Com'è che l'Unione Sovietica è stata all'avanguardia nel riconoscere lo Stato di Israele
Sappiamo che circa un anno fa il ministro degli Esteri Lavrov si era incontrato con un gruppo di dirigenti di Hamas. Cosa si siano detti lo ignoriamo, ma da fonti di quest’ultima pare che la Russia abbia avuto un ruolo in questa operazione, che sarebbe stata preparata già da due anni. Se ciò fosse vero, avremmo la riprova che ad essere sotto attacco, in questo caso tramite lo scontro fra Israele ed Hamas, sarebbero anche le stesse democrazie occidentali. Mosca – va detto – non considera quest’ultima come un’organizzazione terroristica.
Oggi il Cremlino consente l’arrivo a Mosca di una delegazione di Hamas e del vice-Ministro degli Esteri iraniano. Sappiamo che tra Hamas e la Russia vi sono degli accordi finanziari così come sappiamo che l’organizzazione palestinese ha una sede nella capitale russa. Sono anche importanti i rapporti che Mosca ha con l’Iran. Leggere nella mente del presidente russo Putin non è facile, ma è probabile che con questa guerra stia cogliendo l’occasione di darsi un ruolo creando caos e fomentando tensioni nell’area per trovar poi modo di reinserirsi in Medio Oriente, riproporsi sullo scenario internazionale e soprattutto indebolire l’Occidente ed in più distogliere l’attenzione dei suoi nemici dal conflitto ucraino.
Il presidente russo accusa gli Stati Uniti di essere responsabili del caos letale in Medio Oriente e di svolgervi una politica fallimentare. Vale la pena notare il caso piuttosto straordinario dell’assalto all’aereo israeliano atterrato in Daghestan. Mosca ha impiegato molto tempo a reagire accusando poi gli ucraini e gli occidentali di aver provocato l’incidente allo scopo di destabilizzare l’unità della Federazione Russa.
Putin, che identifica con Hamas la leadership palestinese ed intensifica i suoi rapporti con l’organizzazione, non ha espresso le sue condoglianze per l’attacco del 7 Ottobre e sembra prendere le distanze da Israele. Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite impedisce il passaggio della risoluzione americana in sostegno dello Stato Ebraico.
Forse vale la pena fare un salto indietro nel tempo e ricordare di quando i rapporti con Mosca ed Israele erano del tutto diversi. L'Unione Sovietica fu infatti la prima nazione a riconoscerlo pienamente de jure il 17 maggio 1948. Seguirono Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Irlanda e Sudafrica. Gli Stati Uniti, come promesso nel Gennaio 1949, estesero il riconoscimento subito dopo le prime elezioni israeliane.
Già nel corso della Conferenza di Tehran (28 Novembre - 1 Dicembre 1943), il Primo Ministro Inglese Churchill si era accorto che tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, divenuti ormai i maggiori protagonisti nel teatro bellico, per il suo Paese non vi era più posto per intrattenere visioni di grandezza. Al successivo incontro di Yalta, oltre che a discutere sulla condotta del conflitto in corso, si gettarono poi anche le basi sugli assetti del continente europeo del dopo guerra. Nell'estate del 1945, a Potsdam, vennero successivamente discussi e raggiunti accordi sulla gestione dell’Europa a seguito della caduta del regime nazista
Terminata la guerra, l'apparente coesione tra i tre grandi alleati era presto destinata a svanire. Con le sue successive mosse, l’Unione Sovietica allarmò infatti sia Londra che Washington al punto che nel 1946, a Fulton, il Premier britannico parlò per la prima volta di una “cortina di ferro” calata tra Stettino e Trieste.
I rapporti con Stalin si erano a tal punto inaspriti che il nuovo Presidente Americano Truman dovette enunciare la sua omonima dottrina in base alla quale andavano bloccate le mire dell'Unione Sovietica su Italia, Grecia e Turchia. Poco più tardi, nel 1948, venne attivato il “Piano Marshall” che consisteva in ingenti aiuti materiali e finanziari a favore della ricostruzione dell'Europa. Nel 1949 fu firmato il Trattato istitutivo dell'Alleanza Atlantica, che aveva come importante strumento di azione: l'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO). Mosca vi rispose sei anni dopo con l’istituzione del Patto di Varsavia.
