto nei confronti dell’Europa e degli alleati. Egli vuole concentrarsi sull’Asia per affrontare il problema che più teme e lo assilla, quello della crescita della potenza cinese. Stati Uniti e Cina sono due potenze mercantiliste e quindi inevitabilmente rivali ed è lì che Trump sta guardando, non all’Europa e neppure al Medio Oriente.

 

Qualsiasi gli scenari, per capire l’andamento del mondo resta indispensabile tenere gli occhi sullo stato dei rapporti tra queste tre potenze e sui problemi che le toccano. Sono infatti loro a contribuire al mantenimento degli equilibri internazionali. Per il resto, si tratta soprattutto di comparse.

 

Un atteso colloquio telefonico: Nella giornata del 18 Marzo giungeva infine la telefonata tra i due presidenti, un colloquio di due ore e mezza nel quale si è raggiunta un’intesa per uno scambio di 175 prigionieri per parte. Il presidente russo aveva messo il suo omologo in attesa mentre nel corso di una conferenza stampa, di fronte ad una pletora di dirigenti industriali, stava descrivendo l’Occidente come in declino. La Casa Bianca ha emesso in seguito un comunicato piuttosto scarno nel quale contraddiceva parte delle dichiarazioni un po’ più dettagliate rilasciate dal Cremlino.

 

Putin aveva proposto di cessare gli attacchi contro le infrastrutture energetiche, una furbizia in un certo senso, dato che l’inverno è passato da poco ed i vantaggi nel colpirle sono meno importanti. Non si tratta certo di quel cessate il fuoco totale della durata di 30 giorni chiesto da Trump e neppure della disponibilità ad aprire un negoziato di pace. L’impressione è che il Cremlino voglia continuare ad indebolire Kiev e prendere tempo. Il presidente russo affermava di essere pronto ad un dialogo ma poi non offriva alcuna risposta chiara sul cessate il fuoco, ulteriore esempio della sua propensione a fare uso continuo della menzogna politica.

 

Nel corso della telefonata ha preteso il disarmo dell’Ucraina, la cessazione dell’invio di aiuti militari da parte occidentale ed il taglio delle informazioni sensibili riguardanti gli eventi lungo il fronte. In poche parole, cessare aiuti e cooperazione. Si è inoltre dichiarato contrario alla presenza di militari europei per vigilare sul rispetto dei termini di una tregua. Resta coerente con il suo intento di vedere l’Europa neutralizzata.

 

Le richieste di Mosca, considerando i propositi enunciati in precedenza da Trump, sono a dir poco esorbitanti e non ci si può che porre la domanda di come reagirà quest’ultimo messo di fronte a queste prospettive. Cosa avranno anche da dire le altre nazioni occidentali se tenute in disparte? Si tratta comunque di un annuncio che non coinvolge entrambi i presidenti più di tanto e al quale mancano i dettagli. Paradossalmente, si potrebbe quasi dire che le due parti si stiano accordando per continuare a mettersi d’accordo. Non è alla fine che si fa politica estera sulla base di sentimenti e risentimenti.

 

Nel corso della telefonata i due presidenti hanno anche discusso di Medio Oriente. Ed in questo contesto è molto probabile che Trump abbia chiesto a Putin di dagli una mano sulla questione del nucleare iraniano per via dei suoi ottimi rapporti con la Repubblica Islamica.

 

Dal fronte era intanto giunta la notizia che nella notte precedente erano stati lanciati 6 missili e 145 droni contro l’Ucraina. La situazione continuava ad essere difficile perché Putin intendeva cedere il meno possibile. A non credere ad una pace durevole erano gli stessi soldati ucraini, che pur volendola esprimono il loro pessimismo, affermando che il leader russo non rispettava nulla e che la guerra non farà che continuare. Con poca gloria, è stato facile per Mosca entrare rapidamente in Ucraina. Non ha però percepito l’animo del popolo, che non avendo altra scelta ha resistito e stupito il mondo.

 

Mosca occupa attualmente intorno al 20% del territorio ucraino e Kiev non è in grado di cacciare i suoi soldati dai territori che controllano e che a tutti gli effetti vorrebbero ampliare. Da quando Trump ha messo piede alla Casa Bianca, gli attacchi russi non hanno fatto che inasprirsi ed aumentare, al punto che le forze ucraine sono adesso prossime a perdere la leva di Kursk. E’ infatti assai dubbio che Putin possa contemplare un accordo senza prima essersi ripreso l’intera provincia.

 

Non si è ancora di fronte ad un negoziato compiuto ma ad una tappa di un processo che richiederà tempo, tanto che è lo stesso presidente Zelensky a parlare della fine di quest’anno. Trump si era fissato su cento giorni. Putin è invece al potere da un quarto di secolo e per restarci ha modificato la Costituzione. Come detto in precedenza, pensare che voglia fare in fretta non è realistico: egli è dove sta da un pezzo e sotto il suo sguardo ha visto passare tanti suoi omologhi americani. A meno che non vi siano in parallelo dei negoziati in corso, questa tregua di 30 giorni potrebbe solo servire alle due parti per riarmarsi.

 

A complicare le cose, come accaduto in Crimea, i russi hanno iniziato un processo di colonizzazione impiantando nelle aree occupate una nuova popolazione per sostituire in parte quella che aveva lasciato le zone cadute nelle loro mani. In questo contesto potrebbe anche profilarsi un accordo sul Mar Nero. Mosca non intende restituire la Crimea, vorrebbe riprendere a commerciare il suo grano ed i suoi fosfati e la Turchia, del cui impero quell’area faceva parte e ha coste lungo quel mare, non è felice di questo allargamento della Russia.

 

La seconda telefonata: Il 19 Marzo a parlarsi sono stati Zelensky e Trump. Hanno avuto un colloquio telefonico della durata di un’ora, da entrambi descritto come positivo.

 

Il presidente ucraino sa che al punto in cui si trova non ha molte scelte a disposizione, se non quella di mostrarsi accondiscendente e flessibile nei confronti del suo omologo americano. Gli è comunque riuscito di ottenere la fornitura di armi antiaeree ed un’assistenza per andare alla ricerca di quei 13 mila bambini ucraini che sarebbero stati tradotti illegalmente in Russia. Quel che Trump purtroppo non ricorda è l’aver tagliato i fondi necessari al finanziamento di questa operazione. Per Zelensky, anche se nulla è stato concordato o definito, si è tutto sommato sulla buona strada ed egli non rinuncia all’idea di una possibilità di pace entro fine anno.

 

Da parte russa nella giornata precedente erano stati effettuati 145 attacchi aerei, tanto che tra la popolazione ucraina aleggiava un diffuso scetticismo insieme ad uno scarso interesse per questi ultimi sviluppi. Il motivo è sempre lo stesso: di Putin non ci si può fidare, non si vedrà nulla e che al momento ad uscirne meglio sia proprio lui. Ha messo in atto un intervento militare fallito ed adesso è lì che se la deve ridere.

 

Pur non avendo ottenuto nulla, entrambe queste telefonate possono comunque ritenersi un primo passo. Non si può dire che il presidente Putin sia un personaggio malleabile e potrebbe sempre decidere di imporre delle condizioni inaccettabili agli ucraini. Desiderio del presidente Trump è invece riuscire dove Biden aveva fallito e giungere ad una pace come promesso in campagna elettorale. Aveva infatti dichiarato “Se fossi stato io Presidente, questa stupida guerra non sarebbe mai avvenuta”. Per entrambi, l’Ucraina resta un dossier da risolvere.

 

Per Putin si tratta di un modo di riaccreditare se stesso e la Russia sulla scena internazionale, evidenziando la sua capacità di negoziare alla pari con la massima potenza mondiale. Per Trump l’Ucraina non è invece che un territorio di frontiera tra l’Europa e la Federazione Russa, oltre che un modo per dimostrare la sua capacità come presidente degli Stati Uniti. Al momento nessuno dei due sembra parlare della stessa cosa mentre sale intanto l’intensità degli scontri e continuano sistematici gli attacchi aerei da parte russa.

 

In questo contesto entrambi considerano l’Europa come fattore marginale. E’ tuttavia possibile che le difficoltà e le incertezze del momento possano lasciare spazio per una sua effettività e per una riconsiderazione del rapporto transatlantico. In ogni caso, a dar le carte per il momento sono Trump e Putin, non l’Europa. Non tutto il male viene però a nuocere ed in Paesi dov’era prima vietato di questioni militari si comincia adesso a discutere di armamenti, industria e bilanci militari e della necessità di una difesa europea.

 

Brevi commenti sullo stato dell’Europa: Gli eventi cui abbiamo accennato hanno portato al recente dibattito a Bruxelles sul progetto di riarmo europeo. Si tratta di un piano da 800 miliardi di euro accompagnato dall’urgenza di una maggiore autonomia strategica, scelta fino a poco tempo fa impensabile. Passato adesso a chiamarsi Readiness 2030 per evitare suscettibilità, evidenzia la necessità per l’Europa di iniziare a pensare in modo strategico e porre rimedio alla sua palese vulnerabilità: vi è un vuoto nell’Unione ed i vuoti non sono privi di rischio, soprattutto in un periodo nel quale, parallelamente ad un indebolimento del multilateralismo, si stanno riaffacciando le rivalità tra grandi potenze.