Gli Stati Uniti, che nel frattempo avevano ritirato dall'Europa il grosso delle loro forze armate e dei loro equipaggiamenti, decisero poi di stanziarvi una forza di 400.000 uomini, schierandoli in gran parte nella Germania dell'Ovest, a sua volta divisa in tre diversi settori rispettivamente amministrati da americani, francesi e inglesi. Nel contempo i giorni del colonialismo europeo erano al tramonto cosi come stavano cambiando gli equilibri internazionali. Dall'Agosto 1945 il mondo era entrato nell'era nucleare: da quel momento, a comandare erano gli Stati Uniti e la Russia Sovietica.
In Medio Oriente, Francia e Gran Bretagna stavano già da tempo assistendo al tramonto della loro egemonia quando scoppiò la gravissima questione della Palestina. Le cose vi si erano complicate a tal punto che non restò che ricorrere alle Nazioni Unite. Alla seduta del 29 Novembre 1947, l'Assemblea Generale votò la Risoluzione 181 con la quale veniva decisa la partizione della Palestina in due Stati distinti, l’uno ebraico e l'altro arabo. La risoluzione venne approvata a maggioranza sia con il voto di Washington, che con quello di Mosca. La Francia stessa si espresse a favore. Tra gli astenuti, invece, La Gran Bretagna. In pochi lo sanno, ma l'Unione Sovietica di Stalin ebbe un ruolo essenziale nella nascita dello Stato di Israele.
Per meglio capire come sono andate le cose, è necessario rendersi conto che in seno al governo americano non vi era all'inizio unanimità di consensi riguardo questa soluzione. A seguito della dottrina Truman che ebbe successo nel bloccare le mire sovietiche su Grecia e Italia ed impedire a Mosca di affacciarsi sui Dardanelli, era evidente che Washington, oltre che ad arginare i tentativi espansionistici dell'Unione Sovietica, voleva sostituirsi alla Gran Bretagna come garante degli equilibri in Medio Oriente. In seno alla classe dirigente americana, e soprattutto nel Dipartimento di Stato, erano però in molti a temere che l'appoggio al progetto sionista avrebbe potuto comportare la consegna del mondo arabo alla potenza sovietica. Truman, e quelli a lui più vicini, decisero di appoggiare la causa del futuro Stato Ebraico.
Stalin decise di sfruttare questi dissensi. Consentendo agli ebrei sovietici di emigrare in Palestina, egli sperava in questo modo di infiltrare la comunità ebraica locale con elementi più affini agli ideali comunisti al fine di farne crescere l'ostilità nei confronti della potenza mandataria britannica. Questa sua scelta contribuì ad alienargli il mondo arabo, ma non ne fu particolarmente scosso perché lo considerava composto in gran parte da elementi feudali e sfruttatori interessati. Così facendo, il leader sovietico mirava a bloccare quella che sarebbe potuta divenire un'alleanza tra Londra e gli arabi, pericolosamente vicina ai confini meridionali dell'Unione Sovietica.
La Gran Bretagna, logorata delle costanti lotte tra arabi e ebrei, decise di affidare le sorti della Palestina all'arbitrato delle Nazioni Unite. A questo punto, superando le sue riserve ideologiche, Stalin entrò nella partita al fine di darsi un ruolo effettivo sul futuro della Palestina. Non pochi dei coloni ebrei erano di fede marxista e già nel 1943 il presidente dell'Agenzia Ebraica Ben Gurion, anch'egli favorevole alla costituzione di uno stato ebraico, aveva dichiarato fosse errato pensare che il Movimento Sionista era ostile all'Unione Sovietica. A Mosca, si era inoltre certi che l'ostilità tra arabi ed ebrei fosse dovuta alle manovre imperialiste di Londra che, fomentando l'ostilità tra le parti, aveva come scopo quello di dividerle per mantenerle sotto il suo controllo.