 

La situazione internazionale finisce infatti col riflettere lo stato di tensione tra di loro: da un lato Stati Uniti, Russia e Cina, dall’altro un enorme vuoto che è l’Europa. Non è forse un caso che alcuni commentatori pensino che con questo secolo si stiano riaffacciando logiche di potenza che riportano indietro a più di cent’anni.

Con un presidente americano che non ne condivide i fini e che sa di non poterci contare, l’Europa si trova in situazione di grande fragilità. Se non ci si sveglia come europei il rischio è quello di un drastico ridimensionamento dal punto di vista geopolitico: facendo affidamento sulla copertura militare americana, ad oggi ci si è soprattutto concentrati sull’espansione del mercato. Al momento l’Europa è un re nudo in quanto un’unione basata sull’economia non fa politica estera.

Se Bruxelles dovesse adesso giocarsi il comparto militare, cosa farsene poi di tanta economia e finanza? C’è un’esigenza di Europa che balza fuori ad ogni momento, ma quest’ultima continua a zoppicare. Nel settore degli armamenti è sempre più indietro e se le cose non dovessero cambiare, da qualcuno dovrà pur dipendere: ciò ne farebbe una colonia.

Alleanza Atlantica ed Europa sono attualmente instabili e questa non esiste perché non in grado di difendersi, né di esprimersi con una sola voce: se vi dovesse essere una guerra non potrebbe che subire il ricatto di chi la protegge. Per essere chiari, se non si riprende una seria collaborazione in campo militare e della sicurezza è inutile farsi illusioni, l’Europa non potrà esistere.

Un suo risveglio è necessario, altrimenti potrebbe presto accorgersi di come la Storia e la vita politica possano essere crudeli. In conclusione, così come non c’è un’Europa della difesa, non esiste una difesa europea: è tempo di rendersene conto, trarne le dovute conseguenze ed inviare messaggi chiari.

Un’ulteriore serie di negoziati: In attesa di un nuovo incontro in Arabia Saudita tra americani, russi e ucraini, Zelensky chiede ai suoi alleati di fare pressione su Putin affinché ponga fine alle ostilità. Steve Witkoff, inviato della Casa Bianca, si dice ottimista sul futuro delle trattative ed assicura che Putin non ha intenzione di conquistare tutta l’Europa. Per Mosca, invece, si è solo agli inizi di una fase negoziale che sarà difficile, mentre da immobiliarista ignorante e demagogo Trump ribadisce la sua convinzione che nessuno al di fuori di lui è in grado di trattare con Putin.

A Bruxelles dei diplomatici cinesi manifestano la disponibilità del loro Paese ad inviare soldati per partecipare alla cosiddetta “Coalizione dei Volenterosi”, un modo per loro di provare ad entrare nella partita essendo indubbio che Pechino intenda partecipare da grande attore sulla scena internazionale.

Riyadh si era resa nuovamente disponibile ad ospitare il proseguimento delle trattative e l’incontro tra le delegazioni si è svolto in un hotel di gran lusso tra la sera del 23 Marzo e la giornata del 24. Il primo incontro è stato quello tra americani ed ucraini. Il giorno successivo, presenti il Segretario di Stato Rubio ed il ministro degli Esteri Lavrov, ha visto coinvolti americani e russi. Dopo 12 ore consecutive di negoziati e due tornate di incontri, le delegazioni si sono lasciate senza aver raggiunto un accordo.

Viste le circostanze, era d’altronde difficile pensare a qualcosa di diverso. I dettagli non sono stati resi noti e non vi è stato un comunicato congiunto. Si è poi trovato modo di esprimere un documento condiviso, ma con entrambe le delegazioni che hanno però fatto dichiarazioni diverse restano molte perplessità che venga rispettato da Mosca. Non si è potuti giungere a quella tregua in grado di prendere il posto di quel già labile cessate il fuoco parziale sul settore delle infrastrutture energetiche.

Come se nulla fosse, entrambe le parti continuano intanto a bombardarsi a vicenda. Giungeva la notizia che 150 droni erano stati lanciati su Kiev con il loro strascico di vittime e di feriti, mentre nonostante i lentissimi progressi delle forze russe le truppe ucraine continuano a resistere sul terreno. Si può pensare che il presidente russo non abbia fretta né di far cessare i combattimenti e né di chiudere un accordo: vuole prima migliorare la sua posizione sul campo, indebolire le capacità negoziali di Kiev e rafforzare le proprie. Non a caso a Mosca parlano di “trattative difficili”.

A detta del ministro della Difesa ucraino Umjerov, anche lui presente in Arabia, vi è già sul tavolo un progetto di tregua onnicomprensiva e di un cessate il fuoco incondizionato. A non volerli accettare sono i russi: restando sempre nell’ambito dei progressi parziali Putin continua a frenare, tanto che il suo portavoce Peskov ha dichiarato che nessun accordo specifico è stato raggiunto ma che i colloqui vanno avanti.

Per americani ed ucraini l’intesa è che debba entrare subito in vigore un cessate il fuoco riguardante la navigazione sul Mar Nero. Questa tregua navale avrebbe come scopo di facilitare il trasporto ed il commercio dei cereali e dei fertilizzanti russi, ripristinando il loro accesso al mercato mondiale. Questo era stato praticamente interrotto dalla superiorità militare dell’Ucraina su quello specchio d’acqua. Benché la proposta fosse vantaggiosa per loro, i russi non si sono sentiti in nessun modo obbligati ad accettare questa tregua. Si sono dichiarati contrari a qualsiasi cessate il fuoco se prima non venisse loro concesso di rientrare nel sistema dei pagamenti internazionali SWIFT e non fossero abolite quelle restrizioni alla base del problema.

In questo caso la scelta spetterebbe all’Europa che per il momento non si è fatta vedere: La cosa non dovrebbe sorprendere anche perché Putin non ha mai avuto, né ha tutt’ora, la minima intenzione di discutere con Bruxelles, ai suoi occhi non una potenza militare e non considerata perciò come pari cui trattare. Spicca nuovamente il suo desiderio di tenere divisi gli europei per far loro male.

Resta da capire cosa sia disposta a cedere Mosca per la rimozione delle sanzioni, la ripresa dei rapporti commerciali col resto del mondo ed il reintegro nella comunità internazionale. Se Stati Uniti e Russia hanno interessi convergenti, da qualche parte si arriverà, anche perché alla fine del percorso non potrà non ripresentarsi il tema della ripresa delle trattative sul disarmo nucleare che questo conflitto rende più urgenti. Ma in una guerra lunga e difficile non vi sarebbe da stupirsi se i negoziati stessi non possano che essere lunghi e difficili. La sfida non è infatti cambiata: i russi vogliono sempre schiacciare l’Ucraina e gli ucraini continuano a voler essere indipendenti dalla Russia.

Alcune considerazioni: Penso che adesso il presidente Trump stia iniziando a rendersi conto che le trattative con Mosca non avranno un percorso breve. Sia lui che Putin stanno procedendo con dichiarazioni diverse alle quali Mosca dà seguito con ondate successive di attacchi dal cielo contro l’Ucraina. Il presidente russo è scaltro e con tutta probabilità intende far sentire a Trump ciò che egli vuole ascoltare, carezzandone la vanità con il dono di un ritratto eseguito dal più celebre artista russo.

Zelensky resta cosciente della sua posizione di debolezza e suo malgrado non potrà che accettare di chinare il capo di fronte a Trump date le condizioni nelle quali si trova il paese. Benché quest’ultimo lo abbia accusato di voler prolungare la guerra, egli sa bene di non poterne fare a meno. Fa come può e si vedrà presto a Parigi con il presidente Macron. Egli non spera certo di vedere gli europei entrare nella lotta, ma piuttosto che lo aiutino per timore della volontà di egemonia della Russia.

Al presidente Putin intanto conviene guadagnar tempo perché, tra i suoi problemi, vi è anche quello di dover far fronte al ritorno in patria dei militari che hanno combattuto al fronte. Si parla di almeno 650 mila soldati che andranno reintegrati nella società e ai quali non sarà facile trovare un lavoro e riadattarsi alla vita civile. Essendosi confrontati fino ad ora con la violenza, rischiano al loro rientro di creare non pochi problemi sociali ed in alcuni casi finire addirittura con l’ingrossare i ranghi della criminalità organizzata.

Per concludere, il cessate il fuoco marittimo proposto dagli Stati Uniti e dall’Ucraina risulta essere un vantaggio soprattutto per la Russia e non è certo garantisca la durata della tregua. Il presidente Zelensky sa bene che togliere le sanzioni alla Russia significherebbe fermare i negoziati. Egli ha inoltre bisogno di aiuti militari immediati per far fronte alla crescente pressione di Mosca.