Nel Settembre del 1946, Nikolaj Novikov, Ambasciatore di Mosca a Washington, inviò un lungo rapporto nel quale illustrava tutte le difficoltà che la situazione in Medio Oriente presentava alle potenze Occidentali. Illustrò la rivalità tra Stati Uniti ed Inghilterra sul futuro degli assetti regionali e le difficoltà che vi sarebbero presto sorte per la mancanza e di mezzi e di risorse sufficienti. Passati alcuni mesi, nell’anno successivo, il Comitato Speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina concluse il mandato Britannico su quel territorio.
La conclusione di Novikov era che ne sarebbe seguita inevitabilmente un'egemonia americana: impellente dunque mettere da parte tutti i dubbi e le ideologie e sostenere la nascita di uno stato ebraico da considerarsi come un'isola socialista e al quale Mosca avrebbe avuto dovuto estendere la sua protezione. L’ambasciatore temeva che la crescente influenza americana nella regione avrebbe rappresentato una vera e propria minaccia alla sicurezza delle frontiere meridionali dell'URSS.
Il 14 Maggio del 1947, di fronte all'Assemblea delle Nazioni Unite, il futuro Ministro degli Esteri Gromyko affermò dal suo scranno che l'Unione Sovietica era a favore della nascita di uno stato bi-nazionale nel caso si fosse rivelata impraticabile la soluzione di una Palestina divisa in due Stati indipendenti.
Vistasi scavalcata da Mosca, Washington rispose proponendo un nuovo mandato fiduciario da consegnare alle Nazioni Unite. Il Movimento Sionista espresse tutta la sua contrarietà e Gromyko colse immediatamente l'occasione per rigettare il progetto statunitense: affermò che solo una partizione avrebbe potuto consentire la soddisfazione delle legittime aspirazioni del popolo ebraico, terribilmente provato dalla politica di sterminio dei nazisti.
Il 29 Novembre 1947, il presidente Truman reputò fosse giunta l'ora di farla finita con tutte queste storie e ordinò all'ambasciatore Austin di votare in favore della partizione. Poco dopo fu approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite la Risoluzione 181 che prevedeva il Piano di partizione della Palestina elaborato dal Comitato Speciale dell'ONU sulla Palestina (UNSCOP). Con 33 voti a favore, 13 contrari e 10 astensioni le Nazioni Unite approvarono la risoluzione a favore della partizione della Palestina in due Stati, l’uno Ebraico e l’altro Arabo.
Il 15 Maggio 1948, giorno successivo alla proclamazione di indipendenza, lo Stato di Israele venne attaccato contemporaneamente dagli eserciti di cinque paesi arabi. Nella stessa giornata, Azzam Pascià, Segretario Generale della Lega Araba, così si espresse al Cairo: “Questa sarà una guerra di sterminio e un massacro epocale del quale si parlerà come si è fatto con i massacri dei Mongoli e con le Crociate”.
La lotta per la Palestina si trasformò in un conflitto Arabo-Israeliano. In soccorso allo Stato Ebraico Mosca, con una copertura da parte della Cecoslovacchia, si affrettò ad inviargli ingenti quantitativi d'armi che gli consentirono di difendersi, contrattaccare e contribuirono alla vittoria. Queste armi iniziarono ad essere mandate a partire dal Gennaio 1948. La fornitura totale, non senza peripezie nelle quali ebbe un’importante ruolo l’Italia, si componeva di 30mila fucili Mauser, 5mila mitragliatrici MG34 e 50 milioni di proiettili. Il paradosso è che queste armi erano tutte di fabbricazione tedesca.