Il metodo di Putin è la forza ed è l’uso della forza ciò che capisce: appena intravede un cedimento od un dubbio nel dare appoggio al suo nemico egli assumerà atteggiamenti negativi, si farà arrogante e propenderà per il prolungamento del conflitto. E’dunque indispensabile mostrarsi risoluti ed è per questo che, incerto sul comportamento americano, Zelensky farà il possibile per spingere l’Europa ad aiutarlo.

Intanto a Parigi: A pochi giorni di distanza dal vertice saudita, si riunivano a Parigi sotto l’egida del presidente Macron 31 paesi, tra i quali Australia e Canada. Lo scopo era discutere su come affrontare il problema ucraino e l’avvenire del suo esercito, di come armarlo ed incrementarne le capacità. Di fronte a questa situazione di crescente disordine ed incertezza, si trattava anche di trovare un modo per far pesare il ruolo dell’Europa che farebbe bene a darsi una mossa.

Era suo intento, come nel caso del premier britannico Starmer, che l’incontro dovesse servire all’Europa per mettere l’Ucraina nella migliore posizione onde arrivare ad una pace solida e durevole, oltre che mostrare come un’Unione unita e solidale sia in grado di attivarsi in difesa di Kiev. Si trattava per loro anche di mostrare una presa di distanza da ciò che è avvenuto in Arabia Saudita, dato che al momento questi negoziati convincono poco.

Malgrado le perplessità che poteva generare, questa iniziativa potrebbe rivelarsi importante in quanto segnerebbe un possibile rientro dell’Europa come protagonista attiva del proprio destino. E’ dunque con piacere che accolgo proposte come il rifiuto di revocare le sanzioni e le restrizioni imposte da Mosca come condizioni per accettare la tregua. Sono altrettanto favorevole al proseguimento degli aiuti economici e militari che consentano a Kiev di far fronte agli attacchi russi e negoziare con più autorità piuttosto che trovarsi schiacciata tra le richieste di Trump e le pretese egemoniche di Putin. Lo stesso può dirsi per l’invio in Ucraina di missioni militari per addestrare le sue Forze armate e rafforzarne le capacità.

Tra gli argomenti affrontati, anche quello del dispiegamento di un contingente europeo, se non lungo la linea del fronte, almeno nelle retrovie per vigilare sul rispetto dell’eventuale tregua.

Sia dunque benvenuta qualsiasi iniziativa che porti l’Europa a prendere una posizione decisa di fronte a Washington e a Mosca: acconsentire ad una rimozione delle sanzioni non sarebbe che l’invio di un segnale pericoloso sia al presidente Putin che ai falchi del Cremlino. In quest’ottica non è un caso che dalla portavoce Zakharova sia giunta la prevedibile dichiarazione che con il pretesto di mantenere la pace l’Europa stia invece cercando di proseguire la guerra. Queste parole sono perfettamente in linea con quelle pronunciate da Putin, secondo le quali l’Europa non stia facendo nulla per la pace, mentre la Russia invece qualcosa sta facendo.

Alla luce di questi recenti avvenimenti e malgrado le trattative in atto, Mosca sta mostrando di non aver cambiato linguaggio né comportamento: non fa che violare la tregua, dichiararsi da sempre favorevole alla pace ed accusare Bruxelles di volerla ingannare.

Cala il sipario sul mese di Marzo: Mentre scrivo e tento di capire la direzione degli eventi, notte dopo notte continuano inarrestabili i bombardamenti russi sull’Ucraina con il loro strascico di vittime e distruzioni. Nulla viene risparmiato e le ondate successive che colpiscono il paese non sono che un modo per confondere e neutralizzare le sue difese antiaeree. Le statistiche dicono che dei 22 mila droni lanciati dalla Russia contro l’Ucraina dall’inizio del conflitto, 17 mila sono stati abbattuti. Cinquemila hanno però centrato il bersaglio ed il prezzo è stato alto, sia per la popolazione che per abitazioni ed infrastrutture: non viene rispettata la tregua riguardo le infrastrutture energetiche, né si sa cosa avverrà sul Mar Nero.

Nella visione di Putin vi è un’intera parte dell’Europa orientale che storicamente appartiene alla Russia. Non credo abbia intenzione di impossessarsene, ma sicuramente vuole sovvertirla e destabilizzarla con tutti i mezzi possibili: vorrà in qualche modo controllarla, così come è certo che intenda conservare il dominio sui territori occupati in Ucraina.

Si tratta di un gioco tragico e grottesco, perché intanto la gente continua a morire sia sul fronte che sotto gli attacchi dal cielo. Il Cremlino si fa beffe di tutti e non offre la minima concessione, tanto che nel mese di Marzo le vittime in Ucraina sono state del 50% superiori a quelle del mese precedente: pensando di avere la vittoria a portata di mano, tra i suoi recenti bersagli la cattedrale di Odessa e Kyvyi Rig, città natale del presidente Zelensky.

L’inizio del nuovo mese: Il mese di Aprile si è aperto così in una situazione di stallo diplomatico con un fronte che resta più o meno lo stesso ed offensive molto dure sul terreno, una situazione piuttosto confusa nella quale Trump spesso adotta la propaganda del Cremlino.

In attesa di vedere cosa accadrà e mentre il presidente americano avanza pretese sulla Groenlandia per motivi di sicurezza nazionale, Putin suggerisce per l’Ucraina una amministrazione transitoria sotto l’egida dell’Onu: si tratterebbe di condurla ad elezioni democratiche per poi iniziare trattative di pace. Inutile dire che questa proposta non sia che un tentativo di delegittimare l’attuale governo di Kiev, sbarazzarsi del suo presidente e porre condizioni sempre più inaccettabili. Sarebbe anche un modo di vedere come reagirebbero Stati Uniti ed Europa.

Da Washington iniziano a manifestare un certo scontento nei confronti dell’atteggiamento russo riguardo il loro piano di tregua e minacciano Mosca di mettere dazi sul suo petrolio. Piuttosto seccato, il presidente Trump riteneva che una volta salito sul grande palcoscenico internazionale avrebbe sbloccato la situazione e risolto tutto in fretta. Non avendo in sé gli ostacoli della cultura è convinto di poter risolvere tutti i problemi facilmente.

A malincuore, si sta ora accorgendo che le cose non sono poi così semplici come pensava, anche perché Putin non sembra muoversi in parallelo a lui e giocare la stessa partita: sapendo di trovarsi in una posizione di forza non è certo dalla Casa Bianca che il leader russo intende farsi dettare l’agenda. Egli sta al gioco fino a che si tratta di procedere con i negoziati, per poi agire aumentando i suoi vantaggi sul terreno e presentarsi più forte alle trattative.

Dal suo punto di vista vi sarebbe anche da prendere in considerazione che dopo aver detto per anni peste e corna degli Stati Uniti e dell’Occidente, descritti entrambi come covi di decadenza e dissolutezza, non può poi senza batter ciglio mettersi al traino della volontà di Trump: sarebbe per lui a dir poco imbarazzante e lo farebbe apparire come debole, incoerente ed in posizione subordinata, cosa a dir poco inaccettabile.

Credo sia necessario capire che siamo di fronte a due personaggi tutto sommato piccoli, se non anche meschini e vendicativi, entrambi dotati di un ego smisurato da far ombra alla Grande Piramide. Avvezzi a sfornare inesattezze e mistificazioni, non resta ora che attendere la loro prossima conversazione che non dovrebbe farsi attendere a lungo. Comunque vada a finire, siamo alla vigilia di avvenimenti che orienteranno il futuro dell’Ucraina e dell’Europa per anni a venire, oltre ad essere di grande importanza per l’intero Occidente.

Vi è la possibilità che a partire dall’Ucraina possa aprirsi un negoziato globale che finisca col toccar tutto. Se l’Europa non riuscirà ad attivarsi, non potrà che fare da comparsa e pagarne le conseguenze. Per il resto, quando un negoziato è in corso ognuno muove tutte le carte possibili.

Alcune riflessioni sulla difesa europea: In quanto a noi europei, fino a non molto tempo fa si pensava di non aver nemici. Oggi vediamo un Putin che sta portando infamia, miseria ed orrore in Ucraina e ciò cui stiamo assistendo dovrebbe farci capire che non bisogna avere paura di battersi per difendere la pace e che è perciò necessario avere un’Europa unita. Non si può dipendere dalla benevolenza degli Stati Uniti né dai calcoli geopolitici di Mosca. Con i suoi 27 Stati membri il valore politico dell’Unione è però caduto. Resta il fatto che alla sua grande espansione economica deve seguirne una politica e per essere politica, l’Europa ha bisogno di essere militare. Nonostante l’inaffidabilità e l’imprevedibilità di un Trump, non è realistico pretendere che gli Stati Uniti continuino ad essere i garanti della sicurezza europea né si può pretendere che con le loro riserve fiscali colmino le deficienze della difesa continentale.