Il 20 Maggio il delegato sovietico Vasyl Tarasenko pronunciò queste parole nel corso di una riunione del Consiglio di Sicurezza: “Siamo preoccupati dall’evidenza che un numero di Stati limitrofi alla Palestina vi abbiano inviato le loro Forze armate. Questa nostra conoscenza non si basa su voci od articoli di giornali, ma sui documenti ufficiali firmati dai governi di quegli Stati che informano il Consiglio di Sicurezza dell’entrata delle loro truppe in Palestina. Mi riferisco in particolare ai documenti firmati ed inviati dai governi di Egitto e Transgiordania….Nel passare, vorrei sottolineare come nessuno di quegli Stati le cui truppe sono entrate in Palestina possa sostenere che questa sia parte del loro territorio”.
Nove giorni dopo, sempre al Consiglio di Sicurezza, il delegato Andrei Gromiko si espresse in questi termini: “Non è questa la prima volta che gli Stati arabi che hanno organizzato l’invasione della Palestina si sono fatti beffe di una decisione del Consiglio di Sicurezza o dell’Assemblea Generale. La delegazione dell’URSS reputa essenziale che il Consiglio debba sostenere con maggior chiarezza e decisione la sua opinione riguardo questo atteggiamento degli arabi di fronte alle decisioni del Consiglio di Sicurezza”.
Nel 1949, a seguito della sconfitta araba, furono concordati a Rodi una serie di armistizi: con l’Egitto il 24 Febbraio; con la Transgiordania il 3 Aprile e con la Siria il 20 Luglio.
La situazione mutò radicalmente nel 1956 quando il Presidente egiziano Nasser annunciò la nazionalizzazione del Canale di Suez. Il Premier inglese Eden decise per un intervento militare. A questi si aggiunsero i francesi, irritati dal flusso d'armi che il Cairo destinava ai nazionalisti algerini ed Israele che si vedeva minacciata dal controllo di Suez da parte egiziana. Non informati dagli alleati europei, gli Stati Uniti rifiutarono di appoggiare l'impresa. L'Unione Sovietica si schierò invece apertamente con Nasser.
Va ricordato che nel 1949 nasceva la NATO, l’URSS costituiva il COMECON ed esplodeva la sua prima bomba atomica. In quello stesso anno, Mao Tse Tung proclamava la nascita della Repubblica Popolare Cinese e la Cina diventava comunista. L’anno successivo, con l’appoggio di Mosca, la Corea del Nord invadeva quella del Sud alleata degli Stati Uniti, costringendoli ad intervenire. Nel giro di poco tempo intervenne anche la Cina che ricacciò indietro le truppe americane. La guerra si concluse dove era iniziata e nel 1953 venne firmato un armistizio. Nel 1954 la Francia veniva sconfitta in Vietnam che, come la Corea, risultò diviso in due Stati, l’uno di stampo comunista, l’altro protetto dagli americani. Il mondo nel frattempo precipitava nel lungo periodo della Guerra Fredda.
Nel 1952, a seguito di una rivoluzione, il colonnello Nasser giunse al potere facendo dell’Egitto lo Stato arabo più importante. Per costruire la sua nazione, Nasser si rivolse sia agli Stati Uniti che all’Unione Sovietica quando, seccata dalla sua amicizia con Mosca, Washington tagliò i finanziamenti alla diga di Assuan. Nel 1955 l’URSS iniziò ad armare l’Egitto e nacque il Patto di Varsavia. Questa la situazione quando scoppiò la crisi del 1956.
L'intervento decisivo fu quello russo-americano: l’arma nucleare per le due superpotenze si rivelò in questo caso un fattore aggregante. Washington minacciò di far crollare la sterlina, mentre Mosca paventò il ricorso alle armi atomiche contro le due capitali europee. Così avvisati, da lì a poco, inglesi, francesi e israeliani si ritirarono dalle zone occupate.
Il Premier inglese si dimise e l'episodio segnò la fine dei sogni di indipendenza della Gran Bretagna e della Francia: l'Europa aveva finito di contare sulla scena mondiale mentre quest'ulteriore coinvolgimento delle due grandi potenze nucleari nella regione avrebbe contribuito nel tempo alla destabilizzazione di tutto il Medio Oriente. La Russia aveva cambiato campo e si era schierata dalla parte araba.