Se le guerre non risolvono sempre i problemi, fanno però capire quanto pesano gli Stati. Ad oggi l’Europa è del tutto irrilevante e trovandosi sullo stesso continente nel quale si trova la Russia non potrà esimersi dal discutere di una difesa atomica, senza la quale un suo esercito sarebbe un’armata Brancaleone. In un mondo nucleare che l’Europa si unisca è dunque essenziale ed è solo così che un’Unione debole e divisa avrà la possibilità di rimettersi in gioco. Serve rendersi conto che quello della difesa non è un servizio pubblico come gli altri. Tocca infatti il cuore della sovranità nazionale. L’Europa ha un reddito altrettanto alto rispetto a quello americano ed immensamente superiore a quello russo. Che fa? Se tanto si discute sul costo della difesa, sarebbe forse anche utile farlo su quello della mancanza di difesa.

Se Parigi, Londra e Berlino stanno chiedendo una difesa europea e si consultano frequentemente è perché sanno che si è nell’era nucleare. Per chi sa leggere, costituire una difesa europea significa dunque farsi l’atomica in quanto quest’arma muta profondamente i rapporti fra le nazioni e dunque anche la politica internazionale. Non penso sia sfuggito a nessuno che la politica estera sta entrando in un’era definibile come post ideologica basata soprattutto sui rapporti di forza tra le potenze. La stella polare è l’interesse nazionale.

Purtroppo la situazione politica interna a gran parte dei paesi membri dell’Unione impedisce qualsiasi decisione. Esistono infatti solo singoli Stati che si muovono generalmente in ordine sparso, seguendo ognuno logiche proprie. Un giorno certe complicità costeranno caro perché più si fa la corte a Putin più questi si convincerà che l’Occidente è in decadenza. Le cose in Europa non vanno bene e l’azione del leader russo potrebbe indurre alcuni capi di Stato a reagire e poi spingere per una cessione di sovranità e per una politica di cooperazioni rafforzate con obbiettivi pur limitati ma essenziali. Se i governi nazionali continueranno a mostrarsi contrari a cedere qualche potere, l’Europa non potrà che scivolare indietro.

Si vuol tutti parlare di libertà, ma non di difesa della libertà ed in quanto alle nostre classi dirigenti, per ignoranza o per viltà spesso preferiscono non aprire bocca. Questo è particolarmente vero dalle nostre parti, dove si mostra di non avere né un progetto, né consistenza intellettuale. In una politica del giorno per giorno e priva di visione si finisce per costruire sulla sabbia. L’abbassamento morale del paese viene evidenziato dal pensare che in fondo non vi sia nulla di grave e che alla fine vi sarà un’intesa. La cosa può anche comprendersi, ma la situazione internazionale non attenderà di vedere realizzate le loro aspirazioni. La sfida va rilevata. Schierarsi per la libertà di qualunque paese è come battersi per quella del proprio.

Al momento non sembra esservi alternativa alla guerra, non una grande indicazione sulle capacità delle classi dirigenti occidentali. Putin non vuole la pace, così come non la vuole neppure Zelensky perché sa che il Paese non accetterà una resa incondizionata. Quanto a quella che sembrerebbe voler proporre Trump, risulterà probabilmente inaccettabile non solo agli ucraini, ma forse anche all’Europa. In condizioni come queste, per passare dalla guerra alla politica serve un capolavoro e per personaggi come Trump e Putin ci vogliono ben altri attori, ma di genio. Non basta il semplice desiderio del bene dell’Europa e quindi di noi tutti, così come non è neppure sufficiente proclamarsi favorevoli al dialogo per giungere ad una pace nel mondo. E’ troppo, cioè nulla.

E’ presto per trarre conclusioni, ma se le cose dovessero prolungarsi nel senso che stiamo attualmente vedendo, è difficile non giungere alla conclusione che benché i rapporti tra Washington e Mosca non siano agevoli, le cose vanno comunque meglio tra americani e russi che tra americani ed ucraini. Per rendersene conto, basta sentire parlare Trump quando afferma che ad essere colpevoli di questa guerra sono Biden e Zelensky. Nessun segnale positivo è al momento da scorgersi in quanto non vi è alcuna concessione da parte di Putin in vista di una tregua, né tantomeno di un accordo.

Se ciò fosse vero, per avere il suo accordo con Putin, il presidente americano lascerebbe cadere il suo omologo ucraino lasciando al Cremlino l’obbiettivo di piegare l’Ucraina a forza di ripetuti ed indiscriminati bombardamenti dal cielo. Se presto le cose non dovessero cambiare, non resta che pensare che i due non si stiano adoperando in vista di una pace, quanto piuttosto di una resa: entrambi risulterebbero così un ostacolo alla pace. Il potere di Putin si fonda sulla paura che ispira e fino a che non si troverò di fronte ad una vera opposizione non si fermerà: sino ad oggi mi sembra evidente che non si sia deciso di armare l’Ucraina per farla vincere, quanto piuttosto per non farla perdere.

Questo sino ad oggi. Potrebbe essere, e credo sicuramente lo sarà, che si dovrà presto ringraziare il presidente Trump: nel groviglio delle sue contraddizioni, l’inaffidabilità delle sue parole e l’imprevedibilità delle sue azioni, unite alle dichiarazioni ostili alla Nato ed all’Europa ed alla richiesta di maggiori spese militari, porti l’Unione a prendere quelle decisioni che le restituiscano il ruolo globale che le manca e la renda idonea a rientrare nel negoziato sull’Ucraina. Uscire dall’irrilevanza e riprendere in mano il suo destino. Alla base di ogni unione serve innanzitutto una comune politica estera e di difesa e, dato che spesso i conflitti accelerano i mutamenti, chissà se non si riuscirà sotto la pressione delle tensioni attuali a compiere questo passo indispensabile. La politica non dovrebbe limitarsi a gestire il presente quanto piuttosto disegnare anche il futuro.

Con una stampa che ama menzionare i “cento giorni” rooseveltiani, Trump ha bisogno di un urgente successo in politica estera ed i teatri che lo troveranno inevitabilmente coinvolto nel cercare una soluzione sono quelli ucraino, nel quale Putin al momento non ha interesse a deviare dalle sue posizioni e dove l’Europa dovrà avere un ruolo, il mediorientale e l’iraniano. Credo che entro i prossimi due mesi si potrà capire se qualche pace sarà possibile, così come trovare un punto d’equilibrio tra la minaccia ed il negoziato. Per via della sua importanza simbolica, sarebbe interessante vedere cosa potrebbe portare la data del 9 Maggio, giorno dell’80ma commemorazione della vittoria sovietica sulla Germania nazista.

Si tende al momento a giudicare Trump soprattutto per il suo agire in politica estera. Di fatto, opera con altrettanta e forse maggiore determinazione in campo interno. Trattandosi di una vera guerra ideologica, è forse che la sua presidenza potrà lasciare un’impronta più forte ed avere maggiori conseguenze. Il presidente americano continua a vivere di annunci e propaganda, cose che non potranno non esimerlo dal giustificare ogni sua marcia indietro. Date le circostanze, egli sta iniziando a capire che per via della sua politica improvvisata ed il più delle volte confusa, alle prossime elezioni di medio termine si troverà ad affrontare una situazione diversa e più difficile del previsto.

Ho trascurato di menzionare l’accordo sulle terre rare, cui Trump tiene molto e continua ad esercitare pressioni sull’Ucraina. Egli lo giustifica come mezzo per rimborsare le spese sostenute dal suo paese nel finanziare il conflitto in corso. Si tratta di un argomento meschino, dato che a Kiev si muore anche per l’Occidente. Di fatto, penso che voglia rimediare alle debolezze di un’economia che non ha più i mezzi per sostenere le enormi spese delle sue ambizioni globali e, soprattutto, affrancarsi dal monopolio cinese su questi minerali. Ancora non è stata trovata un’intesa.

Per concludere, una breve considerazione sulla pace, che è ciò cui aspira la maggioranza dei popoli ma anche un percorso irto di difficoltà. Non cade infatti dalle nuvole: va rischiata, decisa e fatta tenendo in mente che non può essere buona se non accettata da entrambe le parti. Una pace non può essere imposta e neppure può portare il solo volto del vincitore. E’ dunque difficile attendersi una pace duratura da una soluzione che mortifica l’avversario. In sintesi, la pace migliore è quella che si conclude senza vincitori né vinti.

Il 16 Novembre 1922, nel suo primo discorso come Presidente del Consiglio, Mussolini dichiarava che la sua politica estera si sarebbe basata sul principio di “niente per niente”. Certamente un esemplare e luminoso realismo, ma non sarebbe più efficace se fosse ammantato da un po’ di idealismo? Mi era stato insegnato che né la forza né la minaccia della forza possono essere strumenti di politica estera.

Scopo dell’azione diplomatica è di arrivare ad un mondo in equilibrio senza né vincitori ne vinti, nel quale ognuno trova il suo posto ed il suo ruolo. Il compito di oggi e di domani è quello di conservare indipendenti tutte le nazioni. Ma tanto sia Putin che Trump si ritengono infallibili e come tutti i medici pensano di condividere il privilegio di seppellire i propri errori. Alla fine, però, potrebbe anche avverarsi che entrambi prima o poi dovranno rendere conto delle loro azioni: il potere crea resistenza, il troppo potere ne crea di più.


 

